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mercoledì 14 novembre 2018

La Brexit di Theresa May: i nodi da sciogliere

Il primo ministro inglese Theresa May chiederà al suo governo di sostenere il progetto di accordo sulla Brexit oggi pomeriggio, nonostante il fatto che potrebbe non avere il completo appoggio del suo partito. Di seguito facciamo il punto sulla situazione Brexit.

Alla fine di marzo scadono i due anni previsti dall'articolo 50 per arrivare a un accordo per il recesso e, a quel punto, un qualche accordo di massima va raggiunto altrimenti il Regno Unito si troverebbe automaticamente fuori dall'Unione senza nessun accordo.

Il nodo del confine irlandese

Probabilmente il fulcro dell'accordo, il punto più importante da risolvere.
La dura realtà, quella che non si può aggirare con uno spot elettorale, si è manifestata sotto forma del confine tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord, un confine che è anche il confine tra Regno Unito e Repubblica d'Irlanda visto che l'Irlanda del Nord è parte del Regno Unito. L'Unione europea è stata protagonista determinante nel processo di pace con l'accordo del 1998, noto come l'accordo del Venerdì Santo: un accordo di pace che ha messo fine alla lotta fra i due modi di essere irlandesi. L'accordo del Venerdì Santo prevede infatti il "power sharing", forma di governo in cui a Belfast, sono due forze in condivisione forzata a governare quel pezzo d'Irlanda britannica.

Il nodo del confine irlandese per la Brexit, Theresa May


Il confine in questione viene attraversato ogni giorno da oltre 30mila pendolari nelle 200 strade che vi transitano. Viaggiano su questa linea mimetizzata l'80 per cento delle esportazioni della Repubblica Irlandese, che poi si fermano nel Regno Unito o vengono imbarcate verso il Vecchio Continente.

È per questo che l'Irlanda si batte, con l'Unione europea al suo fianco, affinché il Regno Unito rimanga all'interno dell'Unione Doganale e del Mercato Unico: per evitare di trovare un ostacolo al suo più importante sbocco commerciale.

Una volta usciti dall'Unione il Regno Unito e l'Irlanda del Nord, questo stesso confine diventerebbe il confine dell'Unione Europea, ma che senso avrebbe parlare di uscita dal mercato unico in presenza di un confine così poroso? Nessuno, ed è questo il principale problema che si pone di fronte a Theresa May e a Michel Barnier, il capo negoziatore dell'Unione.

Il confine britannico

Potrebbe volere evitare un nuovo confine doganale nel Mare d'Irlanda, separando la Gran Bretagna dall'Irlanda del Nord. Ma l'Irlanda del Nord sarà più profondamente radicata nell'unione doganale dell'UE rispetto al resto del Regno Unito, perché aderirà al codice doganale completo dell'UE, secondo tre funzionari europei e un funzionario britannico.

Il nodo del confine irlandese blocca la Brexit


L'Irlanda del Nord si atterrà ad alcune delle norme del mercato unico dell'UE per le merci, in modo che i prodotti alimentari e agricoli possano attraversare il confine irlandese senza burocrazia. Questo è un grosso rischio per la May. Per rimanere al potere, si affida ai voti del Partito unionista democratico dell'Irlanda del Nord in Parlamento. Hanno promesso di opporsi a qualsiasi accordo che trattenga l'Irlanda del Nord in un regime doganale o regolamentare diverso dal resto della Gran Bretagna.

Perchè il primo ministro pensa sia una trappola

I ministri pro-Brexit della May inizialmente avevano richiesto una data di scadenza per il backstop, per garantire che il Regno Unito non venisse tenuto prigioniero all'interno dell'unione doganale dell'UE per sempre. L'UE ha rifiutato, insistendo sul fatto che non ci può essere un limite di tempo per una clausola di garanzia che potrebbe essere necessaria a tempo indefinito.

Invece, l'accordo offre un meccanismo di revisione, ma non conferisce al Regno Unito il potere di ritirarsi unilateralmente. Ancora una volta, questo è inaccettabile per i sostenitori della Brexit.

Il dazio da pagare per l'uscita

Verso la fine del periodo transitorio nel 2020, il Regno Unito sarà in grado di scegliere tra l'estensione dei termini commerciali esistenti - al costo di continuare i pagamenti annuali di circa 10 miliardi di sterline ($ 13 miliardi) verso l'UE - o abbandonare il mercato unico, l'unione doganale e il blocco di frontiera irlandese.

Ciò significherebbe liberarsi dall'incombenza degli onerosi pagamenti mensili, ma anche di impegnarsi a mantenere a tempo indefinito il regime doganale all'interno dei confini. Una brutta copia della Brexit.

Partnership futura tra le nuove fazioni

L'accordo di divorzio di 600 pagine contiene anche un progetto molto più breve per le future relazioni tra l'UE e l'UE.

Questo progetto chiarisce che il sistema di backstop per l'Irlanda del Nord stabilirà la linea di base per il commercio lungo il confine irlandese. Qualsiasi accordo commerciale futuro deve fornire la stessa apertura sull'Irlanda.

La bozza del testo offre la prospettiva di un accordo di libero scambio semplificato in stile Canada. Ma sarà solo per la Gran Bretagna continentale. Se il governo scegliesse un accordo del genere, l'Irlanda del Nord dovrebbe rimanere all'interno del regime doganale sostenuto dall'UE, mentre il resto del paese andrebbe in un'altra direzione, metaforicamente, significherebbe separare i figli dopo il divorzio.

Un risultato del genere sarebbe inaccettabile per i Tories che danno valore all'unione del Regno Unito e i politici del DUP che sostengono il governo di minoranza della May.

lunedì 13 novembre 2017

Brexit, Theresa May tra due fuochi, arriva la sfiducia dai conservatori

Tutto è cominciato qualche settimana fa, alcuni conservatori in varie conferenze avevamo paventato l’idea di sfiduciare la May perchè “troppo morbida” sulla questione Brexit. Questo fine settimana è arrivato il colpo di grazie, oggi infatti, un gruppo di conservatori, membri del parlamento hanno accettato di firmare una lettera di sfiducia su Theresa May, primo ministro britannico.

