venerdì 15 aprile 2016

Brexit: quali conseguenze?

Il Brexit, al prossimo referendum è un rischio non trascurabile, anzi decisamente elevato. Alla luce di queste probabilità, così come della probabile negatività economica e dell'impatto su molte aziende del regno unito, bisognerà avere molta cautela sugli investimenti d'oltremanica che si vuole fare nel breve termine. La sterlina potrebbe essere la principale vittima di questo Brexit e ci saranno probabilmente implicazioni per il resto d'Europa.

Il 19 febbraio, il primo ministro britannico, David Cameron, ha espresso il suo impegno a negoziare le relazioni tra Regno Unito e Unione Europea (UE). I colloqui, per evitare il Brexit, si sono concentrati su quattro aree chiave: l'immigrazione, la sovranità, la competitività e il welfare. Come risultato, Cameron rivendica un certo successo in tutte e quattro le aree. Dal punto di vista dell'UE, ciò che ha ottenuto Cameron getteranno nuova luce sull'integrazione europea e sulla sovranità che porta rischi a medio termine. Ma i sostenitori del "Brexit", ritengono che le nuove condizioni abbiano una minor protezione, da una sempre più potente UE.

L’ostacolo imprevisto nella corsa verso il 23 giugno, giunge in questi giorni però, dal cosidetto "Panama Papers", il quale non è solo scenario di dubbia moralità, qualora fosse provata l’esplicita volontà di evadere il fisco, ma potrebbe significare "Brexit". Non, per l’impatto che avrebbe la sottrazione britannica ai numeri dell’Unione, ma per il senso di fragilità che porterebbe con sé un "No" al referendum di giugno. Fiaccati dalla crisi dell’euro, divisi da quella sull’immigrazione, i Ventisette rimasti, in caso di uscita britannica, si ritroverebbero a sedere su un progetto comune precario di un’Europa da dove entrare e uscire, senza eccessivi patemi. Forse è questo, il mondo nuovo, o meglio la "terra incognita", denunciata da Mario Draghi relativamente alla crisi dell’eurozona e alle risposte di una politica monetaria che spesso si è trovata a fronteggiare le emergenze quasi in solitudine.

L’immagine del premier britannico David Cameron che alla Camera dei Comuni sventola la sua dichiarazione dei redditi per giustificarsi davanti a un popolo incline al giudizio sommario, è la rappresentazione di quanto si sperava non accadesse mai. È, infatti, sempre più difficile scindere gli accadimenti europei, siano essi strettamente economico-finanziari o più squisitamente socio-politici, essendo la rappresentazione di un'opera incompiuta. L’Europa, fino ad'ora, ha saputo piegarsi per far passare la tempesta, ma adesso si cominciano ad intravedere le crepe. Il referendum britannico rischia di essere il detonatore della crisi finale. L'altro giorno alla Camera dei Comuni, David Cameron non è apparso un evasore fiscale, si è anche scrollato di dosso, con discreta eleganza, il sospetto di essere un elusore, nonostante gli imbarazzi dei giorni scorsi. Non ha potuto, però, liberarsi della realtà, quella che lo condanna ad essere il privilegiato prodotto delle upper classes del Regno Unito, in netta contrapposizione con il leader dell’opposizione laburista, il radicale Jeremy Corbyn. Cameron purtroppo, continua a non piacere troppo, se poi, è anche sospettato di aver goduto di investimenti off-shore allestiti dall’avvertito genitore, la disapprovazione cresce. La ferita dunque è profonda, ma non per quanto ha commesso, ma per l'ombra che allunga attorno a sé e non saranno le misure antievasione annunciate e la moderata glasnost britannica sui redditi dei politici, che potranno mutare la percezione di una credibilità infranta. I sondaggi nei prossimi giorni ci diranno quanto, ma temiamo abbastanza per alienare il voto laburista al referendum sull’Ue. E senza il bacino elettorale dell’opposizione, David Cameron potrebbe passare alla storia come il premier che portò Londra fuori dall’Europa.

Con il referendum fissato per il 23 giugno, il regno di "Sua Maesta" deve affrontare poco più di due mesi di significative incertezze. Vi è un notevole sostegno da parte di alcuni pesi massimi della politica per un Brexit, come dal sindaco di Londra Boris Johnson e dal Segretario della Giustizia Michael Gove, entrambe figure di tutto rispetto all'interno del partito profondamente euroscettico Tory e anche la stampa inglese è in gran parte euroscettica. Paul de Grauwe afferma che il Brexit sia la soluzione migliore proprio per l’Europa, poiché il governo inglese potrebbe diventare un ostacolo importante al necessario processo d’integrazione che serve a stabilizzare l’area euro.

I sondaggi di opinione mostrano che l'opinione pubblica è finemente in bilico, con una leggera tendenza verso la rimanenza nella UE. Fino a questo punto, il dibattito si è incentrato sull'afflusso di migranti UE, con metà dei britannici che citano il loro superiore interesse. Nelle prossime settimane, possiamo aspettarci sondaggi molto volatili mano a mano che il referendum si avvicina.  Da un sondaggio condotto da "Yougov" e pubblicato dal "Times", si evince anche che la fiducia nei confronti del premier britannico David Cameron è scesa di otto punti percentuali e che favorevoli e contrari alla permanenza della Gran Bretagna all'interno dell'Unione europea sono testa a testa, rispettivamente con il 39% dei consensi, mentre gli indecisi rappresentano il 17% e chi si asterrà il 5%. Il sondaggio è stato condotto interpellando 1.693 persone tra l'11 e il 12 aprile. Il precedente sondaggio di "Yougov" di una settimana fa vedeva i favorevoli alla permanenza di Londra nell'Ue al 40% e i contrari al 38%.

Le implicazioni economiche di un Brexit sono viste come ampiamente negativi. La contro-argomentazione che l'economia potrebbe migliorare, non è ancora stata fatta in modo convincente. A conti fatti, quindi, ci aspettiamo che la Gran Bretagna possa votare per rimanere in Europa, ma con una notevole incertezza in vista del voto. Per questo motivo, nel Regno Unito l'attività delle aziende e degli investitori rischia di essere prudente per i prossimi mesi, in quanto le implicazioni negative di una possibile Brexit sono scontate. Ma la domanda da porci è quali sono le reali implicazioni e chi ne subirebbe maggiormente gli effetti.

