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giovedì 19 giugno 2025

TSMC: Un Gigante in Ascesa Sostenuto dall'Intelligenza Artificiale

Negli ultimi tempi TSMC (TSM) ha letteralmente spiccato il volo, con un balzo del 30%, superando di gran lunga il 9% guadagnato dall'indice S&P 500. Dietro a questa straordinaria performance c'è una convinzione sempre più forte: la sua avanzata tecnologia di packaging CoWoS, un tempo considerata un costo gravoso per l'azienda, si sta trasformando in un potentissimo motore di crescita ad alto margine, trainato dall'esplosione dell'intelligenza artificiale.

E i numeri parlano chiaro. Già nel primo trimestre dell'anno fiscale 2025, i margini del CoWoS hanno superato un impressionante 60-65%, e le previsioni indicano un volume destinato a triplicare entro la fine dell'anno. Inoltre, ben il 73% del fatturato di TSMC deriva ora dai nodi avanzati, ovvero quelli a 7 nanometri e inferiori, dimostrando una leadership tecnologica indiscussa.

Con una stima di tasso di crescita annuo composto (CAGR) dei ricavi legati all'IA superiore al 40%, TSMC punta a raggiungere i 300 dollari entro la fine dell'anno 2026. 

Il passaggio a nodi nanometrici sempre più piccoli non è solo una questione di numeri: significa maggiore densità di transistor, consumo energetico ridotto e prestazioni elevate. Queste caratteristiche sono diventate essenziali per gli acceleratori di intelligenza artificiale, i chip per data center e gli smartphone di ultima generazione. Seguire questa tendenza è cruciale, e la tecnologia N2 di TSMC è pronta per la produzione di massa nella seconda metà dell'anno fiscale 2025.

Nel lungo termine, la domanda di intelligenza artificiale è senza dubbio un importante catalizzatore per il titolo TSMC. Il segmento HPC dell'azienda, che include i processori IA, è cresciuto del 7% su base trimestrale nel primo trimestre dell'anno fiscale 2025, raggiungendo il 59% del fatturato totale, in netto aumento rispetto al 46% del primo trimestre dell'anno fiscale 2024. L'azienda ha anche ribadito le sue previsioni di un raddoppio del fatturato degli acceleratori IA nell'anno fiscale 2025, grazie alla collaborazione con giganti come Nvidia, AMD e progettisti di chip IA personalizzati.

A testimonianza di questa crescita, TSMC quest'anno raddoppierà la sua capacità di packaging CoWoS per far fronte alla crescente domanda di GPU per intelligenza artificiale avanzata. Le prospettive a lungo termine continuano a indicare un potenziale rialzo per il titolo, con il management che prevede un CAGR di circa il 45% per il fatturato del settore IA nei prossimi cinque anni. Queste previsioni rendono la valutazione di TSM, in termini di rapporto prezzo/utili (P/E), decisamente interessante come punto di ingresso, considerando il livello di prezzo attuale.

Oltre al fatturato, il vero asso nella manica di TSMC è la sua fidelizzazione dei clienti. Le principali aziende di semiconduttori "fabless" come Apple, Nvidia e Qualcomm si affidano a TSMC, poiché il passaggio a un'altra fonderia comporterebbe riprogettazioni costose e dispendiose in termini di tempo. Questa dinamica crea una barriera all'ingresso elevatissima per i concorrenti come Samsung Foundry e Intel, che ancora faticano a eguagliare i tassi di rendimento e la scalabilità produttiva di TSMC. La roadmap tecnologica dell'azienda, che include nodi come A16 (dedicato all'AI/HPC) e N2P (una versione migliorata di N2), assicura il mantenimento della leadership di mercato.

La crescita di TSMC è fortemente guidata dall'intelligenza artificiale, in particolare grazie al suo packaging CoWoS e ai nodi avanzati. Questa sinergia ha trasformato le dinamiche dei margini, con quelli del CoWoS che ora superano il 60% e volumi destinati a triplicare. 

Con l'IA che ora rappresenta il 59% delle vendite e la crescente importanza del nodo N2 nell'anno fiscale 2025, l'obiettivo di base di TSMC di 268 dollari e lo scenario rialzista di 300 dollari offrono un potenziale di rialzo di oltre il 40%, nonostante la diluizione dei margini dovuta alla produzione all'estero. TSMC continua a dimostrarsi un driver chiave nel panorama tecnologico globale.

Ottimo azienda

Enphase Energy: molti dicono Buy ma non sono convinto

Devo ammetterlo: in passato ero piuttosto entusiasta di Enphase Energy (ENPH). Un anno fa, scrissi un articolo positivo sul suo potenziale, convinto che l’azienda avesse tutte le carte in regola per brillare nel settore dell’energia solare. Tuttavia, qualche settimana dopo la pubblicazione, decisi di vendere le ultime azioni che avevo in portafoglio, intorno ai 110-105 dollari. Una scelta dettata in parte dall’istinto, in parte dall’impressione che lo scenario a breve termine fosse diventato troppo incerto per restare esposto.

Nonostante tutto, Enphase continua a intrigarmi. Dopo il crollo delle quotazioni dell’ultimo anno, ritengo che il titolo abbia oggi una valutazione interessante. E non lo dico tanto per dire: ieri ho effettivamente acquistato alcune azioni a circa 34,75 dollari.

Il titolo ha iniziato la sua discesa dopo aver toccato un massimo di circa 130 dollari lo scorso settembre, proprio quando la Fed ha cominciato ad allentare la propria politica monetaria e i tassi d’interesse si trovavano sui livelli più bassi. Da lì in poi, per Enphase è stata tutta discesa. Un andamento che dimostra quanto i tassi d’interesse incidano sull’attività e sulle prospettive di questa azienda.

Le cose si sono ulteriormente complicate dopo le elezioni di novembre: è apparso chiaro che una nuova amministrazione Trump non sarebbe stata altrettanto favorevole all’energia solare quanto la precedente. Di conseguenza, il titolo Enphase ha subito ulteriore pressione.

Ora, dopo un crollo di circa il 75% negli ultimi nove mesi, viene naturale chiedersi: le vendite non saranno state un po’ troppo drastiche? Enphase, infatti, è ancora un’azienda solida dal punto di vista finanziario, e non ci sono segnali di un’imminente crisi o di difficoltà sistemiche. Vale la pena ricordare che il titolo aveva toccato un massimo storico di circa 340 dollari nel 2022: da allora ha perso circa il 90% del suo valore.

Una situazione finanziaria ancora solida

Nonostante il calo delle vendite tra il 2022 e il 2023, Enphase ha riportato un utile lordo di 524 milioni di dollari (TTM), un utile operativo di circa 153 milioni e un utile netto di 149 milioni. Certo, sono valori inferiori rispetto agli anni migliori, ma ben lontani dai tempi bui del 2015-2017, quando l’azienda rischiava seriamente la bancarotta.

Se paragoniamo Enphase al suo principale concorrente, SolarEdge Technologies (SEDG), la differenza è notevole. SolarEdge versa in condizioni molto più critiche, il che potrebbe rappresentare un’opportunità per Enphase. Se infatti SolarEdge dovesse uscire di scena – eventualità tutt’altro che remota – Enphase potrebbe accaparrarsi una quota di mercato significativa.

Un vantaggio competitivo che potrebbe fare la differenza

Enphase deve confrontarsi anche con colossi come Tesla (TSLA), ma la sua tecnologia proprietaria, basata sui microinverter, le conferisce un vantaggio competitivo non trascurabile. Quando i tassi cominceranno a scendere, i mutui diventeranno più accessibili, la domanda di abitazioni riprenderà e le ristrutturazioni torneranno a crescere: tutti fattori che potrebbero giocare a favore di Enphase.

Per quanto riguarda SolarEdge, la mia opinione è netta: le probabilità di un default sono elevate. Basta guardarsi intorno. Negli ultimi mesi abbiamo assistito al fallimento di diversi operatori del settore solare: Sunnova, Sunworks, iSun, SunPower. Il problema ricorrente? Troppo debito e perdite continue. Enphase, invece, non presenta questi sintomi. L’azienda dispone di quasi 1,5 miliardi di dollari in cassa e investimenti a breve termine, a fronte di soli 630 milioni di debiti a lungo termine. Il flusso di cassa operativo è solido: 513 milioni di dollari. Un bilancio decisamente sano.

Al contrario, SolarEdge ha perso oltre 1,8 miliardi di dollari nell’ultimo anno e il suo flusso di cassa operativo nel 2024 è stato negativo per oltre 300 milioni. Se SolarEdge dovesse cadere, per Enphase si aprirebbe un'opportunità enorme.

Il nodo della politica fiscale

Naturalmente, non possiamo ignorare i rischi. Di recente, la commissione Finanze del Senato USA ha presentato modifiche al disegno di legge fiscale che prevedono l’eliminazione graduale dei crediti d’imposta per l’energia solare ed eolica entro il 2028. Una notizia che ha spinto al ribasso Enphase e l’intero settore.

Tuttavia, è importante mantenere la prospettiva: si tratterebbe di una transizione graduale, e nel frattempo i tassi d’interesse più bassi potrebbero dare nuova linfa al settore. Inoltre, con i prezzi del petrolio, del gas e di altre fonti energetiche ancora elevati, molte famiglie potrebbero considerare le soluzioni offerte da Enphase come alternative economicamente vantaggiose, anche in assenza di incentivi fiscali.

