lunedì 9 giugno 2025

Ulta Beauty: ritorna in territorio poco attraente

Ulta Beauty ha attraversato un periodo particolarmente altalenante sin dall’inizio della pandemia. Dalla vetta del settore retail ai momenti di profonda debolezza, il titolo ha vissuto una sequenza di oscillazioni significative. Oggi si trova in una posizione intermedia, né in crisi né in pieno slancio, ed è il momento giusto per rivedere le prospettive future.

Uno sguardo a Ulta Beauty

Ulta è uno dei principali attori del retail specializzato negli Stati Uniti, leader nel mercato della bellezza accanto a Sephora (controllata da LVMH). Con oltre 1.450 punti vendita e una base clienti di circa 45 milioni di iscritti, la società è diventata uno dei più grandi player fisici nella distribuzione di prodotti di bellezza sul mercato americano.

Fino al 2020, Ulta cresceva rapidamente, aprendo più di 100 nuovi store all’anno e registrando una crescita costante delle vendite comparabili, mantenendo al contempo una forte immagine di marca. Si parlava anche di una futura espansione internazionale, e molti investitori ritenevano che la crescita a doppia cifra sarebbe durata ancora a lungo.

Tuttavia, il contesto macro è cambiato: la fine dell’era dei tassi a zero (ZIRP) e l’accelerazione dell’e-commerce post-pandemia hanno messo sotto pressione il modello di business di Ulta, modificandone le prospettive di lungo periodo.

Dove siamo oggi?

Negli ultimi due anni, Ulta ha vissuto una certa instabilità: tre ribassi superiori al 20%, il passaggio a una nuova CEO e — fatto inedito nella sua storia recente — vendite comparabili negative, al di fuori della parentesi pandemica.

Tuttavia, i risultati del primo trimestre del 2025 sembrano segnare un punto di svolta. Dopo cinque trimestri di crescita inferiore al 5%, Ulta ha registrato un +4,5% nel fatturato, spinto da vendite comparabili in crescita del 2,9% (di cui +2,3% per l’aumento dei prezzi e +0,6% per il traffico). Le nuove aperture hanno contribuito per il restante 1,6%.

Particolarmente interessante è la ripresa delle categorie Skincare & Wellness e Fragranze, che mostrano maggiore appeal nel retail fisico, aiutando Ulta a difendersi meglio dalla concorrenza digitale. Al contrario, i segmenti Cosmetics e Haircare mostrano segni di rallentamento.


Margini e segnali da monitorare

Sul fronte dei margini, Ulta è tornata sopra il 14% di margine operativo, spinta da un miglioramento del margine lordo e dalla stagionalità positiva del primo trimestre. Tuttavia, alcuni segnali restano da monitorare: l’utile netto è frenato dai costi di ammortamento legati ai progetti di ristrutturazione e il flusso di cassa è sotto pressione per via di un livello di scorte mai visto prima. Questo potrebbe indicare la necessità futura di promozioni e sconti, con impatto sui margini.

Un possibile lato positivo è che l’aumento delle scorte potrebbe riflettere un’espansione dell’offerta e l’introduzione di nuovi marchi — un’area dove Ulta era rimasta indietro rispetto a Sephora.

Outlook e valutazione

I solidi dati del Q1 hanno permesso al management di alzare la guidance su ricavi, vendite comparabili ed EPS per l’anno in corso — un’inversione di tendenza dopo vari downgrade. Tuttavia, la crescita prevista rimane modesta: solo +2,7% nei ricavi e un calo dell’utile per azione, nonostante l’importante piano di buyback.

È questo il vero nodo: si tratta di una ripresa strutturale o solo di un "relief rally"? Probabilmente, siamo in una fase di transizione.

I problemi strutturali di Ulta — la crescente competizione online da parte di Amazon, Walmart e dei brand DTC — restano intatti. Anche la capacità di crescita sul territorio nazionale sembra ormai limitata: si investe di più nei negozi esistenti che in nuove aperture, segnale che la fase espansiva è alle battute finali.