Sul fronte valutario è soprattutto la sterlina a guadagnare la scena, segnando nuovi cali rispetto alle valute principali sulla scia della fase di debolezza che sta colpendo il governo di Theresa May, sotto attacchi per una serie di scandali legati a presunte molestie sessuali. Una relazione del The Sunday Times ha dichiarato che 40 deputati hanno accettato di firmare la lettera di sfiducia a causa di preoccupazioni riguardanti la gestione della Brexit di Mrs May.

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Geoff Yu, capo dell’Ufficio investimenti britannico presso la UBS Wealth Management, ha dichiarato che la sterlina è “probabilmente un’indicazione che esiste un accordo UE-UK, ma naturalmente un cambiamento improvviso nella traiettoria nel Regno Unito potrebbe politicamente deragliare tutto”. Probabilmente i conservatori non sono d’accordo con gli accordi presi dalla May con l’Unione Europa.

Quali saranno le ricadute economiche dell’addio inglese?

È certamente la domanda cui è più difficile rispondere. Il previsto declino dell’economia britannica è stato ad esempio finora compensato dal calo del valore della sterlina, che ha reso possibile una crescita del tasso di sviluppo economico. Più probabile invece che si avveri la previsione sulla decadenza di Londra come principale piazza finanziaria europea. Simbolica dell’attesa fuga dalla City è la scelta dei celebri Lloyd’s di aprire la loro prima sede Oltremanica. Altre piazze finanziarie, tra cui Milano, aspirano a trarre vantaggio dalla crisi della City. Per ora si contano quasi 20.000 persona licenziate al mese sotto i colpi di corporation che preferiscono sedi europee come Milano, Francoforte e Lussemburgo.

Sintomatica poi la scelta della sede dell’EMA, la società che regola i farmaci da vendere in Europa, tuttora con sede a Londra, con l’uscita dell’Inghilterra la sede dovrà essere spostata, è probabile a Milano nel nuovo Pirellone, questo sarebbe l’ennesimo duro colpo alla Gran Bretagna. l’EMA sarebbe il fulcro della farmacologia europea con un indotto immenso, Milano è pronta.

Il futuro della Sterlina

Il FTSE 100 di Londra, dal giorno della scelta degli inglesi di uscire dall’Europa, ha guadagnato il 25%, aiutato dalla libbra più debole, che ha reso le esportazioni del Regno Unito più competitive abbattendo i guadagni effettuati in valuta estera grazie al calo della sterlina. Lo stratega di cambio di Scotiabank, Qi Gao, ha collegato il movimento della moneta alla “crescente minaccia alla leadership di Theresa May”.

Se i dati macroeconomici non hanno ancora scontato l’evento Brexit – che d’altra parte non si è verificato – e la Borsa di Londra si è comportata positivamente, finora il conto della prospettiva di divorzio tra Londra e Bruxelles è stato pagato dalla sterlina (con i riflessi annessi e connessi sull’inflazione). Soltanto la lira turca, sulla soglia della guerra civile, ha performato peggio del pound.

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L’attivazione dell’Articolo 50 non giunge certo inattesa per i mercati. Nondimeno, crediamo che potrebbe causare una lieve perturbazione perché gli investitori torneranno a concentrarsi sulla realtà della Brexit e sulle implicazioni, la sterlina potrebbe indebolirsi ancora, con implicazioni sulle obbligazioni e sui prestiti denominati nella valuta britannica. Quel che sembra certo è che per i prossimi due anni di negoziati la volatilità farà da padrona.

Oltre che sulla moneta, in futuro rischia di ribaltarsi su tutta la struttura produttiva britannica: un recente studio del Ceps per il Parlamento europeo dice che l’uscita del Regno Unito dall’Unione significherebbe un punto di Pil in meno all’anno, mentre i 27 dell’Unione rischiano complessivamente mezzo punto spalmato su due anni.

L’Unione europea sta preparando dei piani da attuare in caso di fallimento dei negoziati sulla Brexit e di un’uscita del Regno dalla Ue senza accordo. Lo ha rivelato il capo negoziatore europeo Michel Barnier in un’intervista al francese Journal du Dimanche. Barnier ha sottolineato che l’opzione in questione non è certamente la sua preferita ma “è una possibilità” per la quale ci si deve preparare per tempo.

mercoledì 11 gennaio 2017

Investire nel 2017, quali sono i segnali macro da seguire

Il 2017 ormai è iniziato e molti economisti e analisti avranno detto la loro su cosa si attendono per quest’anno, diamo anche una nostra visione come Domino Solutions per capire cosa ci potremmo attendere in alcuni settori importanti.

Partiamo ovviamente da quello che potrebbe accadere a livello geopolitico. Le aspettative dello scorso anno avevano previsto che il 2016 sarebbe terminato con un mercato toro globale soprattutto nel settore azionario mentre i rendimenti dei titoli rimanevano relativamente bassi, di seguito vi presenteremo le questioni più importanti che possono preoccupare gli investitori dai i primi giorni delle negoziazioni andando avanti nell’anno che si svolgerà.

Insediamento di Donald Trump
Donald Trump potrà essere una delusione ?
Gli investitori all’inizio di dicembre 2016 erano fiduciosi che la combinazione delle normative di Donald Trump nell’ambito economico avrebbero aiutato le aziende americane a produrre margini di profitto più alti. In questo modo c’è stato una grande rotazione col denaro che è passato dagli investimenti in obbligazioni verso i titoli azionari.

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Lo Standard & Poor’s 500, il Dow Jones Industrial Average e il Nasdaq Composite hanno tutti avuto un rialzo intorno all’8% e il 10% a partire dall’8 di novembre 2016. Il rendimento sui titoli del Tesoro a 10 anni nel frattempo è salito dell’1,32% nel mese di luglio al 2,5% del mese di novembre, una crescita rapida che proprio sottolinea ciò che dicevamo e cioè il passaggio di consegna di denaro dalle obbligazioni verso le azioni.

E’ troppo presto comunque per dire che il mercato azionario in questo momento è in una fase di trend rialzista, diciamo che aspettiamo ancora alcune conferme tra cui l’insediamento dello stesso Trump che avverrà il prossimo 20 gennaio. Noi crediamo che Wall Street possa raggiungere nuovi massimi e i titoli azionari di bassa e media capitalizzazione possano salire ancora di molto.