Inoltre, non è affatto scontato che il testo definitivo della legge sia così penalizzante per il settore. Potrebbero emergere nuove forme di sostegno, anche in base all’orientamento della futura amministrazione. Dopotutto, è difficile immaginare una politica che voglia deliberatamente azzerare l’industria solare.

Due titoli da tenere d’occhio

Se oggi dovessi scegliere due aziende del solare su cui puntare nel lungo termine, probabilmente opterei per Enphase e First Solar (FSLR). Naturalmente, continuerò a monitorare da vicino eventuali segnali di difficoltà finanziarie, ma al momento Enphase appare ben posizionata per resistere alle turbolenze.

Conclusione: rischio alto, ma anche potenziale alto

Enphase vanta una leadership di mercato consolidata, una gestione competente e una delle tecnologie più avanzate nel settore dell’energia solare residenziale. Ma ci sono anche diverse ombre. I tassi sui mutui restano elevati, rallentando il mercato immobiliare e quindi anche la domanda di soluzioni Enphase. Il contesto macro resta ostico: prezzi bassi per le fonti fossili, concorrenza dell’energia nucleare, nuove tariffe e incertezza normativa.

Il crollo del titolo del 17 giugno, a seguito della proposta di riduzione degli incentivi, ne è un esempio lampante.

In definitiva, credo ancora nel potenziale di lungo termine di Enphase, ma è fondamentale essere consapevoli dei rischi. Tra tassi, politica, concorrenza e mutamenti normativi, il cammino sarà tutto fuorché lineare. Chi investe oggi deve farlo con una visione di lungo periodo e una buona tolleranza alla volatilità.

AppLovin: entusiasmo alle stelle, ma la realtà non giustifica la valutazione

Negli ultimi mesi il titolo AppLovin ha guadagnato oltre il 20%, ma a mio avviso questo rialzo ha più a che fare con il timore di restare fuori dal rally (il classico FOMO) che con un reale miglioramento dei fondamentali. Anzi, rispetto alla mia analisi precedente, la valutazione appare oggi ancora più esagerata.

Nel lungo termine, continuo a vedere un rischio competitivo importante: il settore in cui opera AppLovin, tecnologie pubblicitarie e monetizzazione per sviluppatori di app, potrebbe facilmente diventare territorio di conquista per colossi come Google e Meta. Al momento non vi è una sovrapposizione diretta, ma entrambi hanno dimostrato di essere disposti a entrare in nuovi mercati per creare valore per gli azionisti. Se dovessero decidere di espandersi in modo più aggressivo, AppLovin avrebbe davvero vita dura.

La crescita rallenta

AppLovin si presenta come una piattaforma software che aiuta gli inserzionisti a massimizzare l’impatto delle campagne pubblicitarie e la monetizzazione dei contenuti. Opera tramite due divisioni: Advertising e Apps. La crescita dei ricavi è ancora forte (+40% anno su anno nell’ultimo trimestre), ma il tasso è leggermente inferiore al +44% registrato nel trimestre precedente: non un crollo, ma nemmeno un’accelerazione.

Inoltre, se si guarda agli utili per azione (EPS), il segnale è ancora più evidente: l’EPS ha subito un calo sequenziale tra il Q4 2024 e il Q1 2025, pur in presenza di una crescita dei ricavi. Questo potrebbe indicare che l’azienda abbia già raggiunto il massimo potenziale di leva operativa. Insomma, le fasi più esplosive della crescita potrebbero essere alle spalle.

Gestione del capitale: qualche perplessità

Un altro segnale d’allarme arriva dalla gestione del capitale. Nel primo trimestre dell’anno, AppLovin ha riacquistato azioni proprie per quasi 1,2 miliardi di dollari, una cifra mai vista prima. Ma questa decisione solleva due perplessità:

  1. Il bilancio è già abbastanza indebitato: perché non rafforzare la struttura finanziaria invece di spendere cifre record per buyback? Aziende come Google e Meta, che dominano il settore, mantengono posizioni nette di cassa molto solide proprio per potersi muovere rapidamente se si presentano opportunità tecnologiche o acquisizioni interessanti. AppLovin, con un bilancio meno flessibile, corre il rischio di restare indietro.

  2. R&S stagnante: nonostante la forte crescita dei ricavi, la spesa in ricerca e sviluppo non sta crescendo. E questo è preoccupante in un settore ad alto tasso di innovazione. Puntare tutto sui riacquisti di azioni senza aumentare gli investimenti in innovazione potrebbe compromettere la competitività futura dell’azienda.

Nel complesso, si iniziano a vedere segnali di raffreddamento dell’interesse da parte degli investitori: i volumi di scambio sono in forte calo e ben al di sotto della media mensile.

Valutazione fuori scala

La valutazione attuale è, a mio avviso, eccessiva. Anche usando ipotesi molto ottimistiche in un modello di sconto dei flussi di cassa (DCF), il valore equo dell’intera azienda si aggira intorno ai 67 miliardi di dollari, ben lontano dagli oltre 125 miliardi attuali.

Nello scenario migliore, assumendo una crescita dell’FCF del 79% nel 2026 e del 47% nel 2027, e anche una crescita perpetua ottimistica del 3%, non si arriva comunque a giustificare una valutazione a tre cifre in miliardi. Anche riducendo il tasso di sconto dal 15,34% al 12%, il fair value resta sotto i 100 miliardi.

E guardando ai multipli: AppLovin capitalizza 125 miliardi a fronte di 5 miliardi di ricavi. Anche raddoppiando questi ricavi entro il 2028, il price-to-sales rimarrebbe sopra 10 — un multiplo riservato a società con una redditività e un vantaggio competitivo fuori dal comune. Inoltre, il titolo scambia a 65 volte il valore contabile e a 40 volte il free cash flow prospettico. Non proprio un affare.

I possibili catalizzatori positivi

Detto questo, ci sono alcuni elementi che potrebbero sostenere ancora il titolo nel breve termine:

  • Il sentiment degli analisti resta molto positivo: la maggior parte delle valutazioni su Wall Street è bullish.

  • L’effetto FOMO è ancora molto forte: AppLovin sta beneficiando di un momentum che attira nuovi investitori.

  • Un eventuale atteggiamento più accomodante da parte della Fed potrebbe spingere al rialzo l’intero mercato azionario, inclusa AppLovin.

Conclusione

In definitiva, anche se nel breve il FOMO potrebbe continuare a sostenere il titolo, i fondamentali non giustificano l’attuale valutazione. La crescita sembra aver toccato il picco, la gestione del capitale non è particolarmente prudente e i multipli sono tra i più elevati del settore. Per questo, mantengo una valutazione di "Sell": il rischio di una forte correzione è tutt’altro che remoto.

lunedì 16 giugno 2025

Alert: chiudo Skyward Insurance (SKWD) con un gain del +42%

Skyward Specialty Insurance è una compagnia assicurativa americana specializzata nel settore Property & Casualty (P&C), con un focus particolare su segmenti "di nicchia", cioè linee assicurative che i grandi player del mercato tendono a trascurare. Un approccio interessante, innovativo, e potenzialmente redditizio, ma non privo di ombre.

Al momento, il titolo SKWD viene scambiato a multipli superiori alla sua media storica e anche rispetto a molte concorrenti dirette. A questo si aggiunge un altro elemento poco attrattivo per l’investitore di lungo periodo: l’assenza di dividendi. Un mix che impone una certa cautela.

Un business focalizzato, ma giovane e ancora in fase di costruzione

Fondata nel 2006 e quotata al Nasdaq solo dal 2023, Skyward è una realtà relativamente giovane e di dimensioni contenute, con una capitalizzazione di circa 1,9 miliardi di dollari. Opera offrendo polizze commerciali P&C sia in regime "admitted" (cioè con licenza statale) sia "non-admitted" (tramite broker wholesale), coprendo ambiti come la responsabilità civile, l’auto aziendale e le assicurazioni per infortuni di gruppo.

Una delle sue carte vincenti è la diversificazione per linee di business: oggi tutte e otto le divisioni superano i 100 milioni di dollari in premi annui lordi, contro solo cinque divisioni nel 2022. Un traguardo importante secondo il management, che ritiene questa soglia la base per operare in modo sostenibile.

Ma attenzione: circa il 57% dei premi proviene da linee non-admitted, un canale che offre maggiore flessibilità tariffaria ma anche maggiore volatilità e rischio regolatorio. Non tutti gli stati guardano con favore a compagnie che operano senza licenza diretta.

Come molte compagnie moderne, Skyward punta sull’uso intensivo della tecnologia, in particolare tramite la sua piattaforma proprietaria SkyBI, un sistema di business intelligence che supporta le decisioni di sottoscrizione e gestione sinistri. L’ambizione è chiara: costruire un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Ma la realtà, per ora, è meno brillante.

Il lato positivo? La crescita dei premi. Nei primi nove mesi del 2024, Skyward ha registrato un aumento annuo del 19% nei premi lordi sottoscritti, cavalcando un contesto di mercato favorevole per il settore P&C. Anche il risultato netto è balzato a 104 milioni di dollari (+84% su base annua), spinto da un forte aumento dei proventi da investimento (+128%).

Tuttavia, questa crescita non è stata accompagnata da un miglioramento dell'efficienza operativa. Il combined ratio è rimasto inchiodato al 91%, e il cambiamento nel mix di business ha comportato costi più alti di acquisizione e gestione, che erodono parte dei benefici derivanti dai volumi.