Certamente il Regno Unito perderebbe il passaporto europeo, cioè (la possibilità di offrire servizi da un singolo stato membro in tutta Europa) e dovrebbe rinegoziare l’accesso al mercato europeo. Si somma poi la rinegoziazione di accordi al commercio con un centinaio di nazioni, firmati dal Unione Europea con il potere contrattuale dei 28 paesi membri. L'UE è il principale partner commerciale britannico e rappresenta il 12,6% del PIL, per cui concordare nuove ragioni di scambio sarà essenziale, ma anche molto difficile da raggiungere in un tale arco di tempo limitato, in particolare nel settore dei servizi finanziari. Inoltre, gli altri governi dell'UE saranno poco incentivati ad offrire condizioni favorevoli al Regno Unito. In questa fase di transizione, si creerebbe molto probabilmente una fuga di capitali, guidata dalle multinazionali e industrie inglesi che si ricollocherebbero in paesi come Irlanda o Lussemburgo per beneficiare del mercato interno. Questa fuga potrebbe mettere in ginocchio l’economia inglese. La Scozia molto probabilmente chiederebbe di uscire dal Regno Unito e di rimanere nel Unione Europea. L’Europa, dal canto suo, perderebbe la sua seconda economia e anche centro finanziario, crocevia dei capitali di mezzo mondo. Si creerebbe inoltre un precedente per un graduale passaggio da una comunità di stati accomunati dal accesso ad un mercato unico, a una sempre più ristretta cerchia di stati e istituzioni sovranazionali. Il Regno Unito è anche tra gli stati membri che vogliono fortemente l’integrazione del mercato unico. Una spinta politica utile per rilanciare il progetto europeo. Il referendum sul Brexit può portarci indietro di 50 anni o proiettarci nei prossimi cinquanta.

L'impatto sul commercio e il sentimento potrebbe essere gravemente negativo per la crescita economica nel Regno Unito, con un commercio più debole, almeno inizialmente, ed un ridotto potenziale di crescita a causa di minori immigrazione, che hanno aumentato il PIL negli ultimi anni. Sia gli investimenti che i diretti afflussi esteri a favore di attività britanniche rischiano di diminuire in vista del referendum. Le aspettative per il Brexit è che la crescita diminuisca dal 1 al 1,5% dalle previsioni attuali, una perdita totale del 4% del PIL, e che la sterlina crolli di un altro 10% raggiungendo in minimi, come nel 2007-2009, con la conseguenza di una diminuzione dell'inflazione del 3-4% su base annua previsto nel 2017/18.

Le grosse multinazionali del Regno Unito con ricavi non in sterlina potrebbero trarre beneficio dalle differenze di conversione, ciò potrebbe mitigare le perdite complessive sulle azioni. Le aziende del settore energetico e delle materie prime possono essere esempi importanti. Quelle del settore finanziario potrebbero probabilmente soffrire visto che l'accesso al mercato dell'UE potrebbe essere molto incerto. L'impatto primario del Brexit sulle attività finanziarie potrebbe avvenire attraverso il tasso di cambio, con un indebolimento in modo significativo della sterlina. I tassi a breve termine potrebbero andare più in alto, ma la Banca d'Inghilterra potrebbe resistere alla tentazione di un aumento della politica dei tassi, in particolare se il paese fosse in fase di recessione.



Il resto dell'UE dovrebbe essere relativamente indenne da perturbazioni commerciali, con le esportazioni verso l'U.K. che rappresentano solo il 3,1% del PIL dell'Unione europea. L'impatto principale sarà probabile politico. Pertanto, gli stati politicamente più fragili e meno degni di credito d'Europa soffriranno di più il contagio. Questo significa, i paesi periferici come il Portogallo, l'Italia e la Grecia, ma vanno inseriti anche la Finlandia e la Francia.

Qualcuno, si è chiesto però, se non fosse addirittura meglio per l'UE, l'uscita del Regno Unito. Paul De Grauwe, sostiene questa teoria. Supponiamo che i sostenitori della Brexit vengano sconfitti e che il Regno Unito rimanga nella Ue. Questo non fermerà l’ostilità di coloro che hanno perso, né ridurrà le loro ambizioni di voler ridare al Regno Unito la piena sovranità. Una volta appurato che non possono lasciare la Ue, i fautori dell’uscita cambieranno la loro strategia e ne adotteranno una in stile “cavallo di Troia”, che implicherà lavorare dall’interno per minare l’Unione. Sarà una strategia mirata a ridurre le decisioni a maggioranza per sostituirle con un approccio intergovernativo. Lo scopo sarà una lenta decostruzione dell’Unione. Si potrebbe ribattere che con una sconfitta al referendum, i sostenitori della Brexit perderanno influenza, ma non lo si può dare per certo. L’accordo raggiunto da David Cameron con il resto dell’Ue non ha ritrasferito neanche un briciolo di sovranità a Westminster. Sarà dunque visto da chi vuole l’uscita dall’Europa come un enorme fallimento e ciò li porterà a intensificare la strategia di decostruzione. In conclusione, non è negli interessi dell’Ue mantenere nell’Unione uno stato che continuerà a essere ostile e che perseguirà una strategia volta a minarlo ulteriormente. E dunque sarà meglio per l’Unione Europea che i sostenitori della Brexit vincano il referendum. Quando la Gran Bretagna sarà fuori dall’Ue, non sarà più capace di minarne la coesione. E la Ue ne uscirà più forte. Il Regno Unito sarà invece indebolito e dovrà bussare alle porte dell’Ue per iniziare i negoziati di un accordo commerciale. Nel frattempo, avrà perso la sua moneta di scambio. L’Ue sarà capace di imporre un trattato commerciale che non sarà molto diverso da quello che ha già oggi in qualità di membro dell’Unione. Allo stesso tempo, però, si sarà ridotto il potere di uno Stato la cui ambizione è minare la coesione dell’Unione stessa.

A questa tesi, fanno da contraltare le recenti dichiarazioni del FMI e un report Goldman Sachs, in cui si sostiene che per l'Europa, che rappresenta un gruppo di interessi eterogenei, la Gran Bretagna è un partner importante, in grado per esempio di appoggiare riforme orientate al libero mercato. "In un periodo in cui l'Europa è sottoposta a grandi tensioni politiche (all'interno dei Paesi e tra gli Stati stessi) legati alla crisi dei rifugiati, l'effetto combinato di un Regno Unito che vota per lasciare la Ue e la possibilità che le tensioni sui migranti si intensifichino durante l'estate rappresentano una prospettiva preoccupante".

