giovedì 31 marzo 2016

Investire in azioni: le migliori due di questo periodo

Investire in titoli azionari americani, a causa dei movimenti dei prezzi del petrolio, è stato a dir poco molto volatile quest'anno, con una forte correlazione tra la materia prima e i principali indici. Questi sono saliti quando il prezzo del petrolio è cresciuto e sono crollati quando quest'ultimo ha invertito la direzione. Nel frattempo, abbiamo visto diversi rapporti economici misti, che non sono riusciti a dare un quadro sufficientemente chiaro dello stato di salute dell'economia statunitense, inducendo addirittura la Fed a rallentare l'aumento dei tassi di interesse e ponendo dei seri interrogativi su quelli futuri.

In una situazione di tale incertezza, sarebbe il caso di investire su azioni di valore. Gli investitori di valore cercano momenti di volatilità per far salire le azioni che hanno prezzi scontati, ma che sono allo stesso tempo fondamentalmente forti da resistere a qualsiasi crisi economica. Nelle prime sei settimane del 2016 i mercati hanno chiuso in perdita, durante tale periodo il prezzo del petrolio era sceso a $ 26 al barile. Il crollo dei prezzi del petrolio a livello mondiale, per lo più a causa della minore domanda in un mercato già sovrabbondante, ha investito tutti i mercati. L'Iran si è preparata ad aggiungere i suoi barili in un mercato petrolifero globale saturo e la Russia ha continuato a pompare petrolio per aumentare la sua economia in difficoltà. D'altra parte, l'economia cinese, risultata debole dopo i tristi rapporti economici, ha sollevato non poche preoccupazioni circa la domanda di petrolio. Da metà febbraio però, i prezzi del petrolio hanno guadagnato oltre il 30% prima della riunione del 17 aprile a Doha, dove l'OPEC e la Russia discuteranno su un congelamento della produzione al fine di far aumentare prezzi. In concomitanza all'aumento dei prezzi del petrolio sono aumentati i mercati azionari. Nonostante questo rally però, gli investitori rimangono nervosi in quanto il livello dell'inventario globale continua a crescere. Dato questo scenario, l'incontro probabilmente non riuscirà a sostenere più di tanto i prezzi. In effetti, i prezzi del petrolio sono scesi circa del 3% Martedì dopo che il Kuwait e Arabia Saudita hanno deciso di riprendere la produzione di petrolio del giacimento di Khafji, gestito congiuntamente.

I dati economici americani continuano a dare segnali contrastanti sullo stato di salute della sua economia, detto questo però, i dati sui posti di lavoro del mese di febbraio, mostrano un solido quadro, questo aumento è generalizzato su diversi settori, tra cui, servizi di ristorazione, commercio al dettaglio, servizi educativi privati e servizi di assistenza sanitaria e sociale. Il settore immobiliare è addirittura più solido di quello che si poteva pensare, con un impressionante dato sulle nuove costruzioni, anche se l'aumento delle vendite di case nuove indica una mancanza di slancio nel settore. Se invece guardiamo i dati sulla produzione, servizi e spesa dei consumatori, la situazione è più cupa, in quanto i produttori hanno ridotto la loro produzione a febbraio per il quinto mese consecutivo, un dato che pesa molto sull'economia. Il settore dei servizi è aumentato lentamente nel mese di febbraio, con i fornitori che rimangono meno ottimisti sulla crescita nel prossimo futuro. Se a questo aggiungiamo il calo delle vendite al dettaglio, con una revisione al ribasso dei dati di gennaio, ci rendiamo conto del perché ci sono preoccupazioni circa le prospettive di crescita dell'economia americana. Mentre la spesa dei consumatori è scarsa, il tasso di inflazione è sceso sotto l'obiettivo della Fed del 2% nel mese di febbraio, questo ha comportato una frenata delle scommesse degli investitori in merito a quando sarebbe avvenuto il prossimo rialzo dei tassi. La Fed ha mantenuto i tassi invariati due settimane fa e ha detto che l'incertezza economica globale, in abbinamento con il crollo dei prezzi del petrolio sono il motivo del ritardo nel rialzo dei tassi nel mese di gennaio e febbraio. Inoltre ha prospettato che ci potrebbero essere due aumenti quest'anno rispetto ai 4 previsti nella riunione di Dicembre. Il Presidente della FED Janet Yellen ha detto che si aspetta aumenti dei tassi graduali nel tempo visto che la crescita dell'economia statunitense quest'anno sarà più debole del previsto. Ha inoltre aggiunto, però che se dovesse notevolmente migliorare, la FED potrà facilmente aumentarli. Tuttavia, in contrapposizione alle sue convinzioni, diversi funzionari ritengono che l'economia americana sia sufficientemente resistente e che possa supportare un secondo aumento a breve.