Inoltre, Skyward ha dovuto affrontare eventi avversi: nel Q4 2024, ha subito l’impatto dell’uragano Milton, che ha aumentato i costi da sinistri catastrofali e ha incrementato le riserve per sinistri pregressi di 25 milioni di dollari, connessi a una operazione di trasferimento rischi (LPT). Il risultato al netto di questo one-off, è comunque sceso rispetto al trimestre precedente.

Per il 2025, la società prevede una crescita degli utili tra il 12% e il 20%, con un utile netto stimato tra 138 e 150 milioni di dollari e un ROE intorno al 19%. Valori solidi, ma in un contesto dove le perdite da eventi come i recenti incendi in California potrebbero ancora rappresentare rischi significativi per la redditività. Skyward stima perdite nette inferiori a 10 milioni da questi eventi, ma il rischio catastrofale resta una variabile poco controllabile e sempre presente.

Attualmente il titolo SKWD scambia a 2,5 volte il valore contabile, un multiplo superiore alla sua media recente (2x) e anche al valore medio dei peer (circa 2,3x). Considerando che il suo ROE si aggira sotto il 20% e che la sua efficienza operativa è ancora in fase di ottimizzazione, il titolo non sembra a sconto.

L’IPO è avvenuta solo nel 2023, quindi la storia borsistica è breve e i confronti storici sono limitati. Ma alla luce dei dati attuali, è difficile sostenere che Skyward sia un affare imperdibile a questi prezzi.

Il potenziale c’è, ma oggi il rischio supera il rendimento. 

Skyward è senza dubbio una realtà dinamica, con un posizionamento interessante nel mondo delle assicurazioni specialistiche e un buon potenziale di crescita nel lungo termine. Ma nel breve periodo, il quadro è meno entusiasmante: valutazione elevata, margini tecnici ancora da consolidare, eventi catastrofici ricorrenti e nessun dividendo all’orizzonte.

Per un investitore di lungo termine, l’attuale livello del titolo non rappresenta un punto d’ingresso ideale ma di una uscita dopo un buon gain.

TSMC: un colosso sempre più centrale nella corsa all’intelligenza artificiale

TSMC ha recentemente pubblicato i risultati relativi ai ricavi di maggio 2025, confermando un trend di crescita impressionante: +39,6% su base annua. Un dato che parla chiaro e che, soprattutto, dimostra come le recenti turbolenze commerciali abbiano avuto un impatto minimo sulle performance dell’azienda. Se allarghiamo lo sguardo ai primi cinque mesi dell’anno, la crescita è addirittura del 42,6%, a testimonianza di un’accelerazione costante.

Ma non si tratta solo di ricavi: anche la quota di mercato di TSMC continua ad espandersi. Secondo un report di TrendForce, nel primo trimestre del 2025 ha raggiunto il 67,6%, in aumento rispetto al 67,1% del trimestre precedente. Un risultato ancora più significativo se consideriamo che il principale inseguitore, Samsung Foundry, ha visto scendere la propria quota dall’8,1% al 7,7%. Questo spostamento di equilibri favorisce TSMC, soprattutto in termini di potere di pricing: con una posizione dominante, diventa più semplice dettare le regole del gioco.

Un altro segnale incoraggiante arriva dai progressi tecnologici. Il nuovo processo produttivo a 2 nanometri ha superato il 90% di resa, una pietra miliare per l’efficienza e la redditività futura. Al contrario, Intel, nonostante gli investimenti e i sussidi pubblici, continua a faticare nel rilanciare la propria attività di fonderia. Tutto questo rafforza la posizione di TSMC come perno centrale dell’ecosistema dei semiconduttori.


Un titolo che ha saputo recuperare

Il mercato, dopo una fase di incertezza, sembra aver ritrovato fiducia in TSMC. Ad aprile, il titolo era sceso fino a 141 dollari dai 220 di inizio anno. Ma in poche settimane, ha recuperato terreno, tornando sopra i 210 dollari con un rimbalzo del 50%. A rafforzare il sentiment positivo ci ha pensato anche il report di maggio: TSMC ha generato ricavi per oltre 320 miliardi di dollari taiwanesi, beneficiando della resilienza negli investimenti in infrastrutture AI da parte delle big tech. Il suo ruolo cruciale nella produzione di chip avanzati, unito a una supply chain ben gestita, continua ad attrarre clienti di alto profilo.

Leadership confermata e difficoltà dei competitor

La leadership di TSMC nel settore delle fonderie non è in discussione. Con una quota di mercato vicina ai due terzi, è difficile immaginare un rivale che possa seriamente insidiarla nel breve periodo. Al contrario, i competitor arrancano. Samsung ha perso terreno, e Intel fatica a trovare una direzione chiara. Questo rafforza la posizione di TSMC come fornitore preferito per i chip più avanzati, fondamentali per l’intelligenza artificiale.

È interessante osservare il confronto con un altro gigante del settore: Nvidia. Anche se entrambe le aziende dominano in modo significativo nei rispettivi mercati, TSMC potrebbe godere di una posizione più difendibile nel tempo. Nvidia, infatti, deve fare i conti con una concorrenza crescente – AMD, ad esempio, ha già annunciato il chip MI400 e stretto una partnership con OpenAI – mentre TSMC, grazie all’elevato costo di ingresso e alla complessità della sua supply chain, rimane difficilmente replicabile.

Innovazione e crescita futura

L’innovazione resta il cuore pulsante di TSMC. Il successo del processo a 2 nm e l’espansione dello stabilimento in Arizona, sostenuta anche dalla politica industriale statunitense, potrebbero rafforzare ulteriormente il legame dell’azienda con Washington e aprire la strada a future acquisizioni strategiche – come, ipoteticamente, quella delle attività di fonderia di Intel.

Anche sul piano finanziario, ci sono segnali confortanti. Dopo il picco del 2023, i margini lordi sono tornati a salire, e c’è spazio per ulteriori miglioramenti. La grande domanda per gli investitori è se TSMC riuscirà a tradurre la propria posizione dominante in una crescita sostenibile dell’utile per azione (EPS). Con l’aumento della domanda per i chip AI, l’azienda potrebbe aumentare i prezzi dei suoi processi più avanzati, migliorando al contempo la redditività.

Valutazione interessante per un leader globale

Le prospettive per i prossimi anni sono solide. Si prevede una crescita del fatturato del 41,5% nel 2025, con un ritmo ancora positivo nel 2026 (+16,7%) e nel 2027 (+15,8%). Anche l’EPS è atteso in crescita e il titolo oggi viene scambiato a meno di 20 volte l’utile stimato per il 2026: una valutazione contenuta, soprattutto se confrontata con altri colossi tecnologici.

In un contesto in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo gli equilibri del settore tech, TSMC si presenta come un attore solido, innovativo e ben posizionato per capitalizzare questo trend. La crescita del fatturato, l’espansione della quota di mercato, l’efficienza produttiva e una valutazione ancora interessante fanno del titolo una delle scommesse più convincenti per chi cerca esposizione al boom dell’AI. Samsung e Intel restano indietro, mentre TSMC consolida la propria leadership. Il potenziale c’è tutto. E anche il mercato, a giudicare dal recente rally, sembra essersene accorto.

AbbVie come investimento orientato ai dividendi

Se sei un investitore focalizzato sul reddito, starai cercando azioni capaci di coniugare rendimenti interessanti, solidi fondamentali e una storia credibile di crescita dei dividendi. Ma, come accade spesso agli inizi, avrai imparato cose negative in questo passaggio. Ci lasciamo affascinare da rendimenti elevati senza guardare troppo in profondità. Non sorprende che abbiamo incrociato qualche "trappola del rendimento", con conseguenti tagli ai dividendi e titoli in discesa libera.

Col tempo, la mia strategia si è evoluta: oggi non mi accontento più di un alto yield se non è sostenuto da fondamentali robusti. Tuttavia, questo approccio più prudente mi ha portato anche a scartare opportunità valide, frenato da un eccessivo scetticismo. Un esempio? AbbVie.

Il titolo mi ha sempre incuriosito, soprattutto tra il 2019 e il 2022, quando offriva un rendimento oscillante tra il 4% e il 7%. Eppure, pur conoscendone lo status da “aristocratica del dividendo”, il prezzo stagnante e l'alto yield mi hanno fatto diffidare. Ho aspettato. Poi, quando finalmente il titolo ha rotto al rialzo, ho scelto... di aspettare ancora. Il risultato? Non ho mai comprato, e il prezzo non è più tornato indietro.

E oggi, guardando i numeri e la traiettoria dell’azienda, mi chiedo se non sia arrivato il momento di riconsiderare AbbVie con occhi nuovi. Proviamo a fare il punto.

Chi è AbbVie oggi

AbbVie nasce ufficialmente nel 2013 dallo spin-off di Abbott Laboratories, con l’obiettivo di separare le attività farmaceutiche innovative da quelle più orientate alla commercializzazione. Con sede a North Chicago, l’azienda è cresciuta fino a diventare una delle principali realtà biofarmaceutiche globali.

Se il nome di AbbVie è da sempre associato al blockbuster Humira, oggi la vera forza trainante risiede in due farmaci immunologici: Skyrizi e Rinvoq. Il loro successo ha permesso all’azienda di superare senza traumi la scadenza del brevetto di Humira negli USA.

I numeri parlano chiaro

Nel suo ultimo aggiornamento trimestrale, AbbVie ha alzato le stime di utile per azione per l’intero 2025, passando da un range di $11,99-$12,19 a $12,09-$12,29. Una revisione al rialzo che riflette la fiducia del management nel potenziale di crescita di Skyrizi e Rinvoq.