Il monito lanciato poi, dal Fondo monetario internazionale (Fmi), è che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea potrebbe provocare "gravi danni a livello regionale e globale". Per lo Fmi la cosiddetta "Brexit" sconvolgerebbe le consuete relazioni commerciali e comporterebbe "enormi sfide" sia per il Regno Unito che per il resto d’Europa. Il Fondo prevede per quest’anno una crescita dell’economia britannica dell’1,9%, rispetto alle stime del 2,2% fatte a gennaio. Per il prossimo anno la crescita prevista è del 2,2%, invariata rispetto alle stime precedenti. Per l’eurozona invece, le previsioni sono al +1,5% nel 2016 e al +1,6% nel 2017, a fronte del +1,7% stimato a gennaio per entrambi gli anni. Nell’area dell’euro gli investimenti bassi, l’alto tasso di disoccupazione e i bilanci deboli pesano sulla crescita, che rimarrà modesta.

Per queste ragioni stanno nascendo diverse iniziative per tentare di convincere i cittadini britannici a restare nell'Unione Europea. A poco più di due mesi dal referendum che deciderà la permanenza del Regno Unito nell'unione, Katrin Lock, una donna tedesca residente a Londra, ha lanciato l'iniziativa "Hug a Brit", letteralmente "abbraccia un britannico", per manifestare ai "sudditi di sua maestà" la vicinanza dei popoli europei. Così su social network sono iniziati a circolare gli hashtag #hugabrit e #pleasedontgouk (Regno Unito per favore non andare) che gli utenti stanno iniziando a utilizzare per condividere foto nelle quali abbracciano un amico britannico.

giovedì 31 marzo 2016

Investire in azioni: le migliori due di questo periodo

Investire in titoli azionari americani, a causa dei movimenti dei prezzi del petrolio, è stato a dir poco molto volatile quest'anno, con una forte correlazione tra la materia prima e i principali indici. Questi sono saliti quando il prezzo del petrolio è cresciuto e sono crollati quando quest'ultimo ha invertito la direzione. Nel frattempo, abbiamo visto diversi rapporti economici misti, che non sono riusciti a dare un quadro sufficientemente chiaro dello stato di salute dell'economia statunitense, inducendo addirittura la Fed a rallentare l'aumento dei tassi di interesse e ponendo dei seri interrogativi su quelli futuri.

In una situazione di tale incertezza, sarebbe il caso di investire su azioni di valore. Gli investitori di valore cercano momenti di volatilità per far salire le azioni che hanno prezzi scontati, ma che sono allo stesso tempo fondamentalmente forti da resistere a qualsiasi crisi economica. Nelle prime sei settimane del 2016 i mercati hanno chiuso in perdita, durante tale periodo il prezzo del petrolio era sceso a $ 26 al barile. Il crollo dei prezzi del petrolio a livello mondiale, per lo più a causa della minore domanda in un mercato già sovrabbondante, ha investito tutti i mercati. L'Iran si è preparata ad aggiungere i suoi barili in un mercato petrolifero globale saturo e la Russia ha continuato a pompare petrolio per aumentare la sua economia in difficoltà. D'altra parte, l'economia cinese, risultata debole dopo i tristi rapporti economici, ha sollevato non poche preoccupazioni circa la domanda di petrolio. Da metà febbraio però, i prezzi del petrolio hanno guadagnato oltre il 30% prima della riunione del 17 aprile a Doha, dove l'OPEC e la Russia discuteranno su un congelamento della produzione al fine di far aumentare prezzi. In concomitanza all'aumento dei prezzi del petrolio sono aumentati i mercati azionari. Nonostante questo rally però, gli investitori rimangono nervosi in quanto il livello dell'inventario globale continua a crescere. Dato questo scenario, l'incontro probabilmente non riuscirà a sostenere più di tanto i prezzi. In effetti, i prezzi del petrolio sono scesi circa del 3% Martedì dopo che il Kuwait e Arabia Saudita hanno deciso di riprendere la produzione di petrolio del giacimento di Khafji, gestito congiuntamente.

I dati economici americani continuano a dare segnali contrastanti sullo stato di salute della sua economia, detto questo però, i dati sui posti di lavoro del mese di febbraio, mostrano un solido quadro, questo aumento è generalizzato su diversi settori, tra cui, servizi di ristorazione, commercio al dettaglio, servizi educativi privati e servizi di assistenza sanitaria e sociale. Il settore immobiliare è addirittura più solido di quello che si poteva pensare, con un impressionante dato sulle nuove costruzioni, anche se l'aumento delle vendite di case nuove indica una mancanza di slancio nel settore. Se invece guardiamo i dati sulla produzione, servizi e spesa dei consumatori, la situazione è più cupa, in quanto i produttori hanno ridotto la loro produzione a febbraio per il quinto mese consecutivo, un dato che pesa molto sull'economia. Il settore dei servizi è aumentato lentamente nel mese di febbraio, con i fornitori che rimangono meno ottimisti sulla crescita nel prossimo futuro. Se a questo aggiungiamo il calo delle vendite al dettaglio, con una revisione al ribasso dei dati di gennaio, ci rendiamo conto del perché ci sono preoccupazioni circa le prospettive di crescita dell'economia americana. Mentre la spesa dei consumatori è scarsa, il tasso di inflazione è sceso sotto l'obiettivo della Fed del 2% nel mese di febbraio, questo ha comportato una frenata delle scommesse degli investitori in merito a quando sarebbe avvenuto il prossimo rialzo dei tassi. La Fed ha mantenuto i tassi invariati due settimane fa e ha detto che l'incertezza economica globale, in abbinamento con il crollo dei prezzi del petrolio sono il motivo del ritardo nel rialzo dei tassi nel mese di gennaio e febbraio. Inoltre ha prospettato che ci potrebbero essere due aumenti quest'anno rispetto ai 4 previsti nella riunione di Dicembre. Il Presidente della FED Janet Yellen ha detto che si aspetta aumenti dei tassi graduali nel tempo visto che la crescita dell'economia statunitense quest'anno sarà più debole del previsto. Ha inoltre aggiunto, però che se dovesse notevolmente migliorare, la FED potrà facilmente aumentarli. Tuttavia, in contrapposizione alle sue convinzioni, diversi funzionari ritengono che l'economia americana sia sufficientemente resistente e che possa supportare un secondo aumento a breve.

Detto che il mercato ha subito forti oscillazioni a causa dei movimenti del prezzo del petrolio, che i dati macroeconomici sono stati misti e che ci sono indecisioni sui futuri aumenti dei tassi, il sentiment degli investitori è continuamente afflitto, per cui in mezzo a questa volatilità, potrebbe essere prudente investire in azioni di valore, percepite come occasioni o sottovalutate. Chi investe in questo tipo di azione, la tiene fino a quando non incontra il suo prezzo indicativo, o addirittura anche di più se l'azienda dimostra di avere una redditività costante. Nel frattempo, i titoli di valore con una capitalizzazione medio/grande sono maggiormente attraenti nei periodi di volatilità dal momento che sono leader del settore e possono sopportare meglio le battute d'arresto rispetto ai loro coetanei più piccoli. La scelta è ricaduta quindi, su due aziende leader dei loro rispettivi settori.