La Brexit in Europa
In che modo l’Europa e il Regno Unito potranno gestire la brexit ?
Questo potrebbe essere un punto fondamentale soprattutto per la sterlina e gli indicatori di rischio politico e potranno fornire forti opportunità commerciali nel 2017, il Regno Unito ha rinunciato definitivamente ad un accesso al mercato unico per avere il pieno controllo dei propri confini, questo ha portato gli investitori ad abbassare il valore delle attività dello stesso Regno Unito vedendo la sterlina al ribasso e mettendo in dubbio Londra come uno dei più grandi centri di finanziatori mondiali.

La debolezza dell’euro nei confronti della sterlina sugli sviluppi della Brexit ci ha suggerito che potrebbe esserci una riduzione proprio della politica monetaria inglese. Una previsione stravagante fatta da Saxo Bank vede l’euro scendere di 73 pips sulla base del fatto che l’Unione europea sarà costretta ad agire velocemente a causa delle forti forze migratorie verso l’Europa dal Regno Unito. C’è anche la questione di ciò che significa Brexit per il futuro dell’euro, con la Francia, l’Olanda, l’Italia e la Germania che nel 2017 saranno in piena elezione e se i movimenti anti euro prenderanno il sopravvento, come è successo in Gran Bretagna anche la Germania potrà rivalutare il proprio salvataggio di Deutsche Bank.

Il Petrolio verso i 70 $
Il petrolio finalmente raggiungerà un equilibrio di prezzo ?
La fornitura di petrolio dei più grandi produttori al mondo sarà, dal primo giorno di negoziazione del mese di gennaio, tagliato come avevano definito i membri dell’Opec come Arabia Saudita e Russia. A Ottobre alla fine avevano deciso di ridurre la produzione a seguito di un accordo globale per tagliare le forniture per la prima volta dopo la crisi finanziaria che ha colpito il petrolio anni fa.

Sicuramente ci sarà ancora più interesse e il ritorno da parte degli Stati Uniti verso gli scisti bituminosi e i recuperi di approvvigionamenti dalla Libia e Nigeria, nazioni che fino adesso erano conflittuali con il contratto sul petrolio, potranno far abbassare gli approvvigionamenti.

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L’esito di questa incognita determinerà quanto è se l’offerta e la domanda di petrolio entreranno in equilibrio nel 2017 e se i prezzi rimarranno al di sopra dei 50 dollari al barile, fino ad allora crediamo che i mercati entreranno in una modalità attendere e vedere.

Se i membri dell’Opec e i paesi cooperanti come la Russia avranno successo, si potrà finalmente parlare di uno svuotamento dei serbatoi in eccesso da parecchi mesi e questo potrà porre fine alla sovrabbondanza di approvvigionamenti della materia prima. Secondo il Bloomberg commodity index, un paniere di 22 contratti a termine, la sovrabbondanza è aumentata del 12% nel 2016 il suo primo aumento a partire dal 2010. Oltre al petrolio però ci sono anche i metalli industriali come lo zinco e rame che hanno hanno aumentato i loro prezzi nelle speranze che la crescita globale possa essere più forte e sostenibile nel futuro.

Le banche sono finalmente fuori dal tunnel
Gli indici azionari bancari in Giappone, Europa e Stati Uniti hanno registrato movimenti a doppia cifra nella metà del 2016, questo cambio segna un nuovo inizio per il settore che è stato afflitto dalle preoccupazioni sull’erosione della redditività dai bassi tassi di interesse, alla rigorosa regolamentazione e ha multe per cattivi comportamenti.

Secondo noi una delle cause più importanti sull’ottimismo e la prospettiva dell’innalzamento dei tassi di interesse, questo aiuterà la crescita economica ad essere più forte, grazie anche alla politica negli switch monetari e le misure fiscali per il prossimo. Un aumento del rendimento dei titoli a lungo termine aiuteranno le banche e i loro margini di profitto, grazie all’aumento dei valori sui prestiti e mutui, quindi noi restiamo ampiamente rialzisti sulle banche e sul settore.

In Europa al contrario le cose potrebbero complicarsi, le banche stanno soffrendo parecchio e un aumento dei tassi pare assai lontano. I salvataggi non aiuteranno gli istituti ad uscire dalle cattive gestioni manageriali degli ultimi anni.

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La crescita negli Stati Uniti continuerà

La crescita reale negli Stati Uniti è salita di un bel 2% così come il tasso di inflazione, mentre il tasso di disoccupazione è passato dal 12% del 2008 al 4,9% del 2016, questi dati suggeriscono che un livello più alto dei tassi di interesse potrà aiutare le grandi imprese ad avere dei margini lordi più alti se uniamo a questo il fatto che Donald Trump potrebbe attuare delle modifiche alle tassazione delle multinazionali, soprattutto all’estero potrebbe riportare gli Stati Uniti ad essere di nuovo una superpotenza come è successo nei dodici cicli precedenti iniziati nel 1945 dopo la seconda guerra mondiale.

La vittoria elettorale di Donald Trump ha intensificato il ribasso delle attività economiche che hanno stimolato un fuggi generale dei fondi azionari e obbligazionari nei mercati emergenti a un ritmo che non si vedeva dal 2013. Il pesos messicano e lira turca sono piombati ai minimi storici con il post elettorale di Trump che ha stimolato un dollaro più forte e rendimenti obbligazionari più elevati, solo la Russia sembra sfuggire a questa tendenza in parte grazie alla “connessione” tra Donald Trump è Vladimir Putin.

Col capitale che scorre fuori dalla Cina nonostante gli sforzi per arginarla, i mercati emergenti si aspettano ulteriori aumenti dei tassi negli Stati Uniti nel 2017, gli investitori dei mercati emergenti si stanno concentrando sulla differenziazione e la gestione del rischio.

martedì 20 settembre 2016

Nucleare, la Gran Bretagna da il via al progetto Hinkley Point C

Ormai tutti si stanno abituando alla decisione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione Europea, gli inglesi hanno fatto un nuovo passo avanti decidendo di sbloccare il massiccio programma del reattore nucleare Hinkley Point C, nonostante il fatto che questo possa creare forti problemi economici al paese per i prossimi 35 anni. La centrale nucleare sarà co-finanziata dalla Cina, il via libera è stato dato dalla premier Theresa May. Il progetto avrà un costo di 18 miliardi di sterline.

Come detto il gruppo China General Nuclear Power Corporation, insieme al colosso francese Electricité de France (EDF), partner del governo inglese, finanzieranno per due terzi la centrale nucleare di Hinkley Point in Gran Bretagna. A regime Hinkley Point, nella contea del Somerset, genererà il 7% dell’elettricità necessaria al Paese. Il progetto per la costruzione del primo reattore del paese da decenni in un luogo nel sud-ovest dell’Inghilterra ha registrato un ritardo nonostante le aziende in Francia e Cina abbiano espresso forte interesse per il finanziamento.