I ricavi trimestrali hanno raggiunto 13,34 miliardi di dollari (+8,4% a/a), mentre l’utile per azione rettificato è salito a $2,46 (+6,5%). In particolare, il segmento immunologico ha messo a segno un +16,6%, trainato da Skyrizi (3,4 miliardi) e Rinvoq (1,7 miliardi).


Questi risultati sono ancora più notevoli se si considera che Humira, dopo la perdita di esclusiva, ha registrato un calo delle vendite del 50%, attestandosi a 1,12 miliardi. Tuttavia, l’azienda è riuscita a compensare ampiamente grazie al dinamismo del resto del portafoglio, in crescita del 21% su base annua.

Un dividendo solido e crescente

Un aspetto che continuo ad ammirare di AbbVie è la sua disciplina nella distribuzione dei dividendi. A febbraio ha incrementato la cedola trimestrale da $1,55 a $1,64 per azione, prolungando una tradizione di 52 anni di aumenti consecutivi (inclusa l’era Abbott). Dallo spin-off, il dividendo trimestrale è cresciuto del 310%.

Oggi il titolo offre un rendimento tra il 3% e il 4%, ben al di sopra della media del settore sanitario (intorno all’1,3%). E non si tratta di crescita a scapito della sostenibilità: il payout ratio è al 62%, ben coperto dal free cash flow.

Anche se il tasso di crescita dei dividendi si è raffreddato – da un CAGR decennale del 13% a uno triennale del 5,6% – AbbVie punta a mantenere un ritmo stabile del 5-7%, una soglia prudente ma interessante per chi cerca rendimento e solidità.

Cosa c’è oltre Rinvoq e Skyrizi? Una pipeline promettente

Per sostenere la crescita nel lungo periodo, AbbVie sta puntando su un ampio portafoglio in sviluppo, con focus in tre aree chiave:

Oncologia: numerosi candidati (tra cui ABBV-383, Teliso-V, ABBV-969) sono in fase avanzata di sperimentazione contro tumori solidi e mieloma multiplo.

Autoimmuni, infiammazioni e obesità: oltre a espandere le indicazioni di Skyrizi e Rinvoq, AbbVie ha acquisito il candidato NX-13 (colite ulcerosa) e ha avviato una collaborazione per un trattamento sperimentale contro l’obesità.

Neurologia: Tavapadon per il Parkinson e l’ampliamento delle indicazioni per Vraylar (già approvato per schizofrenia e disturbo bipolare) testimoniano l’interesse dell’azienda in quest’area.


La mia conclusione: AbbVie oggi è un’occasione?

Guardandomi indietro, ammetto di essermi lasciato scappare una grande opportunità tra il 2019 e il 2022. E sebbene i rendimenti attuali non siano più quelli di allora, oggi vedo in AbbVie una società solida, con un dividendo sostenibile e in crescita, una pipeline ben diversificata e due blockbuster già ben posizionati sul mercato.

Il titolo non è più a sconto, ma il suo rendimento rimane interessante in un contesto di incertezza macroeconomica. E, soprattutto, la qualità del business è ancora lì, più chiara che mai. Per me, è arrivato il momento di riconsiderare seriamente AbbVie nel mio portafoglio da dividendo. E questa volta, potrei davvero agire.

mercoledì 11 giugno 2025

Acquisto Monolithic Power Systems (MPWR). La mia tesi è semplice: i multipli di valutazione si muovevano su livelli storicamente contenuti, e nutro grande fiducia sia nel modello di business dell’azienda sia nella capacità del management di continuare a generare una crescita solida e costante.

Va detto, però, che investire in MPWR non è mai stata un’impresa facile. A uno sguardo superficiale, basandosi solo sui multipli, il titolo sembra sempre caro. Ma c’è una ragione: l’azienda ha costruito nel tempo un vantaggio competitivo che le consente di operare in mercati dove le sue soluzioni offrono prestazioni superiori rispetto agli standard. Questo si traduce in pricing power, ovvero nella possibilità di dettare i prezzi in virtù del valore aggiunto che fornisce.

A mio avviso, ci sono due approcci validi per affrontare un investimento in MPWR. Il primo è costruire una posizione nel tempo, scommettendo sulla qualità e sulla resilienza del business nel lungo periodo. Il secondo, quello che ho adottato in passato, è aspettare quei rari momenti in cui i multipli calano, approfittando di finestre temporali di sottovalutazione che tendono a chiudersi rapidamente.

Naturalmente, il mercato ci insegna che il "minimo" può sempre andare ancora più in basso. Ma nel caso di MPWR, rimanere fedeli alla tesi iniziale si è rivelata la scelta giusta.

I risultati del primo trimestre 2025

Il primo trimestre dell’anno si è chiuso con ricavi che hanno toccato la parte alta della guidance aziendale: +39% su base annua e +3% rispetto al trimestre precedente. Ancora una volta, sono rimasto colpito dalla capacità dell’azienda di applicare la propria tecnologia in mercati finali molto diversi tra loro, mantenendo una crescita bilanciata.

Il segmento legato ai data center ha registrato una flessione del 32% su base sequenziale, ma è stato compensato dalla ripresa delle divisioni Storage and Computing e Automotive, che hanno trainato la crescita complessiva.

Credo che il calo nelle vendite ai data center sia legato a una combinazione di fattori: la natura irregolare degli ordini, la concentrazione dei ricavi su pochi clienti e la probabile perdita di quote nella piattaforma B200 di NVIDIA, dove Infineon sembra aver guadagnato terreno, come suggerito anche dalle sue previsioni ottimistiche per il 2025.

Il management di MPWR, tuttavia, si è mostrato fiducioso sulla possibilità di riconquistare terreno nei prossimi trimestri, grazie a nuovi progetti già qualificati che dovrebbero cominciare a contribuire nella seconda metà dell’anno. Non sono stati fatti nomi espliciti, ma è plausibile che ci si riferisca alla piattaforma B300 di NVIDIA, suggerendo quindi un potenziale recupero della quota persa in precedenza.

Focus sull’automotive e sull’intelligenza artificiale

Un altro punto di forza è la continua solidità del settore automobilistico, che resiste bene nonostante un contesto macro incerto e l’inasprimento delle tensioni commerciali globali. Il fatto che i progetti avviati in passato si stiano ora trasformando in ricavi concreti conferma che la strategia di specializzazione e integrazione verticale di MPWR sta pagando, soprattutto nel guadagnare quote di mercato.

Interessante anche il potenziale legato all’intelligenza artificiale: nella seconda metà dell’anno è prevista l’entrata in gioco di nuovi operatori, il che dovrebbe portare a una maggiore diversificazione dei ricavi, riducendo la dipendenza da singoli clienti e mitigando la volatilità osservata finora nel segmento Enterprise. Questo potrebbe anche rafforzare la posizione dell’azienda nelle sue collaborazioni con NVIDIA, ampliando le opportunità future.

Dal punto di vista operativo, MPWR sembra ben posizionata anche per fronteggiare i rischi geopolitici: la sua struttura diversificata tra R&D e produzione le ha permesso finora di contenere l’impatto di dazi e tensioni internazionali.

Segmenti in evoluzione

Il segmento Storage and Computing ha avuto un primo trimestre molto forte, con un +38% su base sequenziale, sostenuto da una domanda effettiva per piattaforme di memoria e calcolo, piuttosto che da un semplice riempimento dei canali. Anche se non ci sono state indicazioni specifiche per il trimestre successivo, il tono del management lascia intendere un andamento stabile, con potenziale normalizzazione verso la fine dell’anno.

Il segmento automobilistico continua la sua corsa, con il terzo trimestre consecutivo di crescita a due cifre. Mi aspetto che questa tendenza prosegua, in particolare con l’adozione di sistemi a 48V e 800V, i cui effetti si vedranno probabilmente nel 2026.



Per il segmento Enterprise, che ha rappresentato il 30% del fatturato negli ultimi dodici mesi ma solo il 21% nel Q1 2025, mi aspetto un’inversione di tendenza nella seconda metà dell’anno, soprattutto se la domanda AI dovesse accelerare come previsto.

Prospettive per l’anno

Secondo le stime medie raccolte da Seeking Alpha, MPWR dovrebbe generare circa 2,66 miliardi di dollari di ricavi nel 2025. Considerando i 637,5 milioni già registrati nel primo trimestre e la guidance di 650 milioni per il secondo, ciò implica circa 1,37 miliardi da realizzare nella seconda metà dell’anno. Questo rappresenterebbe una crescita del 6,5% rispetto al semestre precedente, una proiezione prudente, soprattutto se si considera l’ottimismo mostrato su automotive e AI.

Per questo, credo che ci sia spazio per revisioni al rialzo, soprattutto se il segmento Enterprise dovesse sorprendere positivamente e Storage and Computing non dovesse subire contraccolpi rilevanti.

Rischi da considerare

I principali rischi a breve termine riguardano il contesto macroeconomico globale e la possibilità di una recessione, che potrebbe pesare su titoli ciclici ad alta beta come MPWR. Un altro potenziale ostacolo è il sentiment verso il settore AI: se dovessero emergere dubbi sugli investimenti infrastrutturali previsti per il 2026, la pressione sul titolo potrebbe aumentare. In questo contesto, le iniziative finanziate da attori come l’Arabia Saudita sono un segnale incoraggiante, ma resta da capire quanto saranno rilevanti in termini di ricavi reali.