In più, l’aumento delle scorte resta un elemento da osservare attentamente, poiché potrebbe tradursi in margini più deboli nei trimestri successivi.

Valutazione: tutto sommato ragionevole

Oggi Ulta viene scambiata a circa 20 volte gli utili attesi per l’anno in corso e 18 volte quelli dell’anno prossimo — multipli inferiori alla media del mercato. Questo la posiziona in una fascia intermedia rispetto ad altri nomi del retail specializzato: sopra Target, in linea con Lowe’s, sotto Home Depot e Tractor Supply.

Tenendo conto del rallentamento della crescita, della pressione competitiva e della normalizzazione dei margini, questi livelli di valutazione appaiono ragionevoli.

Conclusioni: non più in crisi, ma nemmeno a sconto

Ulta ha chiaramente superato la fase più difficile. La nuova leadership ha fatto buoni progressi, la crescita è tornata in positivo e le categorie fisiche stanno contribuendo a sostenere il business.

Tuttavia, è difficile vedere nel titolo un compounder come un tempo. Le prospettive di crescita futura sembrano più contenute, con ricavi previsti in aumento tra il 2% e il 6%, e un EPS in ripresa graduale, trainato più dai buyback che da una reale espansione del business.

Il rischio-rendimento attuale appare bilanciato. Per questo, oggi Ulta è — semplicemente — un titolo da Hold.

mercoledì 28 maggio 2025

UnitedHealth colpita duramente ci vorrà tempo per risorgere

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Sembrano passati mesi, e invece sono bastate due settimane per trasformare UnitedHealth in un caso emblematico di come anche i giganti della sanità possano finire sotto assedio. Le tensioni sono iniziate con le dichiarazioni dell’amministrazione statunitense sull’eliminazione dei Pharmacy Benefit Managers (PBMs), da sempre intermediari controversi. Da lì, la situazione è rapidamente degenerata, culminando con le improvvise dimissioni del CEO Andrew Witty – avvenute nel cuore della notte – e il temporaneo ritorno al timone di Stephen Hemsley, figura storica dell’azienda.

A quel punto, il mercato ha iniziato a vacillare. Le assicurazioni sanitarie, già viste con sospetto per i premi elevati e le frequenti negazioni dei sinistri, sono finite nel mirino. UnitedHealth ha ritirato completamente la guidance, un segnale che raramente preannuncia qualcosa di buono. Il titolo ha iniziato a scivolare, toccando brevemente i 250 dollari. E sebbene ci fosse chi vedeva in questo tracollo un’opportunità – ipotizzando acquisti progressivi a blocchi di 15 dollari – i rischi erano (e restano) tutt’altro che trascurabili.

Un primo trimestre da dimenticare

Il primo segnale concreto di difficoltà è arrivato con i risultati trimestrali. Il fatturato, pur massiccio a 109,6 miliardi di dollari, ha deluso le aspettative, registrando un “buco” di ben 2 miliardi rispetto al consensus. Gli utili per azione rettificati si sono attestati a 7,20 dollari, sotto le attese di 0,09 dollari. Un simile scostamento non si vedeva dal 2008. E il colpo è stato reso ancora più duro dalla totale assenza di previsioni per l’anno in corso.

Utilizzo dei servizi in aumento: un problema strutturale

Il nodo principale riguarda l’aumento significativo dell’utilizzo dei servizi da parte degli iscritti a Medicare Advantage e Optum Health. I nuovi membri sono mediamente meno sani e più bisognosi di cure, fattore che ha fatto esplodere i costi e ridotto drasticamente i margini. La società ha prima ridotto le previsioni per il 2025 di circa il 10%, per poi ritirarle del tutto. Una decisione che non solo ha mandato nel panico gli investitori, ma ha lasciato gli analisti senza punti di riferimento.