Il progetto non è senza rischi. Solo quattro centrali nucleari con la tecnologia prevista per Hinkley Point C sono in costruzione. I due stabilimenti europei in corso di realizzazione hanno avuto un aumento dei costi enormi e nessuno dei due è ancora operativo.

Hinkley Point C, progetto nucleare della Gran Bretagna dopo il Brexit, finanziato da EDF e la Cina

La struttura dei costi e la data di completamento per Hinkley Point C è già cresciuto notevolmente da quando il progetto è stato annunciato. Il costo pare essere il doppio di quello che era stato previsto per il completamento entro 8 anni. Il progetto è stato abbastanza controverso su una serie di motivi, non ultimo il possibile rischio di avere un parziale controllo cinese di un segmento consistente del settore energetico.

Per la Cina Hinkley Point rappresenta infatti solo il primo passo in un settore in cui intende consolidare la sua presenza e rafforzare il suo prestigio. Pechino aveva accettato di contribuire con 6 miliardi di sterline al progetto solo in cambio del via libera di Londra alla realizzazione di almeno un’altra centrale nucleare in Inghilterra di nuovo in partnership con Edf ma con un ruolo più importante per la Cina. Le centrali di Bradwell e di Sizewell secondo gli accordi verranno costruite utilizzando per la prima volta tecnologie avanzate “made in China”.

Londra temeva che un’infrastruttura “critica” per la sicurezza nazionale potesse finire tutta in mano cinese, perciò ha proposto delle clausole per salvaguardare i suoi interessi e poter intervenire se, in futuro, EDF decidesse di vendere le sue quote dell’impianto. Tra l’altro, sempre in tema di costi e ritardi, la centrale di Hinkley Point C rischierebbe davvero di finire come gli altri progetti EPR, continuamente posticipati a causa del lievitare del budget necessario per completare i reattori.

C’è stato anche un vivace dibattito sui pro e i contro al nucleare rispetto ad altre fonti di energia a bassa emissione di carbonio, in particolare solare ed eolica. Poiché il costo di energia solare ed eolica sono crollati, mentre il costo della struttura Hinkley Point C continua a salire, la decisione ora sembra incongrua sulla sola base dei costi.

La Intergeneration Foundation ha riferito in aprile che 40 miliardi di sterline in oltre 35 anni sarebbero potute servire per la produzione di energia solare ed eolica, invece che sostituirli per l’impianto Hinkley Point C. Inoltre, la relazione sostiene che, mentre il vento e i costi solari possono essere facilmente calcolati, i nuovi impianti nucleari hanno un sacco di incognite sui costi stimati di erogazione di potenza nel corso di decenni. Si noti che quando il rapporto è stato scritto nel mese di aprile 2016, il costo di costruzione stimato (compreso il finanziamento) della struttura era di 24,5 miliardi di sterline.

Per un periodo di 35 anni, a partire dal 2025, a Edf viene assicurato un prezzo dell’energia venduta pari a 92,5 sterline a megawatt per ora, il doppio dei costi attuali. Una liquidità essenziale per Edf, zavorrata da 37 miliardi di debiti, alle prese con i continui rinvii per l’apertura della nuova centrale di Flamnville in Normandia, e alle prese con una difficile integrazione con il gruppo Areva che detiene i brevetti della tecnologia nucleare, era fondamentale avere il via libera dal governo conservatore di Londra. A Hinkley Point verrà utilizzata la stessa tecnologia Epr che sta causando mille problemi al cantiere normando. Stessa sorte per l’altro appalto vinto dai francese per un impianto, più piccolo, in Finlandia.

I reattori Hinkley Point C e Sizewell utilizzeranno la tecnologia FES di terza generazione ad acqua pressurizzata (EPR), mentre l’impianto a Bradwell utilizzerà una versione inglese del CGN cinese di terza generazione denominata Hualong.

La decisione di costruire due reattori nucleari a Hinkley Point C sembra il bluff di un giocatore di poker che ha carte in mano davvero brutte, però decide di mettere tutte le sue fiches sul tavolo per un ultimo rilancio. Con così tante polemiche per quanto riguarda i reattori EPR di nuova generazione e l’Europa che vira in senso contrario al nucleare, non possiamo fare a meno di notare i possibili problemi futuri. Ci sono ancora grossi ostacoli tecnici, legali e finanziari da negoziare.

venerdì 1 luglio 2016

Brexit, i titoli difensivi da mettere in portafoglio

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ha avuto pesanti ripercussioni sull’andamento dei prezzi, come si poteva facilmente immaginare. Gli effetti negativi si sono amplificati anche per l’errore di valutazione compiuto da un mercato che aveva scommesso sull’esito opposto, ovvero la permanenza. A distanza di qualche giorno la mente è sicuramente più lucida ed in grado di capire che è soprattutto in queste circostanze che gli affari diventano possibili, purché si ponga un’attenzione estrema nelle operazioni che si desidera attuare.

Il primo pensiero positivo in tal senso va ai dividendi erogati sia in questi momenti di incertezza sugli sviluppi futuri del caso Brexit che a maggior ragione se tutto si concluderà con conseguenze economiche inferiori a quanto i più pessimisti stanno ipotizzando. A queste società sono richiesti flussi di cassa ampi e stabili affinché la politica del management su un aumento costante dei dividendi diventi concretamente realizzabile nel tempo e una volatilità relativamente bassa per limitare il rischio di ribasso.

Altria Group (MO)
E’ una società produttrice di sigarette capace allo stesso tempo di diversificarsi tramite le sue controllate nella vendita di prodotti vinicoli, tabacco per pipa e sigari fatti a macchina.
I risultati del primo trimestre 2016 sono stati entusiasmanti, con un +6% del fatturato e un +19,54% dell’utile netto.

Le prospettive sono ottime grazie al fatto che la sua principale fonte di reddito, le sigarette, non accenna ad arrestarsi e sicuramente il Brexit non potrà essere l’elemento che andrà a modificare questa realtà dei fatti. Per quanto si stia parlando di una società a tutti gli effetti, Altria Group (al pari dei suoi rivali del settore tabacco) è un bene di rifugio talmente immune agli eventi di mercato da mettere in sicurezza il portafoglio anche da grossi pericoli di contagio generale.
L’azienda ha un dividend yield del 3,33%, corrispondente a 2,26$ ad azione.