Conclusione

MPWR continua a fare bene. Il suo approccio focalizzato su soluzioni di nicchia ad alto valore aggiunto si traduce in vantaggi competitivi tangibili e in una crescita ben distribuita tra diversi mercati finali. Anche se i multipli attuali sono tornati vicini alla media storica, e quindi non ritengo opportuno aumentare l’esposizione in modo aggressivo, considero il titolo ancora valido per un investimento di lungo periodo.

Con l’accelerazione della domanda AI e la solidità dimostrata in settori chiave come automotive e computing, MPWR resta un’azienda da comprare, con buone probabilità di sorprese positive nei prossimi trimestri.

Ulta: una storia di valore che evolve

Un anno fa, Ulta si era guadagnata la mia fiducia grazie a fondamentali solidi, vantaggi competitivi ben radicati e una valutazione interessante. All’epoca, il titolo si scambiava a 381 dollari per azione, mentre il mio fair value era di 482 dollari, con un potenziale di rialzo del 25%. Il 30 maggio 2025, quella stima è diventata realtà: Ulta ha raggiunto proprio quota 482 dollari. La tesi, insomma, ha funzionato.

Ma ora, la domanda è: e adesso, dove si va?

Cosa è successo nel 2024

Nel corso del 2024, Ulta ha attraversato un momento difficile. Il mercato ha iniziato a nutrire dubbi sulla capacità dell’azienda di difendersi da una concorrenza crescente e da un consumatore sempre più selettivo. Sebbene queste preoccupazioni non fossero del tutto infondate, non spiegavano pienamente la flessione del titolo. Dopo tutto, la concorrenza nel settore beauty è una costante da sempre, e la domanda di prodotti legati alla cura della persona resta sorprendentemente resiliente.

A mio avviso, le vere difficoltà di Ulta erano due:

  1. Un consumatore in evoluzione, che oggi preferisce marchi specializzati e influencer piuttosto che i brand tradizionali.

  2. Inefficienze operative e infrastrutture datate che hanno limitato la capacità di Ulta di adattarsi in modo rapido.

Il punto chiave? Il mercato vedeva questi problemi come strutturali e duraturi. Io, invece, li consideravo risolvibili. I pilastri competitivi di Ulta erano ancora intatti: un programma fedeltà tra i più popolari del settore, un assortimento che copre tutte le fasce di prezzo, e una rete di negozi ben posizionata, inclusi i mini-store nei punti vendita Target.

In sostanza, il modello di business di Ulta non era cambiato. I clienti avevano – e continuano ad avere – pochi motivi per abbandonare l’ecosistema Ulta. Ciò che era cambiato erano le aspettative, non le fondamenta.

Cosa non ha funzionato e cosa si sta correggendo

Ulta non è riuscita a reagire prontamente all’evoluzione del comportamento dei consumatori. Le principali criticità includevano:

  • Una gestione inefficace dell’inventario

  • Tempi di consegna lenti

  • Un’esperienza digitale insoddisfacente (app e sito web lenti, glitch frequenti)

  • Negozi sottodimensionati in termini di personale

  • Ambienti retail poco curati e poco stimolanti

  • Un assortimento in alcuni casi incompleto

Ma queste difficoltà non sono nate all’improvviso: semplicemente, sono emerse con forza nel momento in cui il comportamento dei clienti è cambiato. E la buona notizia è che il management ha iniziato ad affrontarle con decisione.

La svolta: risultati del primo trimestre 2025

I segnali di miglioramento sono già evidenti. Nel primo trimestre del 2025, Ulta ha battuto le aspettative su tutti i fronti:

  • EPS: 6,70 dollari, ben oltre le attese

  • Ricavi: 2,85 miliardi di dollari, +60 milioni rispetto al consensus

  • Comps: +2,9%, con crescita sia nel valore dello scontrino (+2,3%) sia nel numero di transazioni (+0,6%)

  • Guidance: rivista al rialzo su vendite, EPS e comparabili

Con questi numeri, una crescita del fatturato annuo del 5,5% porterebbe Ulta a chiudere il 2025 con circa 11,9 miliardi di dollari di ricavi. È realistico immaginare un ritorno alla media storica di crescita del 16,2%? Forse. Ma oggi la vera opportunità non è nella top line, bensì nei margini.



La nuova tesi: espansione dei margini

Il punto di forza del 2025, secondo me, è l’efficienza. Se Ulta riuscirà a modernizzare i suoi sistemi (ERP, supply chain, digitale) e migliorare le operations, potrebbe riportare i margini operativi dal 14% al precedente livello del 16%. Questo piccolo cambiamento avrebbe un impatto enorme: porterebbe il fair value del titolo a circa 530 dollari per azione, con un potenziale upside del 15%.

A quel punto, considererei Ulta equamente valutata. Che valga la pena restare investiti per inseguire quest’ultimo 15% dipende dal profilo dell’investitore.

Fondamentali solidi

Ulta resta una macchina da cash flow. I numeri parlano chiaro:

  • Oltre 1 miliardo di dollari di free cash flow annuo

  • 450 milioni di dollari in cassa e zero debiti

  • Riacquisti azionari da 1 miliardo di dollari all’anno per tre anni consecutivi

  • FCFE in crescita del 24% nell’ultimo decennio

E il programma fedeltà è un asset straordinario: 45 milioni di iscritti, ben 10 milioni in più rispetto a Starbucks, pur con un numero di punti vendita infinitamente inferiore. Un dato che sottolinea quanto Ulta sia efficace nel trasformare clienti occasionali in consumatori abituali e fedeli.

Le leve per la crescita futura

Ulta non punta solo ad aumentare le vendite: ha almeno quattro leve strategiche per il lungo termine:

  1. UB Media – Una piattaforma pubblicitaria interna per brand, con potenziale di margini elevati.

  2. Espansione internazionale – Dopo il tentativo interrotto in Canada, Ulta guarda a Messico e Medio Oriente.

  3. Nuove categorie di prodotto – L’ingresso nel grooming maschile potrebbe rappresentare per Ulta quello che la linea uomo è stata per Lululemon.

  4. Espansione dei margini – Una volta terminati i grandi investimenti, l’attenzione tornerà sui margini, soprattutto se UB Media decollerà.

Valutazione: realistica, non ottimistica

Attualmente, il mercato stima una crescita del fatturato del 10,5% annuo per il prossimo decennio, a margini costanti. È uno scenario possibile, ma non esattamente prudente. Tuttavia, se Ulta riuscisse ad aumentare i margini dal 14% al 16%, il titolo potrebbe valere fino a 530 dollari, come già anticipato.

In uno scenario particolarmente favorevole, se il mercato tornasse a prezzare Ulta con un P/E intorno a 22 (la sua media quinquennale), il titolo potrebbe persino superare i 600 dollari per azione.

Rischi da monitorare

Naturalmente, ci sono dei rischi da tenere in considerazione:

  • Ulta potrebbe non riuscire a migliorare la propria efficienza operativa.

  • L’inflazione potrebbe continuare a comprimere i margini.

  • I gusti dei consumatori potrebbero cambiare, e Ulta potrebbe non adattarsi abbastanza in fretta.

  • L’espansione internazionale potrebbe rivelarsi dispendiosa e poco redditizia.

Conclusioni

Ulta oggi non è più l’opportunità value di un anno fa, ma resta un’azienda eccellente. I suoi vantaggi competitivi sono intatti, la base clienti è solida, e il bilancio è impeccabile. Per un investitore istituzionale o con capitali significativi, Ulta rappresenta un’ottima combinazione di dimensione, stabilità e potenziale. Per i piccoli investitori, tuttavia, potrebbe rivelarsi un costo opportunità, soprattutto se ci sono opzioni più asimmetriche altrove.

Detto questo, Ulta continua a generare cassa, ha spazio per espandere i margini, e sta costruendo nuove fonti di reddito ad alta redditività. Credo che, più che sulla crescita del fatturato, il futuro della società si giochi sull’efficienza e sulla redditività.

Stimare oggi un fair value intorno ai 530 dollari è, a mio avviso, realistico. Ma molto dipenderà dall’esecuzione del management nei prossimi trimestri. Se le promesse verranno mantenute, il titolo ha ancora strada da fare. In caso contrario, potrebbe restare fermo o addirittura correggere.

martedì 10 giugno 2025

DocuSign crolla dopo risultati deludenti: il mercato resta diviso sul futuro

DocuSign (DOCU) ha registrato un brusco calo in Borsa dopo aver pubblicato risultati del primo trimestre inferiori alle attese, interrompendo così una serie di trimestri positivi. Venerdì il titolo ha chiuso in calo del 19% a 75,28 dollari, dopo la pubblicazione dei dati finanziari avvenuta giovedì a mercati chiusi.

Il motivo principale del sell-off è legato alle billings, cresciute solo del 4% su base annua, un risultato ben al di sotto delle aspettative e in netto rallentamento rispetto all’11% di crescita registrato nel trimestre precedente. La società ha attribuito la debolezza a un cambiamento nei piani di compensazione del team vendite, che avrebbe ridotto i rinnovi anticipati. Secondo il management, si tratterebbe di una questione di tempistiche, e non di una debolezza strutturale del business.

Tuttavia, gli analisti restano divisi su questa lettura. Secondo Mark Murphy di JP Morgan, “le azioni DocuSign saranno probabilmente penalizzate nel breve termine”, aggiungendo che l’errore del primo trimestre non sembra dipendere da condizioni macroeconomiche avverse. Murphy ha mantenuto un giudizio neutrale sul titolo, ma ha rivisto al ribasso il prezzo obiettivo da 81 a 77 dollari.