Un titolo in balia delle notizie (quasi tutte negative)

Da allora, è stato un susseguirsi quotidiano di notizie, la maggior parte delle quali ha ulteriormente affossato il titolo. In un clima simile, anche i rimbalzi tecnici – come quello che ha riportato momentaneamente le azioni da 250 a 320 dollari – sono apparsi fragili e temporanei. Ogni spiraglio di positività è stato subito spento da nuove criticità: editoriali taglienti, declassamenti da parte degli analisti, indagini federali e dubbi sulla sostenibilità del business model.

Acquisti degli insider: un segnale ambiguo

In questo scenario cupo, alcuni insider di peso – tra cui il presidente Hemsley e il CFO Rex – hanno acquistato azioni per decine di milioni di dollari. In teoria, un segnale di fiducia. Ma in un contesto tanto incerto, non si può escludere che si tratti più di una mossa difensiva che di un’indicazione di reale solidità futura.

L’intervento del governo complica ulteriormente il quadro

A peggiorare ulteriormente la situazione, è arrivata la notizia che i Centers for Medicare & Medicaid Services (CMS) intensificheranno gli audit sui piani Medicare Advantage. Questo potrebbe comportare pesanti recuperi per fatturazioni eccessive. UnitedHealth ha dichiarato di sostenere l’iniziativa, ma l’impatto economico è tutt’altro che trascurabile: se le indagini dovessero far emergere irregolarità, le ripercussioni sui ricavi potrebbero essere gravi.

Cosa aspettarsi ora?

UnitedHealth ha visto evaporare in pochi giorni la reputazione di solidità costruita negli anni. Le previsioni per l’EPS 2025 sono state completamente ritirate, e anche i 20 dollari ipotizzati da alcuni ottimisti implicano un crollo del 22% rispetto alle stime originarie. A questi livelli, il titolo tratta a circa 14,5 volte gli utili attesi, una valutazione che potrebbe sembrare attraente – ma solo se si presume un ritorno rapido alla normalità. E questo è tutto fuorché scontato.

Conclusione: rischi elevati, potenziale solo per stomaci forti

UnitedHealth non è una storia da cassettisti tranquilli. È un titolo che, al momento, resta appeso a un filo. Senza guidance, con la redditività sotto pressione, una leadership instabile e l’attenzione crescente del governo, investire ora equivale a scommettere su un turnaround ancora tutto da dimostrare. Potrà anche esserci valore nei prossimi anni, ma oggi il rischio domina la scena. Per chi deciderà di accumulare, è fondamentale farlo con prudenza, consapevoli che nuovi scossoni potrebbero essere dietro l’angolo.

Palantir: un titolo affascinante ma pericolosamente sopravvalutato

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Abbiamo recentemente deciso di chiudere la nostra posizione short su Palantir (NASDAQ: PLTR), dopo un'improvvisa e consistente impennata del titolo – circa il 40% di rialzo solo da inizio aprile. Il nostro stop-loss è scattato, costringendoci ad accettare una perdita, seppur contenuta, dato che si trattava di una posizione marginale del nostro portafoglio.

Eppure, riteniamo che l’idea alla base della nostra posizione ribassista fosse solida. Abbiamo sbagliato il timing, non la logica. Ma come ricorda una delle massime più spietate della finanza: "Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa restare solvente".

Ed è proprio sull'irrazionalità del mercato che vogliamo porre l'accento. Nonostante la recente euforia intorno al titolo, continuiamo a considerare Palantir un investimento estremamente rischioso e oggi lo classifichiamo come SELL. La valutazione attuale – sopra i 120 dollari per azione – offre un margine di sicurezza quasi nullo e comporta una serie di rischi che, a nostro avviso, non possono essere ignorati da chi investe con prudenza.