Johnson & Johnson (JNJ) sviluppa, produce e commercializza vari prodotti nel settore sanitario, farmaceutico e per la cura della persona in tutto il mondo. E' stata fondata da Robert Wood Johnson I, James Wood Johnson e Edward Mead Johnson Sr. nel 1886 e ha sede a New Brunswick, NJ. Nelle ultime trimestrali la società ha pubblicato un EPS di $1,44 superiore alle aspettative degli analisti, i ricavi sono stati pari a $17,81B. La società ha inoltre aumentato le sue aspettative per il 2016.

HCA Holdings (HCA), possiede e gestisce ospedali non governativi negli Stati Uniti, nonché centri di chirurgia freestanding, centri diagnostici e di imaging, e centri di terapia oncologica, di riabilitazione completa e centri di terapia fisica. Inoltre fornisce i servizi per specialità mediche come medicina interna, chirurgia generale, cardiologia, oncologia, neurochirurgia, ortopedia e ostetricia, così come servizi di diagnosi e di emergenza. HCA Holdings è stata fondata il 22 novembre 2010 ed ha sede a Nashville, TN. Nelle ultime trimestrali la società ha pubblicato un EPS di $ 1,69, che ha battuto le aspettative degli analisti di $0,30. I ricavi sono stati pari a $ 10,25B, +6,3% su base annua) superiori alle attese di Wall Street di $90M.



giovedì 24 marzo 2016

Investire in Telecom: quale sarà il suo destino?

Telecom Italia (TIT.MI) è la prima società italiana in materia di telecomunicazione, attiva anche sul mercato estero, che presta servizi di telefonia fissa, mobile, internet e tv via cavo (con tecnologia IRTV). Per l’Italia, la società adotta il nome TIM per quanto riguarda la rete mobile. La stessa Telecom è inoltre gestore in parte della rete internet dell’Amministrazione pubblica italiana. Quasi 53 mila persone lavorano ogni giorno nel Gruppo e nei prossimi tre anni per l'innovazione delle reti e dei servizi investirà circa 6,7 miliardi euro. L'idea della società è di portare entro il 2018 all'84% degli Italiani la copertura con la rete ultrabroadband fissa e al 98% quella mobile. Alla fine del 2015 la prima ha già raggiunto il 42% della popolazione e la seconda l'88%.

Per il quarto anno consecutivo, Telecom ha ricevuto la certificazione di Top Employers, dalla Top Employers Institute sulle condizioni di lavoro adottate dalle aziende italiane. Confermando così la presenza in un prestigioso gruppo di aziende al top, che rappresentano un esempio significativo e meritevole nel panorama imprenditoriale italiano e possono esibire con giusto orgoglio il marchio di qualità ed eccellenza Top Employers. La certificazione Top Employers viene assegnata, infatti, in tutto il mondo, solo a quelle aziende che dimostrano di poter offrire eccellenti condizioni di lavoro alle proprie persone.

Questo e altro ancora,  porta Telecom a diventare un'ambita preda per operatori stranieri, desiderosi di "investire" nel nostro paese, sopratutto di nazionalità francese, vedi Orange e Vivendi.

Quella tra Telecom Italia e Orange non sarebbe una fusione ma un'acquisizione di un'azienda privata strategica italiana da parte di una società controllata di fatto dallo stato francese. Con implicazioni sull'importante piano di diffusione della banca larga in Italia e anche sulla sicurezza nazionale. Sono numerosi i dubbi espressi dall'associazione degli azionisti di Telecom Italia, in una lettera inviata al presidente del Consiglio Renzi, al ministro dell'Economia Padoan e a numerosi esponenti delle competenti commissioni parlamentari all'indomani del vertice italo-francese. I piccoli azionisti avevano in passato manifestato un certo stupore per l'ingresso di Vivendi nell'azionariato di Telecom dopo che la società francese aveva dismesso tutte le partecipazioni in aziende per il servizio telefonico. Abbiamo assistito in questi ultimi mesi a un aumento progressivo della partecipazione di Vivendi nell'azionariato di Telecom Italia, oggi portato al 24,9%, un livello prossimo alla soglia dell'OPA. Ci aveva stupito invece l'opposizione della società francese alla conversione delle azioni di risparmio che avrebbero permesso a Telecom di disporre di un capitale idoneo ai corposi investimenti nella nuova rete che necessariamente dovrà attuare la società per fare evolvere la rete in modo da garantirne la competitività sul mercato. Il dubbio, in gran parte confermato, era che l'interesse per la società italiana fosse stato concordato a più alto livello e che la partecipazione attiva di Vivendi nascondesse una più ampia strategia del sistema francese mirata ad entrare in un settore strategico quale quello delle comunicazioni italiane.

La domanda che ci dobbiamo porre è, anzitutto quale sono i vantaggi per Telecom e il nostro Paese qualora Orange, controllata di fatto dallo Stato che ne detiene circa il 24% possa acquisire Telecom, società privata e non partecipata dallo Stato. Esiste il pericolo che l'operatore italiano ricada in qualche modo sotto la responsabilità delle decisioni del Governo francese? In nessun grande Paese europeo viene configurata una ipotesi così bizzarra e discutibile. Andrebbe valutato poi sopratutto, l'influenza che la cessione della società ad un azionista con partecipazione statale avrebbe su un aspetto di grande importanza per il nostro Paese, la sicurezza delle informazioni che viaggiano sulla rete, sia quelle nazionali che quelle internazionali, tramite Sparkle, e Francia e Italia sanno bene, in questo periodo cosa significa la sicurezza di informazioni sensibiili per un Paese.

