mercoledì 28 maggio 2025

UnitedHealth colpita duramente ci vorrà tempo per risorgere

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Sembrano passati mesi, e invece sono bastate due settimane per trasformare UnitedHealth in un caso emblematico di come anche i giganti della sanità possano finire sotto assedio. Le tensioni sono iniziate con le dichiarazioni dell’amministrazione statunitense sull’eliminazione dei Pharmacy Benefit Managers (PBMs), da sempre intermediari controversi. Da lì, la situazione è rapidamente degenerata, culminando con le improvvise dimissioni del CEO Andrew Witty – avvenute nel cuore della notte – e il temporaneo ritorno al timone di Stephen Hemsley, figura storica dell’azienda.

A quel punto, il mercato ha iniziato a vacillare. Le assicurazioni sanitarie, già viste con sospetto per i premi elevati e le frequenti negazioni dei sinistri, sono finite nel mirino. UnitedHealth ha ritirato completamente la guidance, un segnale che raramente preannuncia qualcosa di buono. Il titolo ha iniziato a scivolare, toccando brevemente i 250 dollari. E sebbene ci fosse chi vedeva in questo tracollo un’opportunità – ipotizzando acquisti progressivi a blocchi di 15 dollari – i rischi erano (e restano) tutt’altro che trascurabili.

Un primo trimestre da dimenticare

Il primo segnale concreto di difficoltà è arrivato con i risultati trimestrali. Il fatturato, pur massiccio a 109,6 miliardi di dollari, ha deluso le aspettative, registrando un “buco” di ben 2 miliardi rispetto al consensus. Gli utili per azione rettificati si sono attestati a 7,20 dollari, sotto le attese di 0,09 dollari. Un simile scostamento non si vedeva dal 2008. E il colpo è stato reso ancora più duro dalla totale assenza di previsioni per l’anno in corso.

Utilizzo dei servizi in aumento: un problema strutturale

Il nodo principale riguarda l’aumento significativo dell’utilizzo dei servizi da parte degli iscritti a Medicare Advantage e Optum Health. I nuovi membri sono mediamente meno sani e più bisognosi di cure, fattore che ha fatto esplodere i costi e ridotto drasticamente i margini. La società ha prima ridotto le previsioni per il 2025 di circa il 10%, per poi ritirarle del tutto. Una decisione che non solo ha mandato nel panico gli investitori, ma ha lasciato gli analisti senza punti di riferimento.

Un titolo in balia delle notizie (quasi tutte negative)

Da allora, è stato un susseguirsi quotidiano di notizie, la maggior parte delle quali ha ulteriormente affossato il titolo. In un clima simile, anche i rimbalzi tecnici – come quello che ha riportato momentaneamente le azioni da 250 a 320 dollari – sono apparsi fragili e temporanei. Ogni spiraglio di positività è stato subito spento da nuove criticità: editoriali taglienti, declassamenti da parte degli analisti, indagini federali e dubbi sulla sostenibilità del business model.

Acquisti degli insider: un segnale ambiguo

In questo scenario cupo, alcuni insider di peso – tra cui il presidente Hemsley e il CFO Rex – hanno acquistato azioni per decine di milioni di dollari. In teoria, un segnale di fiducia. Ma in un contesto tanto incerto, non si può escludere che si tratti più di una mossa difensiva che di un’indicazione di reale solidità futura.

L’intervento del governo complica ulteriormente il quadro

A peggiorare ulteriormente la situazione, è arrivata la notizia che i Centers for Medicare & Medicaid Services (CMS) intensificheranno gli audit sui piani Medicare Advantage. Questo potrebbe comportare pesanti recuperi per fatturazioni eccessive. UnitedHealth ha dichiarato di sostenere l’iniziativa, ma l’impatto economico è tutt’altro che trascurabile: se le indagini dovessero far emergere irregolarità, le ripercussioni sui ricavi potrebbero essere gravi.

Cosa aspettarsi ora?

UnitedHealth ha visto evaporare in pochi giorni la reputazione di solidità costruita negli anni. Le previsioni per l’EPS 2025 sono state completamente ritirate, e anche i 20 dollari ipotizzati da alcuni ottimisti implicano un crollo del 22% rispetto alle stime originarie. A questi livelli, il titolo tratta a circa 14,5 volte gli utili attesi, una valutazione che potrebbe sembrare attraente – ma solo se si presume un ritorno rapido alla normalità. E questo è tutto fuorché scontato.