Exxon Mobil (XOM)
Con una capitalizzazione di ben 378 miliardi, è il più grande operatore nella raffinazione e nella commercializzazione a livello internazionale di prodotti petroliferi, oltre a vantare un settore chimico tra i maggiori al mondo. Queste caratteristiche rendono quasi scontata una crescita degli utili decennale in periodi di mercato “normali”, con il pagamento di dividendi superiori rispetto all’anno precedente da ben 34 anni di fila, così da rientrare nella ristretta cerchia dei dividendi aristocratici.

La lunga e gloriosa storia della società e il raggiungimento di dimensioni di mercato imponenti non sono però stati sufficienti per restare immuni al crollo del prezzo del petrolio sotto i 30$ al barile, subendo un dimezzamento dei profitti. Ma la capacità di ridurre nettamente le spese in conto capitale ha permesso di abbassare il punto di pareggio tra costi e ricavi a 40$ e di sostenere un ulteriore aumento del dividendo del 2,7%.

Questa testimonianza di forza finanziaria, in aggiunta ad interessanti progetti in fase di sviluppo che una volta messi in atto miglioreranno la stabilità dei flussi di cassa, lasciano intendere un futuro positivo per un titolo che in questo primo semestre del 2016 ha già recuperato più del 25% delle perdite.

U.S. Bancorp (BAC)
E’ una banca statunitense che opera a livello nazionale nazionale e ritenuta tradizionale poiché è focalizzata su attività di base come depositi, prestiti e mutui. Questa strategia potrà anche essere considerata conservativa, ma ha dato all’istituto una solidità tale da superare senza troppe difficoltà perfino la crisi del 2008.

Con certe premesse il Brexit non può spaventare più di tanto. Al contrario deve essere visto come un evento che ha permesso di scontare il prezzo, come testimoniato dal basso rapporto prezzo/utili di 11,10.

Il dividendo erogato è di 1,02$ ad azione.

Brexit, la reazione di due titoli bancari

Il Brexit ha sconvolto il mercato nell’ultima settimana di contrattazioni, con gravi perdite registrate ovunque. Una categoria di titoli da analizzare con attenzione alla luce dell’attuale situazione economica sono i bancari. Non si può assolutamente puntare sull’immunità dall’esito del referendum britannico dato che è proprio questo il settore maggiormente esposto al futuro del paese d’oltremanica e al rischio di contagio se le cose dovessero prendere la direzione che nessuno si augura. Si è già avuta dimostrazione dei timori con il netto calo dei prezzi dei titoli del settore nei giorni precedenti.

Piuttosto è l’ottimo stato di salute di alcune società finanziarie a poter convincere sulla validità dell’inserimento in portafoglio di un titolo bancario. Questo è stato raggiunto dopo anni di lavoro dall’inizio della crisi finanziaria per eliminare investimenti a rischio, aumentare i livelli di capitale e puntellare i bilanci ed è stato confermato dagli eccellenti dati riportati nell’ultimo recente stress test condotto dalla FED proprio il giorno precedente al Brexit.

Bank of America Corp (BAC)
E’ una holding bancaria e finanziaria da 130 miliardi di capitalizzazione. La sua offerta di servizi di investimento, di asset management e wealth management è piuttosto ampia e suddivisa in varie aree di business.

La società ha affrontato negli ultimi anni una serie di acquisizioni poco proficue rispetto ai costi sostenuti e i postumi della crisi del 2008 che avevano messo in discussione le sue stesse capacità. Adesso, come premesso all’inizio dell’articolo, il programma di razionalizzazione dell’attività è completato e un ottimo stato di salute è stato raggiunto. Resta ancora l’esposizione in prestiti ad aziende energetiche per 7,7 miliardi, ma questa è in riduzione e rappresenta solo l’1% del totale dei prestiti erogati alle imprese.

In sostanza si può dire che si stanno concatenando una serie di fattori che indicano Bank of America come un’azienda che potrebbe realizzare ottimi risultati in un futuro non troppo lontano: la ripresa dei consumi dopo la riduzione della disoccupazione che sta contribuendo a ristabilire una domanda di prestiti a tassi che diventeranno a tassi d’interesse sempre più interessanti non appena la FED riterrà opportuno procedere con un loro rialzo; flussi di cassa dalla gestione operativa giunti nel primo semestre 2016 a 11 miliardi (+331% rispetto l’anno precedente); un rapporto prezzo su utili addirittura ad 8, segno di una valutazione del titolo molto scontata; i benefici degli ottimi risultati del stress test non ancora sfruttati causa il prevalere dell’effetto Brexit.

Citigroup Inc (C)
Con capitalizzazione di circa 123 miliardi, è un produttore globale di servizi finanziari forniti a consumatori, società, governi e istituzioni diversificati in molte aree geografiche (la particolarità che la distingue dai suoi principali rivali è che una parte consistente del fatturato proviene da paesi in via di sviluppo dell’America Latina e dell’Asia), così da ridurre l’esposizione globale al rischio dalle operazioni condotte.

Per il resto il discorso concilia con quello detto su Bank of America: la serie di fusioni e acquisizioni che hanno reso complessa una gestione aziendale coerente, la crisi finanziaria che ancora oggi è causa di spese, l’impegno a risollevarsi mediante l’inserimento nel management di banchieri esperti sino all’attuale ottima posizione competitiva e finanziaria, la sottovalutazione del prezzo corrente che sconta i risultati del referendum britannico.

lunedì 27 giugno 2016

Brexit: meglio vendere queste tre azioni americane

In una mossa senza precedenti, la Gran Bretagna sta lasciando l’Unione Europea. Questo potrebbe portare ad un effetto domino in tutta Europa e questo potrebbe avere un impatto sul vostro portafoglio. In qualche modo la mossa della Gran Bretagna ha votato per lasciare l’Unione europea. Il Brexit è ufficialmente reale. Questa è stata la prima volta che una nazione ha lasciato l’Unione europea e uno di questi scenari non era mai stato valutato dai mercati azionari che stanno scendendo per il secondo giorno di fila. Tutto ciò avviene in un momento in cui siamo già in una situazione di instabilità mentre l’oro continua a salire.