La reazione di Renzi alla scalata di Bolloré in Telecom è stata di soddisfazione: "è la fine del capitalismo di relazione". Analisi non condivisa da Massimo Mucchetti, presidente della commissione industria del Senato, che in un'intervista a MF-Milano Finanza, dà la sua versione di quanto è accaduto e ricorda che il Senato aveva chiesto all'unanimità una soglia d'opa al 15%, con la quale tutta questa storia sarebbe andata probabilmente in un altro modo. Secondo Mucchetti, "il premier scopre la verità di Telecom in ritardo, la resa della finanza Italiana era già avvenuta nell’autunno 2013 quando Mediobanca, Generali e Intesa si dissero pronte a vendere a Telefonica, che però, non fu in grado di approfittarne. Bolloré ha fatto un goal a porta vuota. In ogni caso, va detto che Telecom è finita nelle mani del capitalismo di relazione francese, i cui esponenti hanno studiato tutti nelle stesse scuole, si conoscono e si sostengono l’un l’altro, prefetti di polizia o top manager che siano. D’altra parte, i gruppi finanziari francesi sono per lo più intrecciati fra loro. Bolloré è entrato in Italia con Mediobanca, prima al seguito di Maranghi, poi in alleanza con Cesare Geronzi e infine, ai tempi di Nagel, come socio di riferimento in piazzetta Cuccia. Bolloré ha il 15% di Vivendi, che ha il 24,9% di Telecom."

Il vertice di Telecom Italia, in particolare il presidente Giuseppe Recchi, ha cercato di spegnere l’incendio di una possibile aggregazione con Orange dicendo che al momento nessun dossier è sul tavolo del cda. In effetti nessuno ha pensato che un’operazione del genere possa essere già approdata nel board, tuttavia dietro le quinte si registrano alcuni movimenti che fanno pensare si possa andare in quella direzione, una volta che il colosso francese guidato da Stéphane Richard sarà riuscito a completare la fusione con Bouygues. La fiammata è arrivata la settimana scorsa, rinvigorita dalle dichiarazioni di François Hollande e Matteo Renzi, che a conclusione del vertice italo-francese di Venezia hanno risposto in tono positivo all’idea di una fusione tra Orange e Telecom. "L’idea è avere campioni europei in alcuni settori chiave, come le energie rinnovabili, l’industria navale, probabilmente la difesa, e anche le tlc, chi avrà la maggioranza e chi la minoranza lo decideranno le aziende", hanno detto all’unisono. Queste dichiarazioni, trovano conferme in due antefatti.

In primo luogo un incontro, avvenuto circa tre settimane fa, tra il premier italiano, i vertici di Vivendi, Vincent Bolloré e Arnaud de Puyfontaine e il presidente della Cassa depositi e prestiti, Claudio Costamagna. In quell’occasione Renzi avrebbe ribadito di voler mantenere l’italianità di Telecom, ma allo stesso tempo si è mostrato molto aperto sulla partecipazione di capitali stranieri in aziende italiane, come ha ribadito poi a Hollande. Ciò che sta più a cuore al primo ministro è lo sviluppo della rete a banda larga sul territorio nazionale, e dunque Renzi ha caldeggiato il raggiungimento di un accordo tra Telecom Italia e Metroweb, che permetterebbe di accelerare il processo, aumentando il numero di città coperte con la fibra fino nelle case degli utenti. Non è chiaro, invece, se Bolloré in quella riunione abbia parlato esplicitamente della possibilità di un accordo con Orange o se abbia soltanto incassato l’apprezzamento per gli investitori esteri che scommettono sull’Italia. Altri elementi, però, fanno pensare che il disegno del finanziere bretone sia quello di diventare, quando vi saranno le condizioni e sempre attraverso Vivendi, il primo azionista di un enorme agglomerato franco-italiano che possa includere Orange, Telecom Italia, Bouygues e forse anche Mediaset. Il cammino verso la realizzazione di questo progetto potrebbe già essere iniziato, visto che una decina di giorni fa Bolloré e Richard si sarebbero incontrati delineando i contorni dell’operazione e discutendo anche del prezzo a cui il pacchetto del 24,9% di Telecom in mano a Vivendi verrebbe in futuro conferito a Orange in cambio di azioni del nuovo gruppo. I quartieri generali di Orange e Vivendi, non hanno voluto commentare le indiscrezioni.

Ma le probabilità che questo disegno vada in porto, si trovano in una risposta data dallo stesso Richard alla Reuters martedì 8 marzo: "Se un giorno Bolloré mi dicesse, la cosa migliore da fare sarebbe un accordo tra di noi per fare in modo che Orange compri Telecom Italia, allora noi guarderemmo all’operazione". Aggiungendo che "non penso che ciò sia nelle sue intenzioni". Una dichiarazione che avvalora la tesi che i due abbiano già parlato dell’operazione ma non si siano ancora trovati sul prezzo. Se ad un certo punto anche questa casella andasse a posto la mega fusione potrebbe partire. Renzi e il governo italiano potrebbero far ben poco per opporsi all’avanzata di Bolloré, visto che la Francia è un Paese europeo amico. Con una conseguenza da non sottovalutare: la conquista di Telecom Italia da parte di Orange è sponsorizzata dal governo Hollande anche per il suo valore geopolitico, in quanto i francesi potrebbero accedere ad una società come Sparkle, proprietaria dei cavi sottomarini sui quali transitano le comunicazioni tra Europa e Medio Oriente.

Gli scenari che si presentano riguardano anche, se non soprattutto, le reti di connessione, gli impianti di trasmissione che vedono Mediaset e Telecom tra i primi operatori del nostro Paese. Proprio le frequenze di trasmissione saranno oggetto, nei prossimi mesi e anni, di un nuovo importante cambiamento: la banda 700 Mhz, secondo una normativa di carattere europeo, entro il 2020 dovrà essere liberata dagli operatori televisivi e passare nella disponibilità delle aziende telefoniche, per poter aumentare le capacità di trasmissione della banda larga per dispositivi portatili (5G per tablet, smartphone, etc). Si parla, peraltro, di un possibile anticipo che potrebbe mettere in crisi il settore italiano.

Quello che accadrà sulla banda 700 avrà conseguenze sull'intero sistema televisivo, alcuni degli attuali operatori, saranno chiamati a restituire frequenze ricevute pochi anni fa, con lo switch-off del 2009-2012, per vedersene assegnate poi delle altre, il sistema di trasmissione cambierà e si evolverà nel più definito e più capiente DvbT2. Significa che serviranno investimenti, c'è già chi parla della possibilità che l'intera rete di trasmissione televisiva sia affidata ad un unico operatore. Ei Towers, l'operatore di rete Mediaset, ha già lanciato un tentativo di Opa su Rai Way, ora vorrebbe entrare dentro Inwit, l'operatore Telecom. Che succederà se Telecom e Mediaset dovessero diventare un'unica azienda, magari controllata dalla francese Vivendi? Ma soprattutto, cosa succederà con il passaggio della banda 700 Mhz ai telefonici, se dovesse verificarsi uno scenario del genere con un unico operatore di tali proporzioni? Finora si tratta di scenari, che però si fanno sempre più concreti se addirittura l'amministratore delegato di Telecom Marco Patuano è arrivato a rassegnare le dimissioni ed è stato immediatamente convocato dalla Consob. Ovviamente, le autorità di vigilanza possono attivarsi solo di fronte a decisioni ufficiali ed elementi concreti. Se le notizie di stampa dovessero diventare qualcosa di più, sarebbe opportuno, però, che Antitrust e Agcom avviassero delle valutazioni per sgombrare il campo da ipotesi che poi alla prova dei fatti potrebbero rivelarsi irrealizzabili. Una eventuale operazione con al centro Telecom, Vivendi e Mediaset merita la massima attenzione, per i profili di limitazione del mercato che presenta.