Conclusione: rischi elevati, potenziale solo per stomaci forti

UnitedHealth non è una storia da cassettisti tranquilli. È un titolo che, al momento, resta appeso a un filo. Senza guidance, con la redditività sotto pressione, una leadership instabile e l’attenzione crescente del governo, investire ora equivale a scommettere su un turnaround ancora tutto da dimostrare. Potrà anche esserci valore nei prossimi anni, ma oggi il rischio domina la scena. Per chi deciderà di accumulare, è fondamentale farlo con prudenza, consapevoli che nuovi scossoni potrebbero essere dietro l’angolo.

Palantir: un titolo affascinante ma pericolosamente sopravvalutato

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Abbiamo recentemente deciso di chiudere la nostra posizione short su Palantir (NASDAQ: PLTR), dopo un'improvvisa e consistente impennata del titolo – circa il 40% di rialzo solo da inizio aprile. Il nostro stop-loss è scattato, costringendoci ad accettare una perdita, seppur contenuta, dato che si trattava di una posizione marginale del nostro portafoglio.

Eppure, riteniamo che l’idea alla base della nostra posizione ribassista fosse solida. Abbiamo sbagliato il timing, non la logica. Ma come ricorda una delle massime più spietate della finanza: "Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa restare solvente".

Ed è proprio sull'irrazionalità del mercato che vogliamo porre l'accento. Nonostante la recente euforia intorno al titolo, continuiamo a considerare Palantir un investimento estremamente rischioso e oggi lo classifichiamo come SELL. La valutazione attuale – sopra i 120 dollari per azione – offre un margine di sicurezza quasi nullo e comporta una serie di rischi che, a nostro avviso, non possono essere ignorati da chi investe con prudenza.



Cosa non ha funzionato... e perché non ci fidiamo ancora

Le azioni di Palantir avevano cominciato a cedere terreno già a febbraio, in seguito all'annuncio di tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa – un cliente chiave per l’azienda. La situazione è poi peggiorata con l’introduzione di dazi commerciali, che hanno gettato ombre sull’intero mercato azionario. Ma a inizio aprile qualcosa è cambiato: l’annuncio di una sospensione temporanea dei dazi ha invertito la rotta e, complice un miglioramento del sentiment macroeconomico, il titolo è rimbalzato.

A quel punto sono arrivati anche i numeri: ricavi in crescita del 40% su base annua, margini in espansione, contratti governativi in aumento – e il mercato ha reagito con entusiasmo. In effetti, nel primo trimestre Palantir ha battuto le aspettative con ricavi governativi in salita del 45% e nuovi accordi con la NATO e l’esercito americano. Anche il business commerciale ha mostrato segnali incoraggianti, con un incremento del 39% nella base clienti e previsioni di fatturato riviste al rialzo.

Tutto molto positivo, a prima vista. Ma non lasciamoci ingannare dai titoli euforici: i rischi fondamentali non sono affatto scomparsi. Anzi, oggi più che mai meritano attenzione.

I rischi reali: valutazione, geopolitica e stagflazione

Iniziamo da un dato difficilmente discutibile: Palantir è estremamente sopravvalutata. Il titolo viene scambiato a più di 200 volte gli utili attesi, un livello che può trovare giustificazione solo in uno scenario di crescita straordinaria e ininterrotta. Ma basta poco – un rallentamento macroeconomico, un taglio ai budget pubblici, un freno alla spesa aziendale – per far crollare queste aspettative.

Inoltre, la fragilità del contesto globale alimenta ulteriori incertezze. La Federal Reserve e importanti leader di mercato, come Jamie Dimon di JP Morgan, parlano apertamente del rischio stagflazione: un mix letale di stagnazione economica e inflazione elevata. Se davvero ci stiamo avviando verso questo scenario – alimentato da nuove tensioni commerciali o politiche imprevedibili – l'intero comparto tecnologico potrebbe soffrire, e Palantir rischia di essere tra i titoli più vulnerabili, proprio per la sua valutazione fuori scala.