Il selloff che abbiamo visto il giorno del Brexit potrebbe essere solo l’inizio. Sarà un periodo relativamente lungo e un processo altrettanto complicato, quasi 80.000 cavilli giudiziari da sistemare; i negoziati potrebbero richiedere anni, e, in ultima analisi, questo potrebbe spingere la Gran Bretagna in una recessione, dato che oltre la metà delle esportazioni della Gran Bretagna sono in altri paesi europei.

Ciò che temono i mercati, non è tanto l’uscita della Gran Bretagna, che tra l’altro non era nemmeno a tutti gli effetti parte dell’Europa, ma l’effetto domino degli altri paesi, tra cui Spagna e Francia. Questo potrebbe portare ad un rallentamento in tutta Europa. Così, mentre molti investitori sono alla ricerca di opportunità di acquisto, la mossa più prudente è quella di essere sulla difensiva. Un continuo rallentamento dell’economia inglese potrebbe far male ai ricavi, mentre una moneta indebolita significherà aziende che incasseranno ancora meno quando convertiranno i loro soldi in dollari USA.

Di seguito vi segnaliamo tre società che hanno ottimi rapporti con la Gran Bretagna e potrebbe subire ribassi nell’immediato futuro a causa della sterlina e dell’economia in calo.

eBay (NASDAQ: EBAY)
Ebay genera oltre il 15% dei ricavi provenienti dalla Gran Bretagna. Una volta accoppiata col rischio di Amazon.com (NASDAQ: AMZN) prendendone una quota di mercato, eBay riceverà una pioggia di downgrade. I venditori si sono mossi verso Amazon grazie alla facile realizzazione, per non parlare della maggiore concorrenza da parte di Alibaba (NASDAQ: BABA) e Etsy (NASDAQ: ETSY).

Da quando PayPal (NASDAQ: PYPL) ha eseguito uno spin-off (su ordine di Carl Icanh), la crescita di eBay è stata discutibile. Il suo mercato è già saturo in tutto il mondo. Non dimentichiamoci anche i cambiamenti dell’algoritmo di ricerca di Google (NASDAQ:GOOGL) che ha messo pressione al ribasso sul traffico web e un aumento dei suoi costi di acquisizione utenti.

Ford (NYSE: F)
Ford è una società sottovalutata, con un sacco di rischio Brexit. E’ generalmente considerata una casa automobilistica degli Stati Uniti, ma genera quasi il 20% dei ricavi dalla Gran Bretagna. Con la ciclicità del settore auto, dove le vendite di auto potrebbero scendere, si dispone di una tempesta perfetta contro Ford.

C’è anche il rallentamento in Sud America, dove Ford ha anche una forte presenza. Per non dimenticare i grandi impegni pensionistici che Ford ha nella sua attività europea che sarà un grosso problema per il prossimo futuro.

Penske Automotive Group (NYSE:PAG)
Penske Automotive Group ottiene oltre un terzo dei suoi ricavi dalla Gran Bretagna, il che la rende forse la società statunitense più esposta al Brexit. Sono anche di fronte a problemi simili a Ford, dove le vendite negli Stati Uniti di auto saranno probabilmente lente nel prssimo futuro. L’altra chiave per Penske è che si tratta di una società che acquisisce, usando come crescita la sua arma vincente. Tuttavia, sembra che le opportunità di acquisizione si stiano prosciugando.

Tutte e tre le aziende iniziano sentire il dolore della scorsa settimana, ma ci potrebbero essere discese peggiori in futuro. Per gli investitori prudenti è meglio far cassa vendendo i titoli esposti al Brexit e utilizzare la liquidità per sfruttare acquisti migliori.

La grande paura che attanaglia il mercato in questo momento accieca la possibilità di acquistare azioni a buon mercato. Lo abbiamo visto più volte nel corso dell’ultimo anno. Questa volta, l’impatto della Gran Bretagna di lasciare l’Unione europea sarà la principale incertezza che il mercato vedrà nelle prossime settimane.

Tuttavia, come abbiamo visto nel corso degli ultimi due sell-off, il mercato non discrimina, ci sono azioni che saranno effettivamente influenzate dalla Brexit. Tutte questi titoli saranno venduti su tutta la linea passando ad aziende che possono continuare a sfornare ricavi e utili di crescita, non importa ciò che accade in Europa, le grandi occasioni da aggiungere al vostro portafoglio ci sono sempre.

Noi abbiamo già selezionato 4 società molto molto interessanti e promettenti che potrebbero avvalersi del periodo negativo per essere acquistate a prezzo scontato. Se ti interessa sapere quali sono sottoscrivi il nostro servizio Domino Myportfolio.

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venerdì 15 aprile 2016

Brexit: quali conseguenze?

Il Brexit, al prossimo referendum è un rischio non trascurabile, anzi decisamente elevato. Alla luce di queste probabilità, così come della probabile negatività economica e dell'impatto su molte aziende del regno unito, bisognerà avere molta cautela sugli investimenti d'oltremanica che si vuole fare nel breve termine. La sterlina potrebbe essere la principale vittima di questo Brexit e ci saranno probabilmente implicazioni per il resto d'Europa.

Il 19 febbraio, il primo ministro britannico, David Cameron, ha espresso il suo impegno a negoziare le relazioni tra Regno Unito e Unione Europea (UE). I colloqui, per evitare il Brexit, si sono concentrati su quattro aree chiave: l'immigrazione, la sovranità, la competitività e il welfare. Come risultato, Cameron rivendica un certo successo in tutte e quattro le aree. Dal punto di vista dell'UE, ciò che ha ottenuto Cameron getteranno nuova luce sull'integrazione europea e sulla sovranità che porta rischi a medio termine. Ma i sostenitori del "Brexit", ritengono che le nuove condizioni abbiano una minor protezione, da una sempre più potente UE.

L’ostacolo imprevisto nella corsa verso il 23 giugno, giunge in questi giorni però, dal cosidetto "Panama Papers", il quale non è solo scenario di dubbia moralità, qualora fosse provata l’esplicita volontà di evadere il fisco, ma potrebbe significare "Brexit". Non, per l’impatto che avrebbe la sottrazione britannica ai numeri dell’Unione, ma per il senso di fragilità che porterebbe con sé un "No" al referendum di giugno. Fiaccati dalla crisi dell’euro, divisi da quella sull’immigrazione, i Ventisette rimasti, in caso di uscita britannica, si ritroverebbero a sedere su un progetto comune precario di un’Europa da dove entrare e uscire, senza eccessivi patemi. Forse è questo, il mondo nuovo, o meglio la "terra incognita", denunciata da Mario Draghi relativamente alla crisi dell’eurozona e alle risposte di una politica monetaria che spesso si è trovata a fronteggiare le emergenze quasi in solitudine.