Nel frattempo Telecom ha pubblicato i suoi conti 2015, i quali si sono chiusi con una perdita di 456 milioni di euro e sconta, come spiega nel dettaglio la nota, "oltre a oneri netti non ricorrenti, l'impatto negativo delle operazioni di riacquisto delle obbligazioni proprie effettuate nella prima parte dell'anno, nonché di alcune partite aventi natura meramente valutativa e contabile che non generano alcuna regolazione finanziaria, connesse in particolare alla valutazione del fair value dell'opzione implicita inclusa nel prestito obbligazionario a conversione obbligatoria emesso a fine 2013, con durata triennale". I ricavi, ammontano a 19,718 miliardii (-8,6%) e l'ebitda è pari a 7,004 miliardi di euro (-20,3%). L'indebitamento ammonta a 27,278 miliardi di euro. All'assemblea del 25 maggio sarà proposta la distribuzione di un dividendo di 2,75 centesimi solo per le azioni di risparmio. In relazione all'operazione di valorizzazione di una quota del capitale di Inwit, il Consiglio di Amministrazione "ha dato ampio mandato al management di approfondire e negoziare al meglio le due offerte vincolanti pervenute da Cellnex/F2I ed EI Towers". Lo comunica ufficialmente la società al termine della riunione del cda.


Alla luce dei conti pubblicati, può il governo credere che un soggetto così debole svaluti la rete in rame e faccia gli investimenti sulla banda larga, su ampia scala?

Lo scenario intravisto da analisti e osservatori dopo le dimissioni di Marco Patuano da amministratore delegato di TIM (nuova denominazione di Telecom Italia), è di un gruppo più asciutto, con un bel taglio dei costi per intaccare anche la zavorra dei debiti. Un gruppo ridimensionato geograficamente, quindi addio alla presenza in Brasile (per questo i membri del cda indicati da Vivendi hanno spinto per una svalutazione dell’asset a differenza dell’ex ad Marco Patuano. Un gruppo che possa essere al centro del risiko europeo nel settore delle tlc e dei contenuti, anche con sinergie non solo industriali ma azionarie con Mediaset. Infine, un gruppo che possa fare anche da perno per una soluzione di sistema per le torri di trasmissione fra Inwit, Rai Way e Cdp.
Secondo gli analisti di Kepler Cheuvreux le dimissioni del ceo potrebbero essere un catalizzatore positivo per accelerare la ristrutturazione societaria e ampliare il piano di taglio dei costi. Se quest'ultimo dovesse passare dai 400 milioni proposti dall’ex ad. Patuano, a 1 miliardo, la differenza, secondo i calcoli di Kepler Cheuvreux, avrebbe un impatto positivo del 9% in termini di ebitda domestico, con una creazione di valore di 3,6 miliardi (19% dell’equity). Gli analisti vedono ampio spazio per un taglio del personale dal momento che "il numero di linee domestiche per lavoratore è di 226 contro i 440 di Orange in Francia e i 333 di Telefonica in Spagna. Sulla base di questi benchmark, Telecom potrebbe vedere una riduzione di 17 mila persone nel tempo, rispetto ai 3.300 annunciati di recente. Secondo Icbpi, la reazione positiva del titolo all’uscita di Patuano, è appunto dovuta al fatto che il mercato potrebbe ragionare sulle possibili mosse del sostituto, specie sulle nuove misure di taglio costi in Italia che sarebbero state all’origine del malcontento di Vivendi. Nonostante ciò, a parte la valutazione di nuovi piani di efficienze ed eventuali cambi di strategia, gli analisti ritengono che l’uscita di Patuano segnali soprattutto la presa di controllo di Vivendi su Telecom Italia, riducendone, almeno nel breve periodo, l’appeal speculativo. Apprezzamenti per il lavoro dell’ad uscente e attese positive per la spinta di Vivendi emergono da un report redatto dagli analisti di Mediobanca Securities, secondo cui, però, la reazione positiva del titolo all’uscita del ceo era attesa visto che conflitti tra cda e top management non aiutano mai.

Nel frattempo inizia a stringersi il cerchio sul nome del successore di Marco Patuano alla guida di Telecom Italia. I nomi in circolazione, anche se qualcuno ha smentito, sono quelli di Francesco Caio, attuale numero uno di Poste e di Andrea Guerra, ex top manager di Luxottica. A più riprese si parla di Luigi Gubitosi, ex numero uno di Wind poi alla direzione generale della Rai, anche se in realtà i riflettori tornano a concentrarsi su Flavio Cattaneo. Nei giorni scorsi fonti vicine a Ntv hanno fatto sapere che "Cattaneo sta bene dove sta", ma in realtà i "botteghini" continuano a dare l'ex direttore generale della Rai fra i favoritissimi. Peraltro Flavio Cattaneo è già consigliere indipendente di Telecom Italia. A proposito di "continuità" fra i nomi spunta anche quello di un ex Telecom, Andrea Mangoni (è stato direttore generale per il Sud America fino al 2013), mentre a sopresa spunta anche il nome di Felicité Herzog, membro del cda Telecom in quota Vivendi e molto vicina a Bolloré.

venerdì 26 febbraio 2016

Investire in azioni quando il mercato crolla?

Da quando è iniziato l'anno lo S&P500 è sceso del 6%, questo calo dei prezzi ha scatenato una diffusa paura nei mercati finanziari, che questo sarebbe stato l'anno dell'orso. Questa caduta è avvenuta per diversi motivi: I timori di aumenti dei tassi di interesse della Federal Reserve, il rallentamento della crescita in Cina, il crollo dei prezzi del petrolio. Se ci si concentra solo sugli aspetti negativi il quadro è pessimo, se invece provate a fare un passo indietro, noterete che tutto appare diverso.

Il mercato azionario ha mostrato una crescita esponenziale per lunghi periodi di tempo. Warren Buffett ama ripetere sempre:

"Nel 20° secolo, gli Stati Uniti hanno subito due guerre mondiali e altri conflitti militari traumatici e costosi, la depressione, una dozzina di recessioni e panici finanziari, shock petroliferi, una epidemia di influenza e le dimissioni di un presidente caduto in disgrazia. Eppure, il Dow è salito da 66 a 11.497".