Detto che il mercato ha subito forti oscillazioni a causa dei movimenti del prezzo del petrolio, che i dati macroeconomici sono stati misti e che ci sono indecisioni sui futuri aumenti dei tassi, il sentiment degli investitori è continuamente afflitto, per cui in mezzo a questa volatilità, potrebbe essere prudente investire in azioni di valore, percepite come occasioni o sottovalutate. Chi investe in questo tipo di azione, la tiene fino a quando non incontra il suo prezzo indicativo, o addirittura anche di più se l'azienda dimostra di avere una redditività costante. Nel frattempo, i titoli di valore con una capitalizzazione medio/grande sono maggiormente attraenti nei periodi di volatilità dal momento che sono leader del settore e possono sopportare meglio le battute d'arresto rispetto ai loro coetanei più piccoli. La scelta è ricaduta quindi, su due aziende leader dei loro rispettivi settori.

Johnson & Johnson (JNJ) sviluppa, produce e commercializza vari prodotti nel settore sanitario, farmaceutico e per la cura della persona in tutto il mondo. E' stata fondata da Robert Wood Johnson I, James Wood Johnson e Edward Mead Johnson Sr. nel 1886 e ha sede a New Brunswick, NJ. Nelle ultime trimestrali la società ha pubblicato un EPS di $1,44 superiore alle aspettative degli analisti, i ricavi sono stati pari a $17,81B. La società ha inoltre aumentato le sue aspettative per il 2016.

HCA Holdings (HCA), possiede e gestisce ospedali non governativi negli Stati Uniti, nonché centri di chirurgia freestanding, centri diagnostici e di imaging, e centri di terapia oncologica, di riabilitazione completa e centri di terapia fisica. Inoltre fornisce i servizi per specialità mediche come medicina interna, chirurgia generale, cardiologia, oncologia, neurochirurgia, ortopedia e ostetricia, così come servizi di diagnosi e di emergenza. HCA Holdings è stata fondata il 22 novembre 2010 ed ha sede a Nashville, TN. Nelle ultime trimestrali la società ha pubblicato un EPS di $ 1,69, che ha battuto le aspettative degli analisti di $0,30. I ricavi sono stati pari a $ 10,25B, +6,3% su base annua) superiori alle attese di Wall Street di $90M.



giovedì 24 marzo 2016

Investire in Telecom: quale sarà il suo destino?

Telecom Italia (TIT.MI) è la prima società italiana in materia di telecomunicazione, attiva anche sul mercato estero, che presta servizi di telefonia fissa, mobile, internet e tv via cavo (con tecnologia IRTV). Per l’Italia, la società adotta il nome TIM per quanto riguarda la rete mobile. La stessa Telecom è inoltre gestore in parte della rete internet dell’Amministrazione pubblica italiana. Quasi 53 mila persone lavorano ogni giorno nel Gruppo e nei prossimi tre anni per l'innovazione delle reti e dei servizi investirà circa 6,7 miliardi euro. L'idea della società è di portare entro il 2018 all'84% degli Italiani la copertura con la rete ultrabroadband fissa e al 98% quella mobile. Alla fine del 2015 la prima ha già raggiunto il 42% della popolazione e la seconda l'88%.