Cosa non ha funzionato... e perché non ci fidiamo ancora

Le azioni di Palantir avevano cominciato a cedere terreno già a febbraio, in seguito all'annuncio di tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa – un cliente chiave per l’azienda. La situazione è poi peggiorata con l’introduzione di dazi commerciali, che hanno gettato ombre sull’intero mercato azionario. Ma a inizio aprile qualcosa è cambiato: l’annuncio di una sospensione temporanea dei dazi ha invertito la rotta e, complice un miglioramento del sentiment macroeconomico, il titolo è rimbalzato.

A quel punto sono arrivati anche i numeri: ricavi in crescita del 40% su base annua, margini in espansione, contratti governativi in aumento – e il mercato ha reagito con entusiasmo. In effetti, nel primo trimestre Palantir ha battuto le aspettative con ricavi governativi in salita del 45% e nuovi accordi con la NATO e l’esercito americano. Anche il business commerciale ha mostrato segnali incoraggianti, con un incremento del 39% nella base clienti e previsioni di fatturato riviste al rialzo.

Tutto molto positivo, a prima vista. Ma non lasciamoci ingannare dai titoli euforici: i rischi fondamentali non sono affatto scomparsi. Anzi, oggi più che mai meritano attenzione.

I rischi reali: valutazione, geopolitica e stagflazione

Iniziamo da un dato difficilmente discutibile: Palantir è estremamente sopravvalutata. Il titolo viene scambiato a più di 200 volte gli utili attesi, un livello che può trovare giustificazione solo in uno scenario di crescita straordinaria e ininterrotta. Ma basta poco – un rallentamento macroeconomico, un taglio ai budget pubblici, un freno alla spesa aziendale – per far crollare queste aspettative.

Inoltre, la fragilità del contesto globale alimenta ulteriori incertezze. La Federal Reserve e importanti leader di mercato, come Jamie Dimon di JP Morgan, parlano apertamente del rischio stagflazione: un mix letale di stagnazione economica e inflazione elevata. Se davvero ci stiamo avviando verso questo scenario – alimentato da nuove tensioni commerciali o politiche imprevedibili – l'intero comparto tecnologico potrebbe soffrire, e Palantir rischia di essere tra i titoli più vulnerabili, proprio per la sua valutazione fuori scala.

E poi c’è l’aspetto geopolitico. Dopo la temporanea sospensione degli aiuti militari statunitensi all’Ucraina, l’Unione Europea ha reagito varando un proprio fondo per la difesa, incentivando la produzione locale e limitando l’acquisto di tecnologia militare americana. Questo trend potrebbe rafforzarsi, spingendo i partner internazionali a ridurre la dipendenza dal software statunitense. Palantir, che genera il 71% del proprio fatturato negli Stati Uniti, potrebbe faticare a espandersi nei mercati esteri in un contesto geopolitico così teso.

Un modello che non regge… nemmeno con stime ottimistiche

Abbiamo aggiornato il nostro modello di valutazione alla luce dei recenti risultati trimestrali e delle nuove guidance. Abbiamo assunto ipotesi estremamente aggressive: una crescita dei ricavi del 50% annuo e margini operativi al 50%, ben oltre gli standard di quasi ogni azienda tech quotata. Eppure, anche con queste previsioni, il valore intrinseco che otteniamo è di appena 63 dollari per azione – quasi la metà del prezzo attuale.

Ciò significa che, persino nello scenario migliore, l’investimento in Palantir oggi appare profondamente sbilanciato sul fronte rischio/rendimento. La realtà è che i numeri non giustificano l’attuale euforia.

Conclusioni: entusiasmo sì, ma con prudenza

Riconosciamo i progressi operativi dell’azienda. Palantir sta crescendo, amplia il proprio raggio d’azione e beneficia dell’interesse crescente per l’intelligenza artificiale. Tuttavia, un buon trimestre non basta per giustificare una capitalizzazione che sfida ogni logica fondamentale.