Per usufruire di una crescita esponenziale ci sono alcuni passi da fare, il primo è che non si può vendere quando il mercato scende. Warren Buffett ha 3 capisaldi per gli investimenti e trova che siano fondamentali per il loro rendimento. Il suo secondo pilastro è quello di guardare la fluttuazione del mercato, come tuo amico, piuttosto che come tuo nemico. Gli altri 2 sono: "Guardate le azioni come piccoli pezzi dell'attività; Ottenete un margine di sicurezza".

Quando i mercati sono in calo le persone tendono a essere prese dal panico. La maggior parte degli investitori (tra cui molti professionisti) vedono le fluttuazioni del mercato come il loro nemico ed è facile capire il perché. Il valore citato degli investimenti è andato giù, avete perso soldi (teoricamente). Le cose da prendere in considerazione, quando i mercati vanno giù, sono 2 sostanzialmente: No c'è bisogno di vendere solo perché il mercato è giù; Vi è la possibilità di acquistare grandi aziende a prezzi stracciati. Dal momento che non c'è bisogno di vendere quando i prezzi di mercato scendono, perché vorreste farlo? Se qualcuno vi avesse offerto un giorno di acquistare la vostra auto per € 20.000 e avete deciso di non venderla, allora perché dovreste vendere se sono tornati nuovamente un mese più tardi e ve ne hanno offerti € 10.000? Quando il mercato azionario scende trattiamo i nostri beni in modo diverso. Vogliamo vendere le nostri azioni, di grandi aziende, perché la gente ce le pagheranno meno. Questo non ha alcun senso. Come venditore si desidera un prezzo più elevato. Quando i prezzi diventano bassi, basta non vendere, anche se altre persone lo fanno.

Invece è ottimo essere un acquirente mentre il mercato scende. È possibile riuscire ad acquistare aziende di alta qualità ad un prezzo scontato. Pensate ad un mercato in cui i titoli scendono del 10%, 20%, 50%, o anche di più sulla proprietà di grandi imprese. Ecco un'altra citazione di Warren Buffett che fa al caso nostro: "Che si parli di calze o di azioni, amo acquistare merce di qualità quando è scontata".

Le cadute dei mercato vi danno la possibilità di acquistare "merce di elevata qualità" a prezzi ridotti. Cosa c'è di meglio per aumentare la vostra ricchezza a lungo termine? Avete la possibilità di beneficiare di fluttuazioni del mercato per l'acquisto di grandi imprese quando sono in vendita e venderle quando diventano molto sopravvalutate. A questo proposito ecco un'altra citazione di Buffett: "Essere timorosi quando gli altri sono avidi e avido solo quando gli altri sono timorosi".

Una delle regole che può aiutare gli investitori ad approfittare dei periodi di fluttuazione del mercato e costruire un portafoglio, è scegliere titoli di elevata qualità con dividendi in crescita. Per capire meglio, analizziamo uno degli investimenti di Warren Buffett, American Express (AXP). Buffett ha investito per la prima volta in AXP nel 1964 e ha tenuto il titolo per oltre 50 anni. Molto è accaduto durante questo periodo, il mercato ha visto una crescita esponenziale e forti correzioni, ma nonostante tutto ha tenuto il titolo che nel frattempo è salito di oltre il 2000%.



Warren Buffett non ha però il monopolio dei buoni consigli per gli investimenti. Ad esempio Peter Lynch amava dire sui ribassi del mercato: "Avrete recessioni, avrete cali del mercato azionario. Se non capite che sta per accadere, allora non siete pronti, non farete bene nei mercati".

La traiettoria del mercato sul lungo periodo è proiettata verso l'alto, non va però in linea retta. Se si investe nel mercato azionario bisogna essere consapevoli che si verificheranno dei cali. È necessario essere preparati a questo. Il consiglio di Peter Lynch è quello di capire che i mercati cadranno mentre i nostri capitali sono investiti. Essere consapevoli di questo, è un fattore importante per il successo degli investimenti a lungo termine. Gli esseri umani in generale (me compreso, e anche voi) hanno una naturale tendenza a reagire in modo eccessivo alle notizie sia positive che negative. Questo crea bolle e crolli del mercato. Sentiamo una buona notizia e ci sovrappesiamo di titoli. Sentiamo una cattiva notizia e pensiamo che il cielo stia cadendo e che gli indici potrebbero azzerarsi!

Seth Klarman (manager del hedge fund miliardario Baupost Group) inquadra molto bene la situazione. "Il mercato azionario è la storia di cicli e del comportamento umano che è responsabile di reazioni eccessive in entrambe le direzioni".

Sapere che siamo predisposti ad un eccesso di reazione ci può aiutare ad evitare che si verifichi. Investire è un ottimo sport per le persone calme. È necessario separare se stessi dalle proprie emozioni e pregiudizi di comportamento, se si desidera avere la possibilità di fare bene. Credo che una buona parte della breve corsa messa a fuoco sul mercato è il risultato di investitori che prestano attenzione alle metriche sbagliate. Invece di preoccuparsi se una società mancherà le aspettative degli analisti per pochi centesimi (questo può realmente importare?), perché invece, non ci concentriamo su come un'attività è destinata a crescere nel corso del decennio? Le fluttuazioni dei prezzi non ci dicono nulla circa la crescita di fondo di un'attività. Una società può annunciare che ha aumentato del 10% gli utili e vedere il prezzo delle sue azioni cadere. I prezzi delle azioni si muovono, il pagamento dei dividendi no. Dirigendo la vostra attenzione sulla crescita e il pagamento dei dividendi, invece di guardare il movimento giornaliero dei prezzi delle azioni, vi aiuterà a reggere durante la caduta dei mercati.

In definitiva che cosa fare quando il mercato azionario scende?