L’immagine del premier britannico David Cameron che alla Camera dei Comuni sventola la sua dichiarazione dei redditi per giustificarsi davanti a un popolo incline al giudizio sommario, è la rappresentazione di quanto si sperava non accadesse mai. È, infatti, sempre più difficile scindere gli accadimenti europei, siano essi strettamente economico-finanziari o più squisitamente socio-politici, essendo la rappresentazione di un'opera incompiuta. L’Europa, fino ad'ora, ha saputo piegarsi per far passare la tempesta, ma adesso si cominciano ad intravedere le crepe. Il referendum britannico rischia di essere il detonatore della crisi finale. L'altro giorno alla Camera dei Comuni, David Cameron non è apparso un evasore fiscale, si è anche scrollato di dosso, con discreta eleganza, il sospetto di essere un elusore, nonostante gli imbarazzi dei giorni scorsi. Non ha potuto, però, liberarsi della realtà, quella che lo condanna ad essere il privilegiato prodotto delle upper classes del Regno Unito, in netta contrapposizione con il leader dell’opposizione laburista, il radicale Jeremy Corbyn. Cameron purtroppo, continua a non piacere troppo, se poi, è anche sospettato di aver goduto di investimenti off-shore allestiti dall’avvertito genitore, la disapprovazione cresce. La ferita dunque è profonda, ma non per quanto ha commesso, ma per l'ombra che allunga attorno a sé e non saranno le misure antievasione annunciate e la moderata glasnost britannica sui redditi dei politici, che potranno mutare la percezione di una credibilità infranta. I sondaggi nei prossimi giorni ci diranno quanto, ma temiamo abbastanza per alienare il voto laburista al referendum sull’Ue. E senza il bacino elettorale dell’opposizione, David Cameron potrebbe passare alla storia come il premier che portò Londra fuori dall’Europa.

Con il referendum fissato per il 23 giugno, il regno di "Sua Maesta" deve affrontare poco più di due mesi di significative incertezze. Vi è un notevole sostegno da parte di alcuni pesi massimi della politica per un Brexit, come dal sindaco di Londra Boris Johnson e dal Segretario della Giustizia Michael Gove, entrambe figure di tutto rispetto all'interno del partito profondamente euroscettico Tory e anche la stampa inglese è in gran parte euroscettica. Paul de Grauwe afferma che il Brexit sia la soluzione migliore proprio per l’Europa, poiché il governo inglese potrebbe diventare un ostacolo importante al necessario processo d’integrazione che serve a stabilizzare l’area euro.

I sondaggi di opinione mostrano che l'opinione pubblica è finemente in bilico, con una leggera tendenza verso la rimanenza nella UE. Fino a questo punto, il dibattito si è incentrato sull'afflusso di migranti UE, con metà dei britannici che citano il loro superiore interesse. Nelle prossime settimane, possiamo aspettarci sondaggi molto volatili mano a mano che il referendum si avvicina.  Da un sondaggio condotto da "Yougov" e pubblicato dal "Times", si evince anche che la fiducia nei confronti del premier britannico David Cameron è scesa di otto punti percentuali e che favorevoli e contrari alla permanenza della Gran Bretagna all'interno dell'Unione europea sono testa a testa, rispettivamente con il 39% dei consensi, mentre gli indecisi rappresentano il 17% e chi si asterrà il 5%. Il sondaggio è stato condotto interpellando 1.693 persone tra l'11 e il 12 aprile. Il precedente sondaggio di "Yougov" di una settimana fa vedeva i favorevoli alla permanenza di Londra nell'Ue al 40% e i contrari al 38%.

Le implicazioni economiche di un Brexit sono viste come ampiamente negativi. La contro-argomentazione che l'economia potrebbe migliorare, non è ancora stata fatta in modo convincente. A conti fatti, quindi, ci aspettiamo che la Gran Bretagna possa votare per rimanere in Europa, ma con una notevole incertezza in vista del voto. Per questo motivo, nel Regno Unito l'attività delle aziende e degli investitori rischia di essere prudente per i prossimi mesi, in quanto le implicazioni negative di una possibile Brexit sono scontate. Ma la domanda da porci è quali sono le reali implicazioni e chi ne subirebbe maggiormente gli effetti.

Certamente il Regno Unito perderebbe il passaporto europeo, cioè (la possibilità di offrire servizi da un singolo stato membro in tutta Europa) e dovrebbe rinegoziare l’accesso al mercato europeo. Si somma poi la rinegoziazione di accordi al commercio con un centinaio di nazioni, firmati dal Unione Europea con il potere contrattuale dei 28 paesi membri. L'UE è il principale partner commerciale britannico e rappresenta il 12,6% del PIL, per cui concordare nuove ragioni di scambio sarà essenziale, ma anche molto difficile da raggiungere in un tale arco di tempo limitato, in particolare nel settore dei servizi finanziari. Inoltre, gli altri governi dell'UE saranno poco incentivati ad offrire condizioni favorevoli al Regno Unito. In questa fase di transizione, si creerebbe molto probabilmente una fuga di capitali, guidata dalle multinazionali e industrie inglesi che si ricollocherebbero in paesi come Irlanda o Lussemburgo per beneficiare del mercato interno. Questa fuga potrebbe mettere in ginocchio l’economia inglese. La Scozia molto probabilmente chiederebbe di uscire dal Regno Unito e di rimanere nel Unione Europea. L’Europa, dal canto suo, perderebbe la sua seconda economia e anche centro finanziario, crocevia dei capitali di mezzo mondo. Si creerebbe inoltre un precedente per un graduale passaggio da una comunità di stati accomunati dal accesso ad un mercato unico, a una sempre più ristretta cerchia di stati e istituzioni sovranazionali. Il Regno Unito è anche tra gli stati membri che vogliono fortemente l’integrazione del mercato unico. Una spinta politica utile per rilanciare il progetto europeo. Il referendum sul Brexit può portarci indietro di 50 anni o proiettarci nei prossimi cinquanta.