Più scettico Karl Keirstead di UBS, secondo cui “la spiegazione fornita da DocuSign potrebbe non raccontare tutta la storia”. L’analista osserva che i clienti tendono a rinnovare i contratti in anticipo quando esauriscono il volume di firme elettroniche incluso. Tra le possibili cause del rallentamento, oltre ai cambiamenti nella strategia di go-to-market, Keirstead cita incertezze macroeconomiche, la ricerca di contratti più strutturati o un’esecuzione commerciale non all’altezza. Anche lui ha mantenuto un rating neutrale, ma ha ridotto il target price da 85 a 80 dollari.

Dal punto di vista finanziario, i risultati sono stati misti. Il fatturato trimestrale si è attestato a 739,6 milioni di dollari, leggermente al di sotto del range previsto (741–751 milioni), mentre l’utile rettificato ha battuto le stime con 90 centesimi per azione rispetto agli 81 centesimi attesi. I ricavi sono comunque cresciuti del 7,6%, raggiungendo 763,7 milioni di dollari, sopra le previsioni medie degli analisti (748 milioni).

Per l’intero esercizio 2026, DocuSign prevede ora un fatturato compreso tra 3,15 e 3,16 miliardi di dollari, in leggera crescita rispetto alla precedente guidance di 3,13–3,14 miliardi. Tuttavia, ha ridimensionato le aspettative iniziali che puntavano a quota 3,4 miliardi.

Un segnale positivo per gli investitori è arrivato dal consiglio di amministrazione, che ha autorizzato un ulteriore miliardo di dollari per il programma di buyback, a conferma della volontà della società di restituire valore agli azionisti.

lunedì 9 giugno 2025

Ulta Beauty: ritorna in territorio poco attraente

Ulta Beauty ha attraversato un periodo particolarmente altalenante sin dall’inizio della pandemia. Dalla vetta del settore retail ai momenti di profonda debolezza, il titolo ha vissuto una sequenza di oscillazioni significative. Oggi si trova in una posizione intermedia, né in crisi né in pieno slancio, ed è il momento giusto per rivedere le prospettive future.

Uno sguardo a Ulta Beauty

Ulta è uno dei principali attori del retail specializzato negli Stati Uniti, leader nel mercato della bellezza accanto a Sephora (controllata da LVMH). Con oltre 1.450 punti vendita e una base clienti di circa 45 milioni di iscritti, la società è diventata uno dei più grandi player fisici nella distribuzione di prodotti di bellezza sul mercato americano.

Fino al 2020, Ulta cresceva rapidamente, aprendo più di 100 nuovi store all’anno e registrando una crescita costante delle vendite comparabili, mantenendo al contempo una forte immagine di marca. Si parlava anche di una futura espansione internazionale, e molti investitori ritenevano che la crescita a doppia cifra sarebbe durata ancora a lungo.

Tuttavia, il contesto macro è cambiato: la fine dell’era dei tassi a zero (ZIRP) e l’accelerazione dell’e-commerce post-pandemia hanno messo sotto pressione il modello di business di Ulta, modificandone le prospettive di lungo periodo.

Dove siamo oggi?

Negli ultimi due anni, Ulta ha vissuto una certa instabilità: tre ribassi superiori al 20%, il passaggio a una nuova CEO e — fatto inedito nella sua storia recente — vendite comparabili negative, al di fuori della parentesi pandemica.

Tuttavia, i risultati del primo trimestre del 2025 sembrano segnare un punto di svolta. Dopo cinque trimestri di crescita inferiore al 5%, Ulta ha registrato un +4,5% nel fatturato, spinto da vendite comparabili in crescita del 2,9% (di cui +2,3% per l’aumento dei prezzi e +0,6% per il traffico). Le nuove aperture hanno contribuito per il restante 1,6%.

Particolarmente interessante è la ripresa delle categorie Skincare & Wellness e Fragranze, che mostrano maggiore appeal nel retail fisico, aiutando Ulta a difendersi meglio dalla concorrenza digitale. Al contrario, i segmenti Cosmetics e Haircare mostrano segni di rallentamento.


Margini e segnali da monitorare

Sul fronte dei margini, Ulta è tornata sopra il 14% di margine operativo, spinta da un miglioramento del margine lordo e dalla stagionalità positiva del primo trimestre. Tuttavia, alcuni segnali restano da monitorare: l’utile netto è frenato dai costi di ammortamento legati ai progetti di ristrutturazione e il flusso di cassa è sotto pressione per via di un livello di scorte mai visto prima. Questo potrebbe indicare la necessità futura di promozioni e sconti, con impatto sui margini.

Un possibile lato positivo è che l’aumento delle scorte potrebbe riflettere un’espansione dell’offerta e l’introduzione di nuovi marchi — un’area dove Ulta era rimasta indietro rispetto a Sephora.

Outlook e valutazione

I solidi dati del Q1 hanno permesso al management di alzare la guidance su ricavi, vendite comparabili ed EPS per l’anno in corso — un’inversione di tendenza dopo vari downgrade. Tuttavia, la crescita prevista rimane modesta: solo +2,7% nei ricavi e un calo dell’utile per azione, nonostante l’importante piano di buyback.

È questo il vero nodo: si tratta di una ripresa strutturale o solo di un "relief rally"? Probabilmente, siamo in una fase di transizione.

I problemi strutturali di Ulta — la crescente competizione online da parte di Amazon, Walmart e dei brand DTC — restano intatti. Anche la capacità di crescita sul territorio nazionale sembra ormai limitata: si investe di più nei negozi esistenti che in nuove aperture, segnale che la fase espansiva è alle battute finali.

In più, l’aumento delle scorte resta un elemento da osservare attentamente, poiché potrebbe tradursi in margini più deboli nei trimestri successivi.

Valutazione: tutto sommato ragionevole

Oggi Ulta viene scambiata a circa 20 volte gli utili attesi per l’anno in corso e 18 volte quelli dell’anno prossimo — multipli inferiori alla media del mercato. Questo la posiziona in una fascia intermedia rispetto ad altri nomi del retail specializzato: sopra Target, in linea con Lowe’s, sotto Home Depot e Tractor Supply.

Tenendo conto del rallentamento della crescita, della pressione competitiva e della normalizzazione dei margini, questi livelli di valutazione appaiono ragionevoli.

Conclusioni: non più in crisi, ma nemmeno a sconto

Ulta ha chiaramente superato la fase più difficile. La nuova leadership ha fatto buoni progressi, la crescita è tornata in positivo e le categorie fisiche stanno contribuendo a sostenere il business.

Tuttavia, è difficile vedere nel titolo un compounder come un tempo. Le prospettive di crescita futura sembrano più contenute, con ricavi previsti in aumento tra il 2% e il 6%, e un EPS in ripresa graduale, trainato più dai buyback che da una reale espansione del business.

Il rischio-rendimento attuale appare bilanciato. Per questo, oggi Ulta è — semplicemente — un titolo da Hold.

mercoledì 28 maggio 2025

UnitedHealth colpita duramente ci vorrà tempo per risorgere

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Sembrano passati mesi, e invece sono bastate due settimane per trasformare UnitedHealth in un caso emblematico di come anche i giganti della sanità possano finire sotto assedio. Le tensioni sono iniziate con le dichiarazioni dell’amministrazione statunitense sull’eliminazione dei Pharmacy Benefit Managers (PBMs), da sempre intermediari controversi. Da lì, la situazione è rapidamente degenerata, culminando con le improvvise dimissioni del CEO Andrew Witty – avvenute nel cuore della notte – e il temporaneo ritorno al timone di Stephen Hemsley, figura storica dell’azienda.

A quel punto, il mercato ha iniziato a vacillare. Le assicurazioni sanitarie, già viste con sospetto per i premi elevati e le frequenti negazioni dei sinistri, sono finite nel mirino. UnitedHealth ha ritirato completamente la guidance, un segnale che raramente preannuncia qualcosa di buono. Il titolo ha iniziato a scivolare, toccando brevemente i 250 dollari. E sebbene ci fosse chi vedeva in questo tracollo un’opportunità – ipotizzando acquisti progressivi a blocchi di 15 dollari – i rischi erano (e restano) tutt’altro che trascurabili.

Un primo trimestre da dimenticare

Il primo segnale concreto di difficoltà è arrivato con i risultati trimestrali. Il fatturato, pur massiccio a 109,6 miliardi di dollari, ha deluso le aspettative, registrando un “buco” di ben 2 miliardi rispetto al consensus. Gli utili per azione rettificati si sono attestati a 7,20 dollari, sotto le attese di 0,09 dollari. Un simile scostamento non si vedeva dal 2008. E il colpo è stato reso ancora più duro dalla totale assenza di previsioni per l’anno in corso.

Utilizzo dei servizi in aumento: un problema strutturale

Il nodo principale riguarda l’aumento significativo dell’utilizzo dei servizi da parte degli iscritti a Medicare Advantage e Optum Health. I nuovi membri sono mediamente meno sani e più bisognosi di cure, fattore che ha fatto esplodere i costi e ridotto drasticamente i margini. La società ha prima ridotto le previsioni per il 2025 di circa il 10%, per poi ritirarle del tutto. Una decisione che non solo ha mandato nel panico gli investitori, ma ha lasciato gli analisti senza punti di riferimento.