E poi c’è l’aspetto geopolitico. Dopo la temporanea sospensione degli aiuti militari statunitensi all’Ucraina, l’Unione Europea ha reagito varando un proprio fondo per la difesa, incentivando la produzione locale e limitando l’acquisto di tecnologia militare americana. Questo trend potrebbe rafforzarsi, spingendo i partner internazionali a ridurre la dipendenza dal software statunitense. Palantir, che genera il 71% del proprio fatturato negli Stati Uniti, potrebbe faticare a espandersi nei mercati esteri in un contesto geopolitico così teso.

Un modello che non regge… nemmeno con stime ottimistiche

Abbiamo aggiornato il nostro modello di valutazione alla luce dei recenti risultati trimestrali e delle nuove guidance. Abbiamo assunto ipotesi estremamente aggressive: una crescita dei ricavi del 50% annuo e margini operativi al 50%, ben oltre gli standard di quasi ogni azienda tech quotata. Eppure, anche con queste previsioni, il valore intrinseco che otteniamo è di appena 63 dollari per azione – quasi la metà del prezzo attuale.

Ciò significa che, persino nello scenario migliore, l’investimento in Palantir oggi appare profondamente sbilanciato sul fronte rischio/rendimento. La realtà è che i numeri non giustificano l’attuale euforia.

Conclusioni: entusiasmo sì, ma con prudenza

Riconosciamo i progressi operativi dell’azienda. Palantir sta crescendo, amplia il proprio raggio d’azione e beneficia dell’interesse crescente per l’intelligenza artificiale. Tuttavia, un buon trimestre non basta per giustificare una capitalizzazione che sfida ogni logica fondamentale.

In periodi di entusiasmo collettivo, è facile farsi trascinare dalla narrativa e dimenticare che la valutazione conta. Ma quando il contesto macro cambia – e prima o poi cambierà – i titoli con valutazioni estreme sono i primi a crollare.

Per questo motivo, manteniamo una visione cauta e consideriamo Palantir un titolo da evitare a questi livelli. I rischi sono concreti, sistemici e sottovalutati.

Al momento, non abbiamo più posizioni aperte su Palantir, né long né short. Ma se il mercato dovesse tornare a valutare il titolo con razionalità, potremmo considerare un nuovo ingresso… in tutt'altra direzione.

venerdì 16 maggio 2025

Celsius Holdings (CELH): crescita esplosiva, ma a quale prezzo?

Celsius Holdings (CELH) è una delle storie di crescita più affascinanti degli ultimi anni nel settore del beverage. L’azienda ha saputo intercettare i cambiamenti nei gusti dei consumatori, posizionandosi come il brand di riferimento tra le bevande energetiche “better-for-you”, grazie a una formula senza zuccheri, ricca di ingredienti naturali e orientata alla salute. Ma se da un lato la crescita dei ricavi è stata a dir poco esplosiva, dall’altro la valutazione attuale richiede una riflessione attenta, soprattutto per chi guarda al titolo come possibile investimento di lungo termine.

Una crescita che continua a sorprendere

I numeri parlano chiaro. Nell’ultimo trimestre, Celsius ha messo a segno una crescita dei ricavi del 37% su base annua, trainata da una performance strepitosa nel canale di distribuzione nordamericano, dove le vendite sono aumentate del 38%. Ancora più impressionante è il progresso sequenziale: rispetto al trimestre precedente, le vendite sono cresciute del 15%, segno che la domanda non solo è forte, ma anche in accelerazione.

A sostenere questa dinamica ci sono diversi fattori: una distribuzione sempre più capillare (grazie anche all’accordo strategico con PepsiCo), un marketing aggressivo sui social e nelle palestre, ma soprattutto un prodotto che ha saputo costruirsi un posizionamento premium tra i consumatori più giovani, attenti al benessere e allo stile di vita attivo.

Margini in espansione: la leva dell’efficienza operativa

Non si tratta solo di crescita “top-line”. Celsius sta anche mostrando segnali incoraggianti dal punto di vista della redditività. Il margine lordo è salito al gross margin più alto nella storia dell’azienda, pari al gross margin record di oltre il 50%, grazie a un migliore mix di vendite, all’efficienza nella supply chain e a una maggiore scala operativa.

Anche la redditività operativa è migliorata in modo netto: l’EBITDA adjusted è cresciuto del 81% anno su anno, superando i 100 milioni di dollari trimestrali per la prima volta. La leva operativa comincia a farsi sentire, e il management ha ribadito la volontà di reinvestire parte dei margini per continuare a spingere sulla crescita, soprattutto a livello internazionale.