Per il quarto anno consecutivo, Telecom ha ricevuto la certificazione di Top Employers, dalla Top Employers Institute sulle condizioni di lavoro adottate dalle aziende italiane. Confermando così la presenza in un prestigioso gruppo di aziende al top, che rappresentano un esempio significativo e meritevole nel panorama imprenditoriale italiano e possono esibire con giusto orgoglio il marchio di qualità ed eccellenza Top Employers. La certificazione Top Employers viene assegnata, infatti, in tutto il mondo, solo a quelle aziende che dimostrano di poter offrire eccellenti condizioni di lavoro alle proprie persone.

Questo e altro ancora,  porta Telecom a diventare un'ambita preda per operatori stranieri, desiderosi di "investire" nel nostro paese, sopratutto di nazionalità francese, vedi Orange e Vivendi.

Quella tra Telecom Italia e Orange non sarebbe una fusione ma un'acquisizione di un'azienda privata strategica italiana da parte di una società controllata di fatto dallo stato francese. Con implicazioni sull'importante piano di diffusione della banca larga in Italia e anche sulla sicurezza nazionale. Sono numerosi i dubbi espressi dall'associazione degli azionisti di Telecom Italia, in una lettera inviata al presidente del Consiglio Renzi, al ministro dell'Economia Padoan e a numerosi esponenti delle competenti commissioni parlamentari all'indomani del vertice italo-francese. I piccoli azionisti avevano in passato manifestato un certo stupore per l'ingresso di Vivendi nell'azionariato di Telecom dopo che la società francese aveva dismesso tutte le partecipazioni in aziende per il servizio telefonico. Abbiamo assistito in questi ultimi mesi a un aumento progressivo della partecipazione di Vivendi nell'azionariato di Telecom Italia, oggi portato al 24,9%, un livello prossimo alla soglia dell'OPA. Ci aveva stupito invece l'opposizione della società francese alla conversione delle azioni di risparmio che avrebbero permesso a Telecom di disporre di un capitale idoneo ai corposi investimenti nella nuova rete che necessariamente dovrà attuare la società per fare evolvere la rete in modo da garantirne la competitività sul mercato. Il dubbio, in gran parte confermato, era che l'interesse per la società italiana fosse stato concordato a più alto livello e che la partecipazione attiva di Vivendi nascondesse una più ampia strategia del sistema francese mirata ad entrare in un settore strategico quale quello delle comunicazioni italiane.

La domanda che ci dobbiamo porre è, anzitutto quale sono i vantaggi per Telecom e il nostro Paese qualora Orange, controllata di fatto dallo Stato che ne detiene circa il 24% possa acquisire Telecom, società privata e non partecipata dallo Stato. Esiste il pericolo che l'operatore italiano ricada in qualche modo sotto la responsabilità delle decisioni del Governo francese? In nessun grande Paese europeo viene configurata una ipotesi così bizzarra e discutibile. Andrebbe valutato poi sopratutto, l'influenza che la cessione della società ad un azionista con partecipazione statale avrebbe su un aspetto di grande importanza per il nostro Paese, la sicurezza delle informazioni che viaggiano sulla rete, sia quelle nazionali che quelle internazionali, tramite Sparkle, e Francia e Italia sanno bene, in questo periodo cosa significa la sicurezza di informazioni sensibiili per un Paese.

La reazione di Renzi alla scalata di Bolloré in Telecom è stata di soddisfazione: "è la fine del capitalismo di relazione". Analisi non condivisa da Massimo Mucchetti, presidente della commissione industria del Senato, che in un'intervista a MF-Milano Finanza, dà la sua versione di quanto è accaduto e ricorda che il Senato aveva chiesto all'unanimità una soglia d'opa al 15%, con la quale tutta questa storia sarebbe andata probabilmente in un altro modo. Secondo Mucchetti, "il premier scopre la verità di Telecom in ritardo, la resa della finanza Italiana era già avvenuta nell’autunno 2013 quando Mediobanca, Generali e Intesa si dissero pronte a vendere a Telefonica, che però, non fu in grado di approfittarne. Bolloré ha fatto un goal a porta vuota. In ogni caso, va detto che Telecom è finita nelle mani del capitalismo di relazione francese, i cui esponenti hanno studiato tutti nelle stesse scuole, si conoscono e si sostengono l’un l’altro, prefetti di polizia o top manager che siano. D’altra parte, i gruppi finanziari francesi sono per lo più intrecciati fra loro. Bolloré è entrato in Italia con Mediobanca, prima al seguito di Maranghi, poi in alleanza con Cesare Geronzi e infine, ai tempi di Nagel, come socio di riferimento in piazzetta Cuccia. Bolloré ha il 15% di Vivendi, che ha il 24,9% di Telecom."