Un titolo in balia delle notizie (quasi tutte negative)

Da allora, è stato un susseguirsi quotidiano di notizie, la maggior parte delle quali ha ulteriormente affossato il titolo. In un clima simile, anche i rimbalzi tecnici – come quello che ha riportato momentaneamente le azioni da 250 a 320 dollari – sono apparsi fragili e temporanei. Ogni spiraglio di positività è stato subito spento da nuove criticità: editoriali taglienti, declassamenti da parte degli analisti, indagini federali e dubbi sulla sostenibilità del business model.

Acquisti degli insider: un segnale ambiguo

In questo scenario cupo, alcuni insider di peso – tra cui il presidente Hemsley e il CFO Rex – hanno acquistato azioni per decine di milioni di dollari. In teoria, un segnale di fiducia. Ma in un contesto tanto incerto, non si può escludere che si tratti più di una mossa difensiva che di un’indicazione di reale solidità futura.

L’intervento del governo complica ulteriormente il quadro

A peggiorare ulteriormente la situazione, è arrivata la notizia che i Centers for Medicare & Medicaid Services (CMS) intensificheranno gli audit sui piani Medicare Advantage. Questo potrebbe comportare pesanti recuperi per fatturazioni eccessive. UnitedHealth ha dichiarato di sostenere l’iniziativa, ma l’impatto economico è tutt’altro che trascurabile: se le indagini dovessero far emergere irregolarità, le ripercussioni sui ricavi potrebbero essere gravi.

Cosa aspettarsi ora?

UnitedHealth ha visto evaporare in pochi giorni la reputazione di solidità costruita negli anni. Le previsioni per l’EPS 2025 sono state completamente ritirate, e anche i 20 dollari ipotizzati da alcuni ottimisti implicano un crollo del 22% rispetto alle stime originarie. A questi livelli, il titolo tratta a circa 14,5 volte gli utili attesi, una valutazione che potrebbe sembrare attraente – ma solo se si presume un ritorno rapido alla normalità. E questo è tutto fuorché scontato.

Conclusione: rischi elevati, potenziale solo per stomaci forti

UnitedHealth non è una storia da cassettisti tranquilli. È un titolo che, al momento, resta appeso a un filo. Senza guidance, con la redditività sotto pressione, una leadership instabile e l’attenzione crescente del governo, investire ora equivale a scommettere su un turnaround ancora tutto da dimostrare. Potrà anche esserci valore nei prossimi anni, ma oggi il rischio domina la scena. Per chi deciderà di accumulare, è fondamentale farlo con prudenza, consapevoli che nuovi scossoni potrebbero essere dietro l’angolo.

Palantir: un titolo affascinante ma pericolosamente sopravvalutato

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Abbiamo recentemente deciso di chiudere la nostra posizione short su Palantir (NASDAQ: PLTR), dopo un'improvvisa e consistente impennata del titolo – circa il 40% di rialzo solo da inizio aprile. Il nostro stop-loss è scattato, costringendoci ad accettare una perdita, seppur contenuta, dato che si trattava di una posizione marginale del nostro portafoglio.

Eppure, riteniamo che l’idea alla base della nostra posizione ribassista fosse solida. Abbiamo sbagliato il timing, non la logica. Ma come ricorda una delle massime più spietate della finanza: "Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa restare solvente".

Ed è proprio sull'irrazionalità del mercato che vogliamo porre l'accento. Nonostante la recente euforia intorno al titolo, continuiamo a considerare Palantir un investimento estremamente rischioso e oggi lo classifichiamo come SELL. La valutazione attuale – sopra i 120 dollari per azione – offre un margine di sicurezza quasi nullo e comporta una serie di rischi che, a nostro avviso, non possono essere ignorati da chi investe con prudenza.



Cosa non ha funzionato... e perché non ci fidiamo ancora

Le azioni di Palantir avevano cominciato a cedere terreno già a febbraio, in seguito all'annuncio di tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa – un cliente chiave per l’azienda. La situazione è poi peggiorata con l’introduzione di dazi commerciali, che hanno gettato ombre sull’intero mercato azionario. Ma a inizio aprile qualcosa è cambiato: l’annuncio di una sospensione temporanea dei dazi ha invertito la rotta e, complice un miglioramento del sentiment macroeconomico, il titolo è rimbalzato.

A quel punto sono arrivati anche i numeri: ricavi in crescita del 40% su base annua, margini in espansione, contratti governativi in aumento – e il mercato ha reagito con entusiasmo. In effetti, nel primo trimestre Palantir ha battuto le aspettative con ricavi governativi in salita del 45% e nuovi accordi con la NATO e l’esercito americano. Anche il business commerciale ha mostrato segnali incoraggianti, con un incremento del 39% nella base clienti e previsioni di fatturato riviste al rialzo.

Tutto molto positivo, a prima vista. Ma non lasciamoci ingannare dai titoli euforici: i rischi fondamentali non sono affatto scomparsi. Anzi, oggi più che mai meritano attenzione.

I rischi reali: valutazione, geopolitica e stagflazione

Iniziamo da un dato difficilmente discutibile: Palantir è estremamente sopravvalutata. Il titolo viene scambiato a più di 200 volte gli utili attesi, un livello che può trovare giustificazione solo in uno scenario di crescita straordinaria e ininterrotta. Ma basta poco – un rallentamento macroeconomico, un taglio ai budget pubblici, un freno alla spesa aziendale – per far crollare queste aspettative.

Inoltre, la fragilità del contesto globale alimenta ulteriori incertezze. La Federal Reserve e importanti leader di mercato, come Jamie Dimon di JP Morgan, parlano apertamente del rischio stagflazione: un mix letale di stagnazione economica e inflazione elevata. Se davvero ci stiamo avviando verso questo scenario – alimentato da nuove tensioni commerciali o politiche imprevedibili – l'intero comparto tecnologico potrebbe soffrire, e Palantir rischia di essere tra i titoli più vulnerabili, proprio per la sua valutazione fuori scala.

E poi c’è l’aspetto geopolitico. Dopo la temporanea sospensione degli aiuti militari statunitensi all’Ucraina, l’Unione Europea ha reagito varando un proprio fondo per la difesa, incentivando la produzione locale e limitando l’acquisto di tecnologia militare americana. Questo trend potrebbe rafforzarsi, spingendo i partner internazionali a ridurre la dipendenza dal software statunitense. Palantir, che genera il 71% del proprio fatturato negli Stati Uniti, potrebbe faticare a espandersi nei mercati esteri in un contesto geopolitico così teso.

Un modello che non regge… nemmeno con stime ottimistiche

Abbiamo aggiornato il nostro modello di valutazione alla luce dei recenti risultati trimestrali e delle nuove guidance. Abbiamo assunto ipotesi estremamente aggressive: una crescita dei ricavi del 50% annuo e margini operativi al 50%, ben oltre gli standard di quasi ogni azienda tech quotata. Eppure, anche con queste previsioni, il valore intrinseco che otteniamo è di appena 63 dollari per azione – quasi la metà del prezzo attuale.

Ciò significa che, persino nello scenario migliore, l’investimento in Palantir oggi appare profondamente sbilanciato sul fronte rischio/rendimento. La realtà è che i numeri non giustificano l’attuale euforia.

Conclusioni: entusiasmo sì, ma con prudenza

Riconosciamo i progressi operativi dell’azienda. Palantir sta crescendo, amplia il proprio raggio d’azione e beneficia dell’interesse crescente per l’intelligenza artificiale. Tuttavia, un buon trimestre non basta per giustificare una capitalizzazione che sfida ogni logica fondamentale.

In periodi di entusiasmo collettivo, è facile farsi trascinare dalla narrativa e dimenticare che la valutazione conta. Ma quando il contesto macro cambia – e prima o poi cambierà – i titoli con valutazioni estreme sono i primi a crollare.

Per questo motivo, manteniamo una visione cauta e consideriamo Palantir un titolo da evitare a questi livelli. I rischi sono concreti, sistemici e sottovalutati.

Al momento, non abbiamo più posizioni aperte su Palantir, né long né short. Ma se il mercato dovesse tornare a valutare il titolo con razionalità, potremmo considerare un nuovo ingresso… in tutt'altra direzione.

venerdì 16 maggio 2025

Celsius Holdings (CELH): crescita esplosiva, ma a quale prezzo?

Celsius Holdings (CELH) è una delle storie di crescita più affascinanti degli ultimi anni nel settore del beverage. L’azienda ha saputo intercettare i cambiamenti nei gusti dei consumatori, posizionandosi come il brand di riferimento tra le bevande energetiche “better-for-you”, grazie a una formula senza zuccheri, ricca di ingredienti naturali e orientata alla salute. Ma se da un lato la crescita dei ricavi è stata a dir poco esplosiva, dall’altro la valutazione attuale richiede una riflessione attenta, soprattutto per chi guarda al titolo come possibile investimento di lungo termine.

Una crescita che continua a sorprendere

I numeri parlano chiaro. Nell’ultimo trimestre, Celsius ha messo a segno una crescita dei ricavi del 37% su base annua, trainata da una performance strepitosa nel canale di distribuzione nordamericano, dove le vendite sono aumentate del 38%. Ancora più impressionante è il progresso sequenziale: rispetto al trimestre precedente, le vendite sono cresciute del 15%, segno che la domanda non solo è forte, ma anche in accelerazione.

A sostenere questa dinamica ci sono diversi fattori: una distribuzione sempre più capillare (grazie anche all’accordo strategico con PepsiCo), un marketing aggressivo sui social e nelle palestre, ma soprattutto un prodotto che ha saputo costruirsi un posizionamento premium tra i consumatori più giovani, attenti al benessere e allo stile di vita attivo.