L'impatto sul commercio e il sentimento potrebbe essere gravemente negativo per la crescita economica nel Regno Unito, con un commercio più debole, almeno inizialmente, ed un ridotto potenziale di crescita a causa di minori immigrazione, che hanno aumentato il PIL negli ultimi anni. Sia gli investimenti che i diretti afflussi esteri a favore di attività britanniche rischiano di diminuire in vista del referendum. Le aspettative per il Brexit è che la crescita diminuisca dal 1 al 1,5% dalle previsioni attuali, una perdita totale del 4% del PIL, e che la sterlina crolli di un altro 10% raggiungendo in minimi, come nel 2007-2009, con la conseguenza di una diminuzione dell'inflazione del 3-4% su base annua previsto nel 2017/18.

Le grosse multinazionali del Regno Unito con ricavi non in sterlina potrebbero trarre beneficio dalle differenze di conversione, ciò potrebbe mitigare le perdite complessive sulle azioni. Le aziende del settore energetico e delle materie prime possono essere esempi importanti. Quelle del settore finanziario potrebbero probabilmente soffrire visto che l'accesso al mercato dell'UE potrebbe essere molto incerto. L'impatto primario del Brexit sulle attività finanziarie potrebbe avvenire attraverso il tasso di cambio, con un indebolimento in modo significativo della sterlina. I tassi a breve termine potrebbero andare più in alto, ma la Banca d'Inghilterra potrebbe resistere alla tentazione di un aumento della politica dei tassi, in particolare se il paese fosse in fase di recessione.



Il resto dell'UE dovrebbe essere relativamente indenne da perturbazioni commerciali, con le esportazioni verso l'U.K. che rappresentano solo il 3,1% del PIL dell'Unione europea. L'impatto principale sarà probabile politico. Pertanto, gli stati politicamente più fragili e meno degni di credito d'Europa soffriranno di più il contagio. Questo significa, i paesi periferici come il Portogallo, l'Italia e la Grecia, ma vanno inseriti anche la Finlandia e la Francia.

Qualcuno, si è chiesto però, se non fosse addirittura meglio per l'UE, l'uscita del Regno Unito. Paul De Grauwe, sostiene questa teoria. Supponiamo che i sostenitori della Brexit vengano sconfitti e che il Regno Unito rimanga nella Ue. Questo non fermerà l’ostilità di coloro che hanno perso, né ridurrà le loro ambizioni di voler ridare al Regno Unito la piena sovranità. Una volta appurato che non possono lasciare la Ue, i fautori dell’uscita cambieranno la loro strategia e ne adotteranno una in stile “cavallo di Troia”, che implicherà lavorare dall’interno per minare l’Unione. Sarà una strategia mirata a ridurre le decisioni a maggioranza per sostituirle con un approccio intergovernativo. Lo scopo sarà una lenta decostruzione dell’Unione. Si potrebbe ribattere che con una sconfitta al referendum, i sostenitori della Brexit perderanno influenza, ma non lo si può dare per certo. L’accordo raggiunto da David Cameron con il resto dell’Ue non ha ritrasferito neanche un briciolo di sovranità a Westminster. Sarà dunque visto da chi vuole l’uscita dall’Europa come un enorme fallimento e ciò li porterà a intensificare la strategia di decostruzione. In conclusione, non è negli interessi dell’Ue mantenere nell’Unione uno stato che continuerà a essere ostile e che perseguirà una strategia volta a minarlo ulteriormente. E dunque sarà meglio per l’Unione Europea che i sostenitori della Brexit vincano il referendum. Quando la Gran Bretagna sarà fuori dall’Ue, non sarà più capace di minarne la coesione. E la Ue ne uscirà più forte. Il Regno Unito sarà invece indebolito e dovrà bussare alle porte dell’Ue per iniziare i negoziati di un accordo commerciale. Nel frattempo, avrà perso la sua moneta di scambio. L’Ue sarà capace di imporre un trattato commerciale che non sarà molto diverso da quello che ha già oggi in qualità di membro dell’Unione. Allo stesso tempo, però, si sarà ridotto il potere di uno Stato la cui ambizione è minare la coesione dell’Unione stessa.

A questa tesi, fanno da contraltare le recenti dichiarazioni del FMI e un report Goldman Sachs, in cui si sostiene che per l'Europa, che rappresenta un gruppo di interessi eterogenei, la Gran Bretagna è un partner importante, in grado per esempio di appoggiare riforme orientate al libero mercato. "In un periodo in cui l'Europa è sottoposta a grandi tensioni politiche (all'interno dei Paesi e tra gli Stati stessi) legati alla crisi dei rifugiati, l'effetto combinato di un Regno Unito che vota per lasciare la Ue e la possibilità che le tensioni sui migranti si intensifichino durante l'estate rappresentano una prospettiva preoccupante".

Il monito lanciato poi, dal Fondo monetario internazionale (Fmi), è che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea potrebbe provocare "gravi danni a livello regionale e globale". Per lo Fmi la cosiddetta "Brexit" sconvolgerebbe le consuete relazioni commerciali e comporterebbe "enormi sfide" sia per il Regno Unito che per il resto d’Europa. Il Fondo prevede per quest’anno una crescita dell’economia britannica dell’1,9%, rispetto alle stime del 2,2% fatte a gennaio. Per il prossimo anno la crescita prevista è del 2,2%, invariata rispetto alle stime precedenti. Per l’eurozona invece, le previsioni sono al +1,5% nel 2016 e al +1,6% nel 2017, a fronte del +1,7% stimato a gennaio per entrambi gli anni. Nell’area dell’euro gli investimenti bassi, l’alto tasso di disoccupazione e i bilanci deboli pesano sulla crescita, che rimarrà modesta.

Per queste ragioni stanno nascendo diverse iniziative per tentare di convincere i cittadini britannici a restare nell'Unione Europea. A poco più di due mesi dal referendum che deciderà la permanenza del Regno Unito nell'unione, Katrin Lock, una donna tedesca residente a Londra, ha lanciato l'iniziativa "Hug a Brit", letteralmente "abbraccia un britannico", per manifestare ai "sudditi di sua maestà" la vicinanza dei popoli europei. Così su social network sono iniziati a circolare gli hashtag #hugabrit e #pleasedontgouk (Regno Unito per favore non andare) che gli utenti stanno iniziando a utilizzare per condividere foto nelle quali abbracciano un amico britannico.