Espansione globale: le prime mosse fuori dagli Stati Uniti

L’internazionalizzazione rappresenta una delle principali leve di crescita per il futuro. Attualmente, Celsius genera circa il 96% delle vendite in Nord America, ma ha iniziato a muovere i primi passi anche in mercati chiave come il Regno Unito, l’Australia e il Canada. In questi mercati, il brand si sta facendo conoscere attraverso eventi sportivi, collaborazioni con influencer locali e l’ingresso nei principali canali di distribuzione.

È ancora presto per valutare l’impatto di questa espansione, ma l’opportunità è evidente: se Celsius riuscisse anche solo ad avvicinarsi alla penetrazione ottenuta negli Stati Uniti, il potenziale di crescita sarebbe enorme.

Una valutazione che richiede cautela

Tuttavia, non tutto luccica. La valutazione attuale del titolo riflette già gran parte di queste prospettive rosee. Con un P/E forward di oltre 60 e un EV/EBITDA che supera 40, Celsius è valutata come se la sua crescita dovesse continuare a ritmi sostenuti per molti anni. Qualsiasi rallentamento, difficoltà nell’espansione internazionale o pressione competitiva potrebbe avere un impatto significativo sul titolo.

Inoltre, la recente acquisizione di produttori di co-packing potrebbe aumentare l’esposizione a rischi operativi e logistici, seppur con la potenzialità di migliorare ulteriormente i margini nel lungo termine.

Un gioiello della crescita, ma non per tutti i portafogli

Celsius è un’azienda straordinaria dal punto di vista della crescita, del posizionamento di brand e della redditività in miglioramento. È una delle poche realtà nel panorama consumer a registrare tassi di crescita così elevati pur essendo già profittevole. Tuttavia, il prezzo richiesto per partecipare a questa storia è alto.

Per l’investitore orientato alla crescita, disposto ad accettare un certo grado di volatilità e a credere nel potenziale di espansione globale del brand, Celsius rappresenta un’opzione affascinante. Ma per chi cerca valutazioni più conservative o è sensibile ai multipli elevati, potrebbe essere prudente attendere un punto d’ingresso più favorevole.

In ogni caso, Celsius resta un nome da tenere d’occhio: le grandi storie di crescita non passano inosservate, e questa potrebbe essere solo all’inizio.

martedì 6 maggio 2025

PayPal è la Value delle Value, la più sottovalutata di tutte

PayPal ha da poco pubblicato i risultati del primo trimestre, sorprendendo positivamente gli analisti con utili per azione superiori alle attese e una guidance solida per i trimestri successivi. Eppure, nonostante le buone notizie, il mercato non ha reagito come previsto: il titolo è rimasto pressoché invariato. Questo apparente disinteresse potrebbe essere legato ai timori generali sul rallentamento dei consumi e sulle incertezze legate al contesto macroeconomico e geopolitico.

In ogni caso, le azioni PayPal sono ancora in calo del 19% da inizio anno e sembrano oggi scambiare a una delle valutazioni più basse da quando la società è quotata. Alla luce del miglioramento dei fondamentali, continuo a ritenere che questa debolezza offra un’interessante finestra di ingresso per gli investitori orientati al lungo termine.

Dopo un periodo difficile, PayPal ha finalmente ricominciato a crescere anche dal punto di vista della base utenti. Gli account attivi hanno toccato i 436 milioni, un nuovo massimo storico, in leggera crescita rispetto al trimestre precedente e al primo trimestre del 2024. Allo stesso modo, gli utenti attivi mensili, una metrica che meglio riflette il coinvolgimento reale, sono saliti a 224 milioni. Un segnale chiaro: PayPal è ben lontana dall’essere un’azienda “morta”.

Non tutto, però, è stato in crescita: il numero di transazioni totali e di transazioni per account è sceso rispettivamente del 7% e dell’1% rispetto all’anno scorso. Questo calo, tuttavia, è attribuibile in gran parte a Braintree, la piattaforma di elaborazione pagamenti che PayPal sta riposizionando con una strategia orientata alla qualità e alla redditività. Se si esclude questo segmento, le transazioni per account sono invece aumentate, raggiungendo un nuovo record. In altre parole, gli utenti più fedeli e legati al marchio stanno utilizzando PayPal più di prima.