Non agitarsi
Guardare il quadro sul lungo termine
Guardare i dividendi e non i prezzi delle azioni
Acquistare aziende di alta qualità scambiate a prezzi scontati

Le grandi società non tagliano i loro dividendi quando i prezzi delle azioni scendono. Quindi secondo quanto discusso in questo articolo, quando i mercati scendono la cosa migliore da fare è acquistare società di elevata qualità con il dividendo in crescita. Nella ricerca di queste aziende, l'investitore dovrebbe guardare tra le altre cose, che la società abbia una gestione amichevole verso gli azionisti, che sia scambiata in sconto rispetto al suo fair value, che abbia un forte vantaggio competitivo e... una lunga storia di successo.

martedì 16 febbraio 2016

Investire in Recordati: un gioiello tutto italiano

Recordati Spa (REC.MI) è un gruppo farmaceutico internazionale, con circa 4.000 dipendenti, basato sulla ricerca, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti farmaceutici ed innovativi, ad elevato valore aggiunto, aperto a collaborazioni. Ha sede a Milano, e attività operative nei principali paesi europei, oltre che in Russia e negli altri paesi del Centro ed Est Europa, in Turchia, in Nord Africa e negli Stati Uniti d’America. Grazie all'efficiente rete di informatori scientifici del farmaco, riesce a promuovere un’ampia gamma di prodotti innovativi, sia originali sia su licenza, appartenenti a diverse aree terapeutiche compresa un’attività specializzata nelle malattie rare. Recordati si propone come partner di riferimento per l’acquisizione di nuove licenze per i suoi mercati. La società è focalizzata sulla sintesi di nuove molecole nella ricerca e sviluppo di farmaci innovativi per le aree terapeutiche cardiologica e urologica, ed anche di terapie per malattie rare. I ricavi consolidati nel 2014 sono stati pari a € 987,4 milioni, l’utile operativo è stato pari a € 231,0 milioni e l’utile netto è stato pari a € 161,2 milioni. Recordati affianca alla produzione di principi attivi per le proprie specialità farmaceutiche, quella, su larga scala, di principi attivi ed intermedi per altre industrie farmaceutiche.

La società si è prefissata l'obiettivo di nuove acquisizioni mirate di aziende farmaceutiche di piccole dimensioni al fine di completare l'espansione geografica in alcuni paesi europei in cui non è ancora presente. A tale fine avrebbe dato mandato a Rothschild per studiare alcune potenziali società da acquistare in Europa centro-orientale. Operazioni di acquisizione che potrebbero avere un controvalore di circa 200-300 milioni di euro. Il management della società ha affermato, a dicembre scorso, che stava valutando l'opportunità di crescita esterna in Europa con un valore potenziale di circa 100-200 milioni di euro, avendo a disposizione 400 milioni di euro, nell’arco dei prossimi trimestri, per rafforzare il gruppo nel business dei prodotti tradizionali, quelli da banco. Ma anche gli Otc non rimborsati. In particolare, il presidente e AD, Giovanni Recordati, aveva confermato che c'erano due acquisizioni nel cassetto in Europa e non ha escluso che la famiglia possa diluirsi al di sotto del 50% nell'ambito di un'operazione societaria con altre aziende europee, qualora non dovesse essere più possibile crescere in modo autonomo. Le due operazioni preannunciate non sono grandi ma molto mirate e l’obiettivo di Recordati è quello di portare il fatturato del gruppo dagli 1,04 miliardi di euro stimati per l’esercizio in corso a 1,2 miliardi. Giovanni Recordati ha evidenziato che negli ultimi 15 anni il gruppo ha investito un miliardo in acquisizioni e distribuito dividendi per 500 milioni.

Le azioni Recordati fanno parte del paniere Ftse Italia Mid Cap e rientrano nel segmento Blue Chips. Mostra un livello rischiosità inferiore alla media del mercato (il beta è minore di 1), grazie alla sua presenza in un business anti-ciclico come quello farmaceutico. Negli ultimi 3 anni il titolo Recordati ha registrato una performance molto positiva, pari al +238,7% a fronte di un +43,3% dell'indice Ftse Mib. Le azioni Recordati hanno avuto un trend crescente, con un sostanziale raddoppio delle quotazioni, fino ai massimi di febbraio 2014, seguito da una fase laterale di alcuni mesi ed un nuovo impulso rialzista culminato nei massimi di luglio 2015, ora il titolo si trova nuovamente in un fase laterale.

Nei tre anni che vanno dal 2012 al 2014 Recordati ha mostrato una crescita del fatturato del 19,2% mentre il margine operativo lordo è aumentato del 42,8% con una marginalità in crescita di oltre 4 punti percentuali. Il risultato operativo è salito del 38,4% mentre il risultato netto è passato da 118,5 a 161,2 milioni di Euro, il +36%. Il ROI (la redditività del capitale investito) è aumentato di 3,2 punti al 23,7% mentre il ROE ha guadagnato 2,5 punti al 20,5%. Dal punto di vista patrimoniale l'indebitamento finanziario netto è aumentato di 32,6 milioni a 186,1 milioni, con un rapporto debt to equity sostanzialmente stabile a 0,24.



Nei primi nove mesi dell'anno i ricavi del gruppo sono aumentati del 5,7% a 784,4 milioni di euro, in linea con le aspettative degli analisti. I ricavi internazionali, che rappresentano il 79,3% del totale, sono cresciuti del 8,8%, mentre quelli domestici sono diminuiti del 4,7%. L'utile netto di è salito a 152,5 milioni di euro nei primi nove mesi dell'anno. L'Ebitda, cresciuto del 13% a 240,5 milioni di euro, è risultato in linea con le previsioni degli esperti, evidenziando una marginalità del 30,7% grazie al miglioramento dell'utile lordo e al contenimento della crescita dei costi operativi. Nel terzo trimestre i ricavi sono cresciuti del 4,7% a 245,3 milioni di euro e l'utile lordo del 3,3% a 166 milioni. Per il 2015, l'esercizio si è chiuso con ricavi per 1,05 miliardi di euro, in aumento del 6,1% rispetto ai 987,3 milioni registrati nell'esercizio precedente. Il fatturato è risultato superiore agli 1,04 miliardi stimati dal management. La società farmaceutica ha precisato che i ricavi internazionali rappresentano il 79,8% del totale. Il risultato operativo è salito del 20,6% e ha toccato i 278,5 milioni di euro. Di conseguenza la marginalità è cresciuta al 26,6%. Recordati ha terminato lo scorso anno con un utile netto di 198,8 milioni di euro (+23,3% rispetto ai 161,2 milioni contabilizzati nel 2014). Anche in questo caso il dato è stato superiore alle stime del management (circa 190 milioni di euro). A fine 2015 l’indebitamento netto della società farmaceutica ammontava a 88,7 milioni di euro, in contrazione rispetto ai 186 milioni di inizio anno, nonostante il pagamento per dividendi per 110,8 milioni. Il management di Recordati ha fornito le stime per l’esercizio in corso. I vertici prevedono di realizzare ricavi compresi tra gli 1,07 miliardi e gli 1,1 miliardi di euro, un utile operativo tra i 290 e i 300 milioni e un utile netto intorno dei 210 milioni.