Il vertice di Telecom Italia, in particolare il presidente Giuseppe Recchi, ha cercato di spegnere l’incendio di una possibile aggregazione con Orange dicendo che al momento nessun dossier è sul tavolo del cda. In effetti nessuno ha pensato che un’operazione del genere possa essere già approdata nel board, tuttavia dietro le quinte si registrano alcuni movimenti che fanno pensare si possa andare in quella direzione, una volta che il colosso francese guidato da Stéphane Richard sarà riuscito a completare la fusione con Bouygues. La fiammata è arrivata la settimana scorsa, rinvigorita dalle dichiarazioni di François Hollande e Matteo Renzi, che a conclusione del vertice italo-francese di Venezia hanno risposto in tono positivo all’idea di una fusione tra Orange e Telecom. "L’idea è avere campioni europei in alcuni settori chiave, come le energie rinnovabili, l’industria navale, probabilmente la difesa, e anche le tlc, chi avrà la maggioranza e chi la minoranza lo decideranno le aziende", hanno detto all’unisono. Queste dichiarazioni, trovano conferme in due antefatti.

In primo luogo un incontro, avvenuto circa tre settimane fa, tra il premier italiano, i vertici di Vivendi, Vincent Bolloré e Arnaud de Puyfontaine e il presidente della Cassa depositi e prestiti, Claudio Costamagna. In quell’occasione Renzi avrebbe ribadito di voler mantenere l’italianità di Telecom, ma allo stesso tempo si è mostrato molto aperto sulla partecipazione di capitali stranieri in aziende italiane, come ha ribadito poi a Hollande. Ciò che sta più a cuore al primo ministro è lo sviluppo della rete a banda larga sul territorio nazionale, e dunque Renzi ha caldeggiato il raggiungimento di un accordo tra Telecom Italia e Metroweb, che permetterebbe di accelerare il processo, aumentando il numero di città coperte con la fibra fino nelle case degli utenti. Non è chiaro, invece, se Bolloré in quella riunione abbia parlato esplicitamente della possibilità di un accordo con Orange o se abbia soltanto incassato l’apprezzamento per gli investitori esteri che scommettono sull’Italia. Altri elementi, però, fanno pensare che il disegno del finanziere bretone sia quello di diventare, quando vi saranno le condizioni e sempre attraverso Vivendi, il primo azionista di un enorme agglomerato franco-italiano che possa includere Orange, Telecom Italia, Bouygues e forse anche Mediaset. Il cammino verso la realizzazione di questo progetto potrebbe già essere iniziato, visto che una decina di giorni fa Bolloré e Richard si sarebbero incontrati delineando i contorni dell’operazione e discutendo anche del prezzo a cui il pacchetto del 24,9% di Telecom in mano a Vivendi verrebbe in futuro conferito a Orange in cambio di azioni del nuovo gruppo. I quartieri generali di Orange e Vivendi, non hanno voluto commentare le indiscrezioni.

Ma le probabilità che questo disegno vada in porto, si trovano in una risposta data dallo stesso Richard alla Reuters martedì 8 marzo: "Se un giorno Bolloré mi dicesse, la cosa migliore da fare sarebbe un accordo tra di noi per fare in modo che Orange compri Telecom Italia, allora noi guarderemmo all’operazione". Aggiungendo che "non penso che ciò sia nelle sue intenzioni". Una dichiarazione che avvalora la tesi che i due abbiano già parlato dell’operazione ma non si siano ancora trovati sul prezzo. Se ad un certo punto anche questa casella andasse a posto la mega fusione potrebbe partire. Renzi e il governo italiano potrebbero far ben poco per opporsi all’avanzata di Bolloré, visto che la Francia è un Paese europeo amico. Con una conseguenza da non sottovalutare: la conquista di Telecom Italia da parte di Orange è sponsorizzata dal governo Hollande anche per il suo valore geopolitico, in quanto i francesi potrebbero accedere ad una società come Sparkle, proprietaria dei cavi sottomarini sui quali transitano le comunicazioni tra Europa e Medio Oriente.

