Nonostante la solidità della domanda interna, la performance del PIL statunitense nel primo trimestre è stata offuscata da un evento straordinario: l’impennata delle importazioni legata al timore dell’entrata in vigore di nuovi dazi. Le “vendite finali agli acquirenti privati nazionali” – un indicatore chiave della domanda interna privata – sono cresciute del 3,0%, confermando la resilienza di consumatori e imprese. Tuttavia, questo dato positivo è stato completamente oscurato da un’accelerazione record delle importazioni, che ha sottratto ben 5 punti percentuali alla crescita del PIL reale, trascinandolo in territorio negativo a -0,3%.
La dinamica è chiara: le aziende, preoccupate per l’imposizione imminente di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Biden – in particolare verso la Cina – si sono affrettate ad anticipare le importazioni, soprattutto nei settori farmaceutico e manifatturiero. È un fenomeno già osservato nel primo trimestre del 2022, quando l'allentamento delle catene di approvvigionamento post-COVID aveva favorito un'accumulazione aggressiva delle scorte. Ma questa volta, l’effetto è stato amplificato dal frontrunning tariffario: le aziende hanno fatto scorte in anticipo, alimentando un’esplosione dell'import (+41,3% su base annua) che ha fortemente penalizzato il contributo netto del commercio estero alla crescita.
Il deficit delle esportazioni nette è infatti peggiorato drasticamente, scendendo a un ritmo annualizzato di -1,37 trilioni di dollari. L’export è cresciuto modestamente (+1,8%), mentre l’import di beni ha registrato un picco vertiginoso (+50,9%), innescando un disallineamento macroscopico con effetti diretti sul PIL.
Anche il Wall Street Journal e Bloomberg hanno evidenziato come questa dinamica derivi in larga parte dall’approccio più aggressivo dell’attuale amministrazione in tema di politica commerciale, con nuovi dazi proposti su veicoli elettrici, batterie, pannelli solari e semiconduttori di provenienza cinese. Un pacchetto che, secondo Reuters, potrebbe colpire fino a 18 miliardi di dollari di importazioni.
Eppure, paradossalmente, proprio questi timori stanno spingendo le aziende a reinvestire nel territorio nazionale. Gli investimenti privati interni lordi sono balzati del 21,9%, trainati da un impressionante +22,5% negli investimenti in attrezzature, il secondo miglior risultato degli ultimi 13 anni. Si tratta, con ogni probabilità, di un segnale che le imprese stanno cercando di rafforzare la produzione domestica proprio per ridurre la dipendenza da fornitori esteri soggetti a dazi.
La spesa dei consumatori ha mantenuto un ritmo moderato ma positivo (+1,8%), mentre gli investimenti fissi non residenziali sono saliti del 9,8%, rafforzando ulteriormente il nucleo dell’economia privata. Tuttavia, la spesa pubblica ha subito un calo (-1,4%), penalizzando ulteriormente la crescita.
Nel complesso, i dati dipingono un quadro contrastante: da un lato, l’economia privata americana appare dinamica e solida; dall’altro, le tensioni commerciali e le distorsioni introdotte dai dazi stanno creando una forte volatilità macroeconomica. Se il ciclo dei dazi dovesse proseguire – o addirittura intensificarsi – è probabile che si ripresentino dinamiche simili anche nei prossimi trimestri.
E mentre il PIL nominale è cresciuto del 3,5%, portando il totale a 30 trilioni di dollari, il rapporto debito/PIL resta sotto osservazione, scendendo leggermente al 120,8% solo grazie al tetto temporaneo al debito federale. Una volta rimosso, anche questa voce tornerà a crescere in modo più accentuato.