In periodi di entusiasmo collettivo, è facile farsi trascinare dalla narrativa e dimenticare che la valutazione conta. Ma quando il contesto macro cambia – e prima o poi cambierà – i titoli con valutazioni estreme sono i primi a crollare.

Per questo motivo, manteniamo una visione cauta e consideriamo Palantir un titolo da evitare a questi livelli. I rischi sono concreti, sistemici e sottovalutati.

Al momento, non abbiamo più posizioni aperte su Palantir, né long né short. Ma se il mercato dovesse tornare a valutare il titolo con razionalità, potremmo considerare un nuovo ingresso… in tutt'altra direzione.

venerdì 16 maggio 2025

Celsius Holdings (CELH): crescita esplosiva, ma a quale prezzo?

Celsius Holdings (CELH) è una delle storie di crescita più affascinanti degli ultimi anni nel settore del beverage. L’azienda ha saputo intercettare i cambiamenti nei gusti dei consumatori, posizionandosi come il brand di riferimento tra le bevande energetiche “better-for-you”, grazie a una formula senza zuccheri, ricca di ingredienti naturali e orientata alla salute. Ma se da un lato la crescita dei ricavi è stata a dir poco esplosiva, dall’altro la valutazione attuale richiede una riflessione attenta, soprattutto per chi guarda al titolo come possibile investimento di lungo termine.

Una crescita che continua a sorprendere

I numeri parlano chiaro. Nell’ultimo trimestre, Celsius ha messo a segno una crescita dei ricavi del 37% su base annua, trainata da una performance strepitosa nel canale di distribuzione nordamericano, dove le vendite sono aumentate del 38%. Ancora più impressionante è il progresso sequenziale: rispetto al trimestre precedente, le vendite sono cresciute del 15%, segno che la domanda non solo è forte, ma anche in accelerazione.

A sostenere questa dinamica ci sono diversi fattori: una distribuzione sempre più capillare (grazie anche all’accordo strategico con PepsiCo), un marketing aggressivo sui social e nelle palestre, ma soprattutto un prodotto che ha saputo costruirsi un posizionamento premium tra i consumatori più giovani, attenti al benessere e allo stile di vita attivo.

Margini in espansione: la leva dell’efficienza operativa

Non si tratta solo di crescita “top-line”. Celsius sta anche mostrando segnali incoraggianti dal punto di vista della redditività. Il margine lordo è salito al gross margin più alto nella storia dell’azienda, pari al gross margin record di oltre il 50%, grazie a un migliore mix di vendite, all’efficienza nella supply chain e a una maggiore scala operativa.

Anche la redditività operativa è migliorata in modo netto: l’EBITDA adjusted è cresciuto del 81% anno su anno, superando i 100 milioni di dollari trimestrali per la prima volta. La leva operativa comincia a farsi sentire, e il management ha ribadito la volontà di reinvestire parte dei margini per continuare a spingere sulla crescita, soprattutto a livello internazionale.

Espansione globale: le prime mosse fuori dagli Stati Uniti

L’internazionalizzazione rappresenta una delle principali leve di crescita per il futuro. Attualmente, Celsius genera circa il 96% delle vendite in Nord America, ma ha iniziato a muovere i primi passi anche in mercati chiave come il Regno Unito, l’Australia e il Canada. In questi mercati, il brand si sta facendo conoscere attraverso eventi sportivi, collaborazioni con influencer locali e l’ingresso nei principali canali di distribuzione.

È ancora presto per valutare l’impatto di questa espansione, ma l’opportunità è evidente: se Celsius riuscisse anche solo ad avvicinarsi alla penetrazione ottenuta negli Stati Uniti, il potenziale di crescita sarebbe enorme.

Una valutazione che richiede cautela

Tuttavia, non tutto luccica. La valutazione attuale del titolo riflette già gran parte di queste prospettive rosee. Con un P/E forward di oltre 60 e un EV/EBITDA che supera 40, Celsius è valutata come se la sua crescita dovesse continuare a ritmi sostenuti per molti anni. Qualsiasi rallentamento, difficoltà nell’espansione internazionale o pressione competitiva potrebbe avere un impatto significativo sul titolo.