Il volume complessivo dei pagamenti processati (TPV) è cresciuto del 3% rispetto all’anno precedente, arrivando a 417 miliardi di dollari. È vero che la contrazione stagionale del primo trimestre è stata più marcata del solito, ma ancora una volta è Braintree il principale responsabile. In compenso, il segmento Branded Checkout ha continuato a crescere in modo costante, alimentato da grandi piattaforme aziendali, marketplace, e soprattutto da Pay with Venmo, che sta diventando sempre più popolare tra i consumatori.

Particolarmente interessante è la performance del segmento Branded Experiences, che include sia i pagamenti online che quelli fisici, in crescita del 7% su base annua. Questo segnala che PayPal si sta ritagliando un ruolo sempre più solido anche nel mondo offline, rafforzando la propria presenza omnicanale. In questo contesto, le carte di debito hanno registrato un’espansione impressionante: +64% nel volume delle transazioni, +90% di nuovi utenti su base annua, e una crescita del 40% degli utenti attivi mensili per le carte Venmo. Non solo: chi usa la carta spende di più, effettua molte più transazioni e tende a usare PayPal anche nei pagamenti online. Un effetto alone positivo che il management punta a valorizzare ulteriormente.

Anche Venmo sta mostrando un’accelerazione significativa, grazie a una migliore monetizzazione della rete peer-to-peer. Nel primo trimestre, i ricavi di Venmo sono cresciuti del 20% su base annua, con TPV e utenti attivi in netto aumento. PayPal ha così confermato che questo è il tasso di crescita più alto degli ultimi anni per il servizio.

Nel complesso, il primo trimestre si è chiuso con ricavi per 7,8 miliardi di dollari, in lieve crescita (+1%) rispetto all’anno precedente. È vero, si tratta di un risultato leggermente sotto le stime degli analisti, ma il dato nasconde dinamiche positive: i ricavi di Venmo e Branded sono aumentati, mentre il rallentamento di Braintree, pur pesando, fa parte di una strategia consapevole volta a privilegiare la qualità dei volumi.



Il tasso di prelievo – ovvero la quota che PayPal riesce a trattenere sui volumi transati – è leggermente sceso, ma il costo per transazione è diminuito ancora di più, portando a un incremento del margine di transazione in termini assoluti. È un trend molto incoraggiante, che conferma l’effetto leva della strategia orientata alla redditività.

Guardando avanti, la crescita dei ricavi nel secondo trimestre dovrebbe rimanere modesta, ma con segnali di accelerazione nella seconda parte dell’anno. Il CEO ha ribadito la fiducia nella ripresa del segmento Branded, nell’espansione di Venmo e nel potenziale di nuove soluzioni come il BNPL (Buy Now Pay Later), che potrebbe diventare un altro pilastro della crescita futura.

Dal punto di vista della redditività, il margine di transazione ha continuato a migliorare, raggiungendo il livello più alto degli ultimi due anni. L’utile operativo non-GAAP ha toccato un nuovo record a 1,6 miliardi di dollari, con un margine operativo che ha superato per la prima volta da quattro anni la soglia del 20%. Anche l’utile per azione non-GAAP è stato da record: 1,33 dollari, in crescita del 23% rispetto all’anno scorso.

Le previsioni per i trimestri successivi parlano di una crescita dell’EPS attorno all’8% per l’intero 2025. Tuttavia, guardando nel dettaglio le stime e confrontandole con i risultati già raggiunti nei primi sei mesi, sembra che il management stia adottando un approccio estremamente prudente. A mio avviso, c’è un’alta probabilità che PayPal possa superare queste previsioni nel corso dell’anno.

Un ulteriore elemento che potrebbe contribuire alla crescita dell’EPS è il piano di buyback. Nel primo trimestre, PayPal ha riacquistato 19 milioni di azioni per 1,5 miliardi di dollari. Considerando che il titolo è attualmente scambiato ben al di sotto del prezzo medio di riacquisto, è probabile che la società continui ad approfittare di queste valutazioni basse per accelerare ulteriormente il programma, contribuendo così a una crescita per azione ancora più marcata.