Gli scenari che si presentano riguardano anche, se non soprattutto, le reti di connessione, gli impianti di trasmissione che vedono Mediaset e Telecom tra i primi operatori del nostro Paese. Proprio le frequenze di trasmissione saranno oggetto, nei prossimi mesi e anni, di un nuovo importante cambiamento: la banda 700 Mhz, secondo una normativa di carattere europeo, entro il 2020 dovrà essere liberata dagli operatori televisivi e passare nella disponibilità delle aziende telefoniche, per poter aumentare le capacità di trasmissione della banda larga per dispositivi portatili (5G per tablet, smartphone, etc). Si parla, peraltro, di un possibile anticipo che potrebbe mettere in crisi il settore italiano.

Quello che accadrà sulla banda 700 avrà conseguenze sull'intero sistema televisivo, alcuni degli attuali operatori, saranno chiamati a restituire frequenze ricevute pochi anni fa, con lo switch-off del 2009-2012, per vedersene assegnate poi delle altre, il sistema di trasmissione cambierà e si evolverà nel più definito e più capiente DvbT2. Significa che serviranno investimenti, c'è già chi parla della possibilità che l'intera rete di trasmissione televisiva sia affidata ad un unico operatore. Ei Towers, l'operatore di rete Mediaset, ha già lanciato un tentativo di Opa su Rai Way, ora vorrebbe entrare dentro Inwit, l'operatore Telecom. Che succederà se Telecom e Mediaset dovessero diventare un'unica azienda, magari controllata dalla francese Vivendi? Ma soprattutto, cosa succederà con il passaggio della banda 700 Mhz ai telefonici, se dovesse verificarsi uno scenario del genere con un unico operatore di tali proporzioni? Finora si tratta di scenari, che però si fanno sempre più concreti se addirittura l'amministratore delegato di Telecom Marco Patuano è arrivato a rassegnare le dimissioni ed è stato immediatamente convocato dalla Consob. Ovviamente, le autorità di vigilanza possono attivarsi solo di fronte a decisioni ufficiali ed elementi concreti. Se le notizie di stampa dovessero diventare qualcosa di più, sarebbe opportuno, però, che Antitrust e Agcom avviassero delle valutazioni per sgombrare il campo da ipotesi che poi alla prova dei fatti potrebbero rivelarsi irrealizzabili. Una eventuale operazione con al centro Telecom, Vivendi e Mediaset merita la massima attenzione, per i profili di limitazione del mercato che presenta.

Nel frattempo Telecom ha pubblicato i suoi conti 2015, i quali si sono chiusi con una perdita di 456 milioni di euro e sconta, come spiega nel dettaglio la nota, "oltre a oneri netti non ricorrenti, l'impatto negativo delle operazioni di riacquisto delle obbligazioni proprie effettuate nella prima parte dell'anno, nonché di alcune partite aventi natura meramente valutativa e contabile che non generano alcuna regolazione finanziaria, connesse in particolare alla valutazione del fair value dell'opzione implicita inclusa nel prestito obbligazionario a conversione obbligatoria emesso a fine 2013, con durata triennale". I ricavi, ammontano a 19,718 miliardii (-8,6%) e l'ebitda è pari a 7,004 miliardi di euro (-20,3%). L'indebitamento ammonta a 27,278 miliardi di euro. All'assemblea del 25 maggio sarà proposta la distribuzione di un dividendo di 2,75 centesimi solo per le azioni di risparmio. In relazione all'operazione di valorizzazione di una quota del capitale di Inwit, il Consiglio di Amministrazione "ha dato ampio mandato al management di approfondire e negoziare al meglio le due offerte vincolanti pervenute da Cellnex/F2I ed EI Towers". Lo comunica ufficialmente la società al termine della riunione del cda.