Inoltre, la recente acquisizione di produttori di co-packing potrebbe aumentare l’esposizione a rischi operativi e logistici, seppur con la potenzialità di migliorare ulteriormente i margini nel lungo termine.

Un gioiello della crescita, ma non per tutti i portafogli

Celsius è un’azienda straordinaria dal punto di vista della crescita, del posizionamento di brand e della redditività in miglioramento. È una delle poche realtà nel panorama consumer a registrare tassi di crescita così elevati pur essendo già profittevole. Tuttavia, il prezzo richiesto per partecipare a questa storia è alto.

Per l’investitore orientato alla crescita, disposto ad accettare un certo grado di volatilità e a credere nel potenziale di espansione globale del brand, Celsius rappresenta un’opzione affascinante. Ma per chi cerca valutazioni più conservative o è sensibile ai multipli elevati, potrebbe essere prudente attendere un punto d’ingresso più favorevole.

In ogni caso, Celsius resta un nome da tenere d’occhio: le grandi storie di crescita non passano inosservate, e questa potrebbe essere solo all’inizio.

martedì 6 maggio 2025

PayPal è la Value delle Value, la più sottovalutata di tutte

PayPal ha da poco pubblicato i risultati del primo trimestre, sorprendendo positivamente gli analisti con utili per azione superiori alle attese e una guidance solida per i trimestri successivi. Eppure, nonostante le buone notizie, il mercato non ha reagito come previsto: il titolo è rimasto pressoché invariato. Questo apparente disinteresse potrebbe essere legato ai timori generali sul rallentamento dei consumi e sulle incertezze legate al contesto macroeconomico e geopolitico.

In ogni caso, le azioni PayPal sono ancora in calo del 19% da inizio anno e sembrano oggi scambiare a una delle valutazioni più basse da quando la società è quotata. Alla luce del miglioramento dei fondamentali, continuo a ritenere che questa debolezza offra un’interessante finestra di ingresso per gli investitori orientati al lungo termine.

Dopo un periodo difficile, PayPal ha finalmente ricominciato a crescere anche dal punto di vista della base utenti. Gli account attivi hanno toccato i 436 milioni, un nuovo massimo storico, in leggera crescita rispetto al trimestre precedente e al primo trimestre del 2024. Allo stesso modo, gli utenti attivi mensili, una metrica che meglio riflette il coinvolgimento reale, sono saliti a 224 milioni. Un segnale chiaro: PayPal è ben lontana dall’essere un’azienda “morta”.

Non tutto, però, è stato in crescita: il numero di transazioni totali e di transazioni per account è sceso rispettivamente del 7% e dell’1% rispetto all’anno scorso. Questo calo, tuttavia, è attribuibile in gran parte a Braintree, la piattaforma di elaborazione pagamenti che PayPal sta riposizionando con una strategia orientata alla qualità e alla redditività. Se si esclude questo segmento, le transazioni per account sono invece aumentate, raggiungendo un nuovo record. In altre parole, gli utenti più fedeli e legati al marchio stanno utilizzando PayPal più di prima.

Il volume complessivo dei pagamenti processati (TPV) è cresciuto del 3% rispetto all’anno precedente, arrivando a 417 miliardi di dollari. È vero che la contrazione stagionale del primo trimestre è stata più marcata del solito, ma ancora una volta è Braintree il principale responsabile. In compenso, il segmento Branded Checkout ha continuato a crescere in modo costante, alimentato da grandi piattaforme aziendali, marketplace, e soprattutto da Pay with Venmo, che sta diventando sempre più popolare tra i consumatori.