In definitiva, sebbene alcuni segmenti continuino a mostrare debolezze legate a scelte strategiche deliberate, la traiettoria complessiva dell’azienda appare positiva. La ripresa del core business, la solida redditività, le iniziative di monetizzazione e l’allocazione intelligente del capitale confermano che PayPal sta tornando a essere una realtà solida e profittevole, con prospettive di crescita interessanti per il medio-lungo termine.

lunedì 5 maggio 2025

Coca-Cola, se l'hai non venderla mai e se non l'hai, non è il momento di comprarla

Coca-Cola (NYSE: KO) è da anni uno dei titoli più amati dagli investitori orientati ai dividendi. E io non faccio eccezione. La possiedo da tempo, ho continuato ad accumularla con pazienza e non ho mai venduto nemmeno un'azione. Non ho intenzione di iniziare adesso :)

L’ultimo acquisto l’ho fatto a dicembre 2024, approfittando di una correzione del titolo superiore al 10%. Da allora, KO è salita del 14,7%, con un rendimento totale del 15,5%. Ma al di là della performance recente, ho deciso di tornare a guardare questa posizione con occhio critico. I mercati sono cambiati, le valutazioni si sono alzate e il contesto geopolitico – soprattutto con l’inasprimento della guerra commerciale – impone qualche riflessione.

Pensare due volte prima di vendere

La verità è che Coca-Cola oggi è più forte che mai. E non è un caso. Ha costruito negli anni vantaggi competitivi enormi, a cominciare dal suo portafoglio di marchi, noti in tutto il mondo. Da consulente M&A, trovo interessante osservare come KO sia riuscita a crescere sia per acquisizioni che in modo organico. Dei suoi 30 miliardi di dollari di valore attribuito ai brand, 3 derivano da acquisizioni, altri 12 sono stati generati grazie a sinergie con i marchi acquisiti. Il resto – ben 15 miliardi – è stato creato internamente. Un risultato davvero impressionante.

Ma non è tutto. Il secondo, e forse equivalente, vantaggio competitivo è la portata distributiva di Coca-Cola: una rete globale colossale, con oltre 6 milioni di persone coinvolte, 120.000 fornitori, 3.000 linee produttive e 5.000 magazzini. Questi asset, combinati con un marketing sempre efficace, hanno contribuito alla crescita del valore retail del marchio di ben 60 miliardi di dollari dal 2014 al 2024.

Non sorprende quindi che KO sia percepita come una roccia nei portafogli più prudenti. E in tempi di tensioni commerciali, come quelle riaccese recentemente, la domanda cruciale è: quanto riuscirà Coca-Cola a trasferire eventuali aumenti di costo sui consumatori? Non c’è una risposta certa, ma la forza del brand lascia ben sperare.

Un altro punto di forza riguarda i margini: KO registra margini lordi superiori al 60%, ben al di sopra della media dei concorrenti (tra il 50% e il 56% negli ultimi tre anni). Questo le consente di assorbire meglio le turbolenze, sia sul fronte dei costi che su quello dei ricavi.

Anche la sua politica di investimenti è esemplare: tra il 2021 e il 2024, Coca-Cola ha ottenuto un ROI tra il 19% e il 23%, con investimenti tra 1,4 e 2,1 miliardi di dollari. Grazie alla sua robusta generazione di cassa, nel 2024 ha distribuito in dividendi il 73% del flusso di cassa libero, confermando una tradizione eccezionale: 103 anni consecutivi di dividendi, di cui 62 in costante crescita. E non è finita: nel 2024 ha riacquistato azioni proprie per 1,1 miliardi di dollari.

Il bilancio resta solido, con una leva finanziaria netta pari a 2,1 volte l’EBITDA, perfettamente in linea con il target aziendale. In altre parole: KO ha ancora margine per continuare a investire e remunerare gli azionisti.

Un altro elemento interessante è la sua bassa volatilità: il beta su 60 mesi è pari a 0,45. In pratica, il titolo reagisce meno delle medie di mercato alle oscillazioni. Un punto a favore per chi teme una fase di recessione.

Ma è il momento giusto per comprare ancora?

Ecco dove arriva il rovescio della medaglia. Il prezzo delle azioni di KO è salito parecchio, e la valutazione attuale non è proprio economica. Il multiplo EV/EBITDA supera 21,5x, ben al di sopra di concorrenti come PepsiCo (13,5x). Certo, Coca-Cola è probabilmente più solida, ma vale davvero la pena pagare così tanto in un contesto di incertezza macroeconomica?