Alla luce dei conti pubblicati, può il governo credere che un soggetto così debole svaluti la rete in rame e faccia gli investimenti sulla banda larga, su ampia scala?

Lo scenario intravisto da analisti e osservatori dopo le dimissioni di Marco Patuano da amministratore delegato di TIM (nuova denominazione di Telecom Italia), è di un gruppo più asciutto, con un bel taglio dei costi per intaccare anche la zavorra dei debiti. Un gruppo ridimensionato geograficamente, quindi addio alla presenza in Brasile (per questo i membri del cda indicati da Vivendi hanno spinto per una svalutazione dell’asset a differenza dell’ex ad Marco Patuano. Un gruppo che possa essere al centro del risiko europeo nel settore delle tlc e dei contenuti, anche con sinergie non solo industriali ma azionarie con Mediaset. Infine, un gruppo che possa fare anche da perno per una soluzione di sistema per le torri di trasmissione fra Inwit, Rai Way e Cdp.
Secondo gli analisti di Kepler Cheuvreux le dimissioni del ceo potrebbero essere un catalizzatore positivo per accelerare la ristrutturazione societaria e ampliare il piano di taglio dei costi. Se quest'ultimo dovesse passare dai 400 milioni proposti dall’ex ad. Patuano, a 1 miliardo, la differenza, secondo i calcoli di Kepler Cheuvreux, avrebbe un impatto positivo del 9% in termini di ebitda domestico, con una creazione di valore di 3,6 miliardi (19% dell’equity). Gli analisti vedono ampio spazio per un taglio del personale dal momento che "il numero di linee domestiche per lavoratore è di 226 contro i 440 di Orange in Francia e i 333 di Telefonica in Spagna. Sulla base di questi benchmark, Telecom potrebbe vedere una riduzione di 17 mila persone nel tempo, rispetto ai 3.300 annunciati di recente. Secondo Icbpi, la reazione positiva del titolo all’uscita di Patuano, è appunto dovuta al fatto che il mercato potrebbe ragionare sulle possibili mosse del sostituto, specie sulle nuove misure di taglio costi in Italia che sarebbero state all’origine del malcontento di Vivendi. Nonostante ciò, a parte la valutazione di nuovi piani di efficienze ed eventuali cambi di strategia, gli analisti ritengono che l’uscita di Patuano segnali soprattutto la presa di controllo di Vivendi su Telecom Italia, riducendone, almeno nel breve periodo, l’appeal speculativo. Apprezzamenti per il lavoro dell’ad uscente e attese positive per la spinta di Vivendi emergono da un report redatto dagli analisti di Mediobanca Securities, secondo cui, però, la reazione positiva del titolo all’uscita del ceo era attesa visto che conflitti tra cda e top management non aiutano mai.

Nel frattempo inizia a stringersi il cerchio sul nome del successore di Marco Patuano alla guida di Telecom Italia. I nomi in circolazione, anche se qualcuno ha smentito, sono quelli di Francesco Caio, attuale numero uno di Poste e di Andrea Guerra, ex top manager di Luxottica. A più riprese si parla di Luigi Gubitosi, ex numero uno di Wind poi alla direzione generale della Rai, anche se in realtà i riflettori tornano a concentrarsi su Flavio Cattaneo. Nei giorni scorsi fonti vicine a Ntv hanno fatto sapere che "Cattaneo sta bene dove sta", ma in realtà i "botteghini" continuano a dare l'ex direttore generale della Rai fra i favoritissimi. Peraltro Flavio Cattaneo è già consigliere indipendente di Telecom Italia. A proposito di "continuità" fra i nomi spunta anche quello di un ex Telecom, Andrea Mangoni (è stato direttore generale per il Sud America fino al 2013), mentre a sopresa spunta anche il nome di Felicité Herzog, membro del cda Telecom in quota Vivendi e molto vicina a Bolloré.