Particolarmente interessante è la performance del segmento Branded Experiences, che include sia i pagamenti online che quelli fisici, in crescita del 7% su base annua. Questo segnala che PayPal si sta ritagliando un ruolo sempre più solido anche nel mondo offline, rafforzando la propria presenza omnicanale. In questo contesto, le carte di debito hanno registrato un’espansione impressionante: +64% nel volume delle transazioni, +90% di nuovi utenti su base annua, e una crescita del 40% degli utenti attivi mensili per le carte Venmo. Non solo: chi usa la carta spende di più, effettua molte più transazioni e tende a usare PayPal anche nei pagamenti online. Un effetto alone positivo che il management punta a valorizzare ulteriormente.

Anche Venmo sta mostrando un’accelerazione significativa, grazie a una migliore monetizzazione della rete peer-to-peer. Nel primo trimestre, i ricavi di Venmo sono cresciuti del 20% su base annua, con TPV e utenti attivi in netto aumento. PayPal ha così confermato che questo è il tasso di crescita più alto degli ultimi anni per il servizio.

Nel complesso, il primo trimestre si è chiuso con ricavi per 7,8 miliardi di dollari, in lieve crescita (+1%) rispetto all’anno precedente. È vero, si tratta di un risultato leggermente sotto le stime degli analisti, ma il dato nasconde dinamiche positive: i ricavi di Venmo e Branded sono aumentati, mentre il rallentamento di Braintree, pur pesando, fa parte di una strategia consapevole volta a privilegiare la qualità dei volumi.



Il tasso di prelievo – ovvero la quota che PayPal riesce a trattenere sui volumi transati – è leggermente sceso, ma il costo per transazione è diminuito ancora di più, portando a un incremento del margine di transazione in termini assoluti. È un trend molto incoraggiante, che conferma l’effetto leva della strategia orientata alla redditività.

Guardando avanti, la crescita dei ricavi nel secondo trimestre dovrebbe rimanere modesta, ma con segnali di accelerazione nella seconda parte dell’anno. Il CEO ha ribadito la fiducia nella ripresa del segmento Branded, nell’espansione di Venmo e nel potenziale di nuove soluzioni come il BNPL (Buy Now Pay Later), che potrebbe diventare un altro pilastro della crescita futura.

Dal punto di vista della redditività, il margine di transazione ha continuato a migliorare, raggiungendo il livello più alto degli ultimi due anni. L’utile operativo non-GAAP ha toccato un nuovo record a 1,6 miliardi di dollari, con un margine operativo che ha superato per la prima volta da quattro anni la soglia del 20%. Anche l’utile per azione non-GAAP è stato da record: 1,33 dollari, in crescita del 23% rispetto all’anno scorso.

Le previsioni per i trimestri successivi parlano di una crescita dell’EPS attorno all’8% per l’intero 2025. Tuttavia, guardando nel dettaglio le stime e confrontandole con i risultati già raggiunti nei primi sei mesi, sembra che il management stia adottando un approccio estremamente prudente. A mio avviso, c’è un’alta probabilità che PayPal possa superare queste previsioni nel corso dell’anno.

Un ulteriore elemento che potrebbe contribuire alla crescita dell’EPS è il piano di buyback. Nel primo trimestre, PayPal ha riacquistato 19 milioni di azioni per 1,5 miliardi di dollari. Considerando che il titolo è attualmente scambiato ben al di sotto del prezzo medio di riacquisto, è probabile che la società continui ad approfittare di queste valutazioni basse per accelerare ulteriormente il programma, contribuendo così a una crescita per azione ancora più marcata.

In definitiva, sebbene alcuni segmenti continuino a mostrare debolezze legate a scelte strategiche deliberate, la traiettoria complessiva dell’azienda appare positiva. La ripresa del core business, la solida redditività, le iniziative di monetizzazione e l’allocazione intelligente del capitale confermano che PayPal sta tornando a essere una realtà solida e profittevole, con prospettive di crescita interessanti per il medio-lungo termine.