La società prevede una crescita organica del fatturato tra il 5% e il 6% nel 2025 e un aumento dell’utile per azione tra il 7% e il 9%. Sono stime interessanti, ma sarà necessario vedere come evolverà il contesto globale, soprattutto se le tensioni geopolitiche dovessero peggiorare.

In conclusione: Coca-Cola resta un caposaldo del mio portafoglio

Nonostante il titolo tratti a premio rispetto ai suoi competitor, continuo a considerare KO un investimento da mantenere. Il suo carattere difensivo, la capacità di generare valore per gli azionisti e la solidità operativa la rendono perfetta per chi, come me, cerca stabilità e reddito.

Valuterò un eventuale incremento della posizione solo se tornerà intorno ai 60 dollari per azione. Nel frattempo, resto fiducioso: anche in un contesto difficile, Coca-Cola ha tutto ciò che serve per affrontare la tempesta – e magari uscirne ancora più forte.

giovedì 1 maggio 2025

Perchè il PIL americano è sceso molto

Nonostante la solidità della domanda interna, la performance del PIL statunitense nel primo trimestre è stata offuscata da un evento straordinario: l’impennata delle importazioni legata al timore dell’entrata in vigore di nuovi dazi. Le “vendite finali agli acquirenti privati nazionali” – un indicatore chiave della domanda interna privata – sono cresciute del 3,0%, confermando la resilienza di consumatori e imprese. Tuttavia, questo dato positivo è stato completamente oscurato da un’accelerazione record delle importazioni, che ha sottratto ben 5 punti percentuali alla crescita del PIL reale, trascinandolo in territorio negativo a -0,3%.

La dinamica è chiara: le aziende, preoccupate per l’imposizione imminente di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Biden – in particolare verso la Cina – si sono affrettate ad anticipare le importazioni, soprattutto nei settori farmaceutico e manifatturiero. È un fenomeno già osservato nel primo trimestre del 2022, quando l'allentamento delle catene di approvvigionamento post-COVID aveva favorito un'accumulazione aggressiva delle scorte. Ma questa volta, l’effetto è stato amplificato dal frontrunning tariffario: le aziende hanno fatto scorte in anticipo, alimentando un’esplosione dell'import (+41,3% su base annua) che ha fortemente penalizzato il contributo netto del commercio estero alla crescita.

Il deficit delle esportazioni nette è infatti peggiorato drasticamente, scendendo a un ritmo annualizzato di -1,37 trilioni di dollari. L’export è cresciuto modestamente (+1,8%), mentre l’import di beni ha registrato un picco vertiginoso (+50,9%), innescando un disallineamento macroscopico con effetti diretti sul PIL.

Anche il Wall Street Journal e Bloomberg hanno evidenziato come questa dinamica derivi in larga parte dall’approccio più aggressivo dell’attuale amministrazione in tema di politica commerciale, con nuovi dazi proposti su veicoli elettrici, batterie, pannelli solari e semiconduttori di provenienza cinese. Un pacchetto che, secondo Reuters, potrebbe colpire fino a 18 miliardi di dollari di importazioni.

Eppure, paradossalmente, proprio questi timori stanno spingendo le aziende a reinvestire nel territorio nazionale. Gli investimenti privati interni lordi sono balzati del 21,9%, trainati da un impressionante +22,5% negli investimenti in attrezzature, il secondo miglior risultato degli ultimi 13 anni. Si tratta, con ogni probabilità, di un segnale che le imprese stanno cercando di rafforzare la produzione domestica proprio per ridurre la dipendenza da fornitori esteri soggetti a dazi.

La spesa dei consumatori ha mantenuto un ritmo moderato ma positivo (+1,8%), mentre gli investimenti fissi non residenziali sono saliti del 9,8%, rafforzando ulteriormente il nucleo dell’economia privata. Tuttavia, la spesa pubblica ha subito un calo (-1,4%), penalizzando ulteriormente la crescita.

Nel complesso, i dati dipingono un quadro contrastante: da un lato, l’economia privata americana appare dinamica e solida; dall’altro, le tensioni commerciali e le distorsioni introdotte dai dazi stanno creando una forte volatilità macroeconomica. Se il ciclo dei dazi dovesse proseguire – o addirittura intensificarsi – è probabile che si ripresentino dinamiche simili anche nei prossimi trimestri.