Margini in espansione: la leva dell’efficienza operativa

Non si tratta solo di crescita “top-line”. Celsius sta anche mostrando segnali incoraggianti dal punto di vista della redditività. Il margine lordo è salito al gross margin più alto nella storia dell’azienda, pari al gross margin record di oltre il 50%, grazie a un migliore mix di vendite, all’efficienza nella supply chain e a una maggiore scala operativa.

Anche la redditività operativa è migliorata in modo netto: l’EBITDA adjusted è cresciuto del 81% anno su anno, superando i 100 milioni di dollari trimestrali per la prima volta. La leva operativa comincia a farsi sentire, e il management ha ribadito la volontà di reinvestire parte dei margini per continuare a spingere sulla crescita, soprattutto a livello internazionale.

Espansione globale: le prime mosse fuori dagli Stati Uniti

L’internazionalizzazione rappresenta una delle principali leve di crescita per il futuro. Attualmente, Celsius genera circa il 96% delle vendite in Nord America, ma ha iniziato a muovere i primi passi anche in mercati chiave come il Regno Unito, l’Australia e il Canada. In questi mercati, il brand si sta facendo conoscere attraverso eventi sportivi, collaborazioni con influencer locali e l’ingresso nei principali canali di distribuzione.

È ancora presto per valutare l’impatto di questa espansione, ma l’opportunità è evidente: se Celsius riuscisse anche solo ad avvicinarsi alla penetrazione ottenuta negli Stati Uniti, il potenziale di crescita sarebbe enorme.

Una valutazione che richiede cautela

Tuttavia, non tutto luccica. La valutazione attuale del titolo riflette già gran parte di queste prospettive rosee. Con un P/E forward di oltre 60 e un EV/EBITDA che supera 40, Celsius è valutata come se la sua crescita dovesse continuare a ritmi sostenuti per molti anni. Qualsiasi rallentamento, difficoltà nell’espansione internazionale o pressione competitiva potrebbe avere un impatto significativo sul titolo.

Inoltre, la recente acquisizione di produttori di co-packing potrebbe aumentare l’esposizione a rischi operativi e logistici, seppur con la potenzialità di migliorare ulteriormente i margini nel lungo termine.

Un gioiello della crescita, ma non per tutti i portafogli

Celsius è un’azienda straordinaria dal punto di vista della crescita, del posizionamento di brand e della redditività in miglioramento. È una delle poche realtà nel panorama consumer a registrare tassi di crescita così elevati pur essendo già profittevole. Tuttavia, il prezzo richiesto per partecipare a questa storia è alto.

Per l’investitore orientato alla crescita, disposto ad accettare un certo grado di volatilità e a credere nel potenziale di espansione globale del brand, Celsius rappresenta un’opzione affascinante. Ma per chi cerca valutazioni più conservative o è sensibile ai multipli elevati, potrebbe essere prudente attendere un punto d’ingresso più favorevole.

In ogni caso, Celsius resta un nome da tenere d’occhio: le grandi storie di crescita non passano inosservate, e questa potrebbe essere solo all’inizio.

martedì 6 maggio 2025

PayPal è la Value delle Value, la più sottovalutata di tutte

PayPal ha da poco pubblicato i risultati del primo trimestre, sorprendendo positivamente gli analisti con utili per azione superiori alle attese e una guidance solida per i trimestri successivi. Eppure, nonostante le buone notizie, il mercato non ha reagito come previsto: il titolo è rimasto pressoché invariato. Questo apparente disinteresse potrebbe essere legato ai timori generali sul rallentamento dei consumi e sulle incertezze legate al contesto macroeconomico e geopolitico.

In ogni caso, le azioni PayPal sono ancora in calo del 19% da inizio anno e sembrano oggi scambiare a una delle valutazioni più basse da quando la società è quotata. Alla luce del miglioramento dei fondamentali, continuo a ritenere che questa debolezza offra un’interessante finestra di ingresso per gli investitori orientati al lungo termine.

Dopo un periodo difficile, PayPal ha finalmente ricominciato a crescere anche dal punto di vista della base utenti. Gli account attivi hanno toccato i 436 milioni, un nuovo massimo storico, in leggera crescita rispetto al trimestre precedente e al primo trimestre del 2024. Allo stesso modo, gli utenti attivi mensili, una metrica che meglio riflette il coinvolgimento reale, sono saliti a 224 milioni. Un segnale chiaro: PayPal è ben lontana dall’essere un’azienda “morta”.

Non tutto, però, è stato in crescita: il numero di transazioni totali e di transazioni per account è sceso rispettivamente del 7% e dell’1% rispetto all’anno scorso. Questo calo, tuttavia, è attribuibile in gran parte a Braintree, la piattaforma di elaborazione pagamenti che PayPal sta riposizionando con una strategia orientata alla qualità e alla redditività. Se si esclude questo segmento, le transazioni per account sono invece aumentate, raggiungendo un nuovo record. In altre parole, gli utenti più fedeli e legati al marchio stanno utilizzando PayPal più di prima.

Il volume complessivo dei pagamenti processati (TPV) è cresciuto del 3% rispetto all’anno precedente, arrivando a 417 miliardi di dollari. È vero che la contrazione stagionale del primo trimestre è stata più marcata del solito, ma ancora una volta è Braintree il principale responsabile. In compenso, il segmento Branded Checkout ha continuato a crescere in modo costante, alimentato da grandi piattaforme aziendali, marketplace, e soprattutto da Pay with Venmo, che sta diventando sempre più popolare tra i consumatori.

Particolarmente interessante è la performance del segmento Branded Experiences, che include sia i pagamenti online che quelli fisici, in crescita del 7% su base annua. Questo segnala che PayPal si sta ritagliando un ruolo sempre più solido anche nel mondo offline, rafforzando la propria presenza omnicanale. In questo contesto, le carte di debito hanno registrato un’espansione impressionante: +64% nel volume delle transazioni, +90% di nuovi utenti su base annua, e una crescita del 40% degli utenti attivi mensili per le carte Venmo. Non solo: chi usa la carta spende di più, effettua molte più transazioni e tende a usare PayPal anche nei pagamenti online. Un effetto alone positivo che il management punta a valorizzare ulteriormente.

Anche Venmo sta mostrando un’accelerazione significativa, grazie a una migliore monetizzazione della rete peer-to-peer. Nel primo trimestre, i ricavi di Venmo sono cresciuti del 20% su base annua, con TPV e utenti attivi in netto aumento. PayPal ha così confermato che questo è il tasso di crescita più alto degli ultimi anni per il servizio.

Nel complesso, il primo trimestre si è chiuso con ricavi per 7,8 miliardi di dollari, in lieve crescita (+1%) rispetto all’anno precedente. È vero, si tratta di un risultato leggermente sotto le stime degli analisti, ma il dato nasconde dinamiche positive: i ricavi di Venmo e Branded sono aumentati, mentre il rallentamento di Braintree, pur pesando, fa parte di una strategia consapevole volta a privilegiare la qualità dei volumi.



Il tasso di prelievo – ovvero la quota che PayPal riesce a trattenere sui volumi transati – è leggermente sceso, ma il costo per transazione è diminuito ancora di più, portando a un incremento del margine di transazione in termini assoluti. È un trend molto incoraggiante, che conferma l’effetto leva della strategia orientata alla redditività.

Guardando avanti, la crescita dei ricavi nel secondo trimestre dovrebbe rimanere modesta, ma con segnali di accelerazione nella seconda parte dell’anno. Il CEO ha ribadito la fiducia nella ripresa del segmento Branded, nell’espansione di Venmo e nel potenziale di nuove soluzioni come il BNPL (Buy Now Pay Later), che potrebbe diventare un altro pilastro della crescita futura.

Dal punto di vista della redditività, il margine di transazione ha continuato a migliorare, raggiungendo il livello più alto degli ultimi due anni. L’utile operativo non-GAAP ha toccato un nuovo record a 1,6 miliardi di dollari, con un margine operativo che ha superato per la prima volta da quattro anni la soglia del 20%. Anche l’utile per azione non-GAAP è stato da record: 1,33 dollari, in crescita del 23% rispetto all’anno scorso.

Le previsioni per i trimestri successivi parlano di una crescita dell’EPS attorno all’8% per l’intero 2025. Tuttavia, guardando nel dettaglio le stime e confrontandole con i risultati già raggiunti nei primi sei mesi, sembra che il management stia adottando un approccio estremamente prudente. A mio avviso, c’è un’alta probabilità che PayPal possa superare queste previsioni nel corso dell’anno.

Un ulteriore elemento che potrebbe contribuire alla crescita dell’EPS è il piano di buyback. Nel primo trimestre, PayPal ha riacquistato 19 milioni di azioni per 1,5 miliardi di dollari. Considerando che il titolo è attualmente scambiato ben al di sotto del prezzo medio di riacquisto, è probabile che la società continui ad approfittare di queste valutazioni basse per accelerare ulteriormente il programma, contribuendo così a una crescita per azione ancora più marcata.

In definitiva, sebbene alcuni segmenti continuino a mostrare debolezze legate a scelte strategiche deliberate, la traiettoria complessiva dell’azienda appare positiva. La ripresa del core business, la solida redditività, le iniziative di monetizzazione e l’allocazione intelligente del capitale confermano che PayPal sta tornando a essere una realtà solida e profittevole, con prospettive di crescita interessanti per il medio-lungo termine.