E mentre il PIL nominale è cresciuto del 3,5%, portando il totale a 30 trilioni di dollari, il rapporto debito/PIL resta sotto osservazione, scendendo leggermente al 120,8% solo grazie al tetto temporaneo al debito federale. Una volta rimosso, anche questa voce tornerà a crescere in modo più accentuato.

PayPal e sue trimestrali: utili contrastanti, azioni ancora molto economiche

Dopo la pubblicazione dei risultati del primo trimestre 2025, il titolo PayPal Holdings, Inc. (NASDAQ: PYPL) ha mostrato un andamento volatile: in calo nel pre-market, in ripresa durante le prime ore di contrattazione, per poi chiudere nuovamente in positivo. Un chiaro segnale di incertezza tra gli investitori.

A prima vista, i risultati trimestrali non sembrano destare particolari preoccupazioni, fatta eccezione per un prevedibile rallentamento della spesa dei consumatori, legato al clima di fiducia ancora fragile. Eppure, l’utile per azione (EPS) ha superato le attese degli analisti — e anche le stime fornite in precedenza dal management, sia su base GAAP che non-GAAP.

Numeri sopra le aspettative, ma il mercato resta freddo

Nonostante PayPal abbia riportato un EPS non-GAAP di 1,33 dollari (contro una guidance di 1,15–1,17) e GAAP di 1,29 dollari, il mercato ha reagito in modo disomogeneo. Il motivo? Le previsioni per l’intero esercizio sono rimaste invariate, e la guidance per il secondo trimestre appare in linea con quella attuale, segnalando incertezza nella seconda metà dell’anno.

A pesare sul sentiment degli investitori contribuisce anche la performance del titolo nell’ultimo anno: sostanzialmente piatta e tra le peggiori della categoria, peggio ha fatto solo Block (NYSE: XYZ). Anche il consenso degli analisti si è indebolito, passando da una visione neutrale a leggermente negativa.



Tuttavia, proprio queste condizioni — debole performance passata e aspettative ridotte — possono spesso costituire il terreno ideale per un rimbalzo. Il rischio è che il mercato “non veda la foresta per gli alberi”.

Solida esecuzione operativa e margini in netto miglioramento

Ciò che colpisce davvero in questo trimestre non è solo l’EPS superiore alle attese, ma anche la sua tenuta rispetto al trimestre precedente — un fatto raro per PayPal, che storicamente subisce un calo degli utili nel primo trimestre post-festività. Un segnale concreto di solidità.

Il merito va a una forte esecuzione operativa. I pagamenti con marchio PayPal (branded checkout) continuano a crescere e Venmo sta finalmente guadagnando trazione sul fronte della monetizzazione. Risultato: il rapporto tra spese di transazione e ricavi netti è sceso in modo significativo, con un impatto positivo diretto sui margini operativi, che hanno raggiunto livelli record.

Anche i costi fissi, come quelli per tecnologia e assistenza clienti, sono diminuiti in rapporto alle vendite, contribuendo al miglioramento complessivo della redditività.

Il mercato guarda ai ricavi, ma la redditività è la vera storia

Nonostante questi progressi, l’attenzione degli investitori sembra concentrarsi sul rallentamento della crescita dei ricavi. Tuttavia, in una fase di maggiore incertezza economica, puntare sulla redditività piuttosto che sull'espansione a tutti i costi è una strategia più prudente e sostenibile.

Inoltre, PayPal sta utilizzando la liquidità generata in modo efficiente, con massicci riacquisti di azioni a valutazioni storicamente basse. Questo non solo restituisce valore agli azionisti, ma riflette anche la fiducia del management nella propria visione di lungo periodo.

Conclusione: bias negativo o opportunità da cogliere?

I risultati del primo trimestre 2025 mostrano che PayPal sta facendo significativi passi avanti in termini di efficienza e redditività, ma il mercato continua a sottovalutare questi progressi, ostacolato da un pregiudizio ormai radicato.

Con il titolo ancora ai minimi storici in termini di multipli, gli investitori a lungo termine potrebbero trovarsi di fronte a un’interessante finestra di opportunità. A mio avviso, i fondamentali in miglioramento giustificano una strategia di accumulo graduale sul titolo, approfittando del disallineamento tra valore intrinseco e percezione di mercato.