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giovedì 11 luglio 2019

Potrebbe Trump riportare il prezzo del petrolio a 140 dollari?

Trump e bandiera americana
Una cosa è certa: con Trump non ci si annoia mai.
La sua campagna elettorale permanente prevede sempre la presenza di un nemico da sconfiggere o da ridurre a più miti consigli.
E visto che stiamo parlando di un uomo che ha conquistato la Casa Bianca contro tutti i sondaggi, probabilmente la sua strategia è, al momento, efficace.
Prima il Messico e i messicani, poi la Cina ed ora si aggiunge l’Iran.
In realtà l’Iran è sempre stato considerato dagli Usa un nemico ma con gli accordi stipulati dall’amministrazione Obama i rapporti si erano ricuciti.
Sia chiaro, Iran e Usa non giocavano a golf insieme come amici di vecchia data, ma già limitarsi a mantenere buoni rapporti era un considerato un gran successo.
Poi le tensioni sono aumentate costantemente da maggio 2018, quando Trump abbandonò improvvisamente l’accordo nucleare del 2015 tra l’Iran e le sei potenze mondiali.
Trump non ha solo abbandonato l’accordo ma ha ripristinato le sanzioni per costringere l’Iran a rinegoziarlo.
Ora le scaramucce si sono di nuovo manifestate dopo l’abbattimento del drone statunitense sullo stretto di Hormuz.
L’Iran sostiene che gli Usa hanno violato il suo spazio aereo.
Gli Stati Uniti insistono che si trattava di acque internazionali.
Tutto questo è stato preceduto da due serie di esplosioni che hanno danneggiato sei navi petroliere nella regione.
Una regione nella quale passa ogni giorno un quinto del petrolio mondiale.
Naturalmente non è mia intenzione sindacare sulle ragioni dell’uno o dell’altro.
Non sono un esperto di geo-politica e, anche se lo fossi, non è senza dubbio questo il luogo adatto per discuterne.
Ormai dovresti conoscermi.
Quello che mi interessa è l’impatto che queste tensioni possono avere sui mercati finanziari e sui miei (e tuoi) portafogli di investimento.
Non c’è dubbio che i mercati siano particolarmente sensibili a ciò che avviene in quelle regioni.
Questo perché ogni tensione si riflette sul prezzo del petrolio.
E il prezzo del petrolio influenza l’andamento della crescita economica la quale, a sua volta, si riflette nei mercati finanziari.
Ma andiamo con ordine.
Le tensioni geo-politiche nel medio oriente impattano sul prezzo del petrolio perché oltre il 70% delle riserve mondiali si trovano proprio sotto quelle terre:
grafico dei paesi con maggiori riserve di petrolio e gas
Hai presente il sobbalzo che fai quando ti infilano sottopelle un ago senza preavviso?
Ecco quella è la reazione del prezzo del petrolio ad ogni minima tensione che vede coinvolte quelle terre.
E, come ti accennavo, il prezzo del petrolio influenza non poco l’economia e, di riflesso, il mercato finanziario.
Mercato obbligazionario, azionario, delle valute si muovono repentinamente ad ogni battito d’ali di farfalla nel golfo Persico.
Tuttavia, se mi segui da un po’ e se hai letto il mio libro, la strategia che adotto e che mi consente di battere il benchmark ormai da 10 anni, è quella di un investitore di lungo periodo nel mercato azionario americano.
Quindi quello che devo analizzare è l’impatto che le quotazioni dell’oro nero hanno sui mercati d’oltreoceano.
Allora vediamo.
Il petrolio è una materia prima quotata pertanto, così come le azioni, le obbligazioni, le valute eccetera, è influenzato anche da un elemento che i mercati in genere odiano.
Sto parlando dell’incertezza.
Una minaccia, come ad esempio quella di Trump nei confronti dell’Iran, è un’incertezza.
E in un simile contesto ogni teoria ed ogni analisi può essere valida.
Alcuni analisti sostengono che la minaccia è reale altri che si tratta di una bufala.
Altri ancora non si esprimono mentre alcuni illuminati si lanciano in previsioni con gradi di certezza assoluta.
Nel frattempo i mercati non sanno come muoversi e, nel breve periodo, vanno in fibrillazione.
Tecnicamente si dice che aumenta la volatilità.
Ma a noi del breve periodo frega nulla… giusto?
Tuttavia anche lo stato d’animo dell’investitore di lungo periodo viene messo a dura prova dalle incertezze di breve periodo.
E allora vediamo un po’ come si sta evolvendo la situazione.
Uno scontro in Medio Oriente, anche se improbabile, farebbe impennare i prezzi del petrolio… questo ce lo siamo già detti.
L’aumento del prezzo dell’oro nero, se prolungato nel tempo, comporterebbe un duro colpo per il motore dell’economia americana ovvero la spesa dei consumatori.
Infatti l’aumento dei costi di produzione delle aziende (pensa ad esempio al costo dell’energia) verrebbe scaricato sui prezzi dei beni che producono e, naturalmente aumenterebbero.
E se i prezzi aumentano, a parità di salario, una famiglia deve ridurre le spese o indebitarsi per mantenere lo stesso tenore di vita.
E’ per questo che il prezzo del petrolio viene tenuto in considerazione come anticipatore di una recessione.
Alcuni esempi per comprendere meglio il concetto.
Se hai i capelli grigi e purtroppo qualche acciacco dovuto all’età, allora ricorderai come l’embargo petrolifero saudita del 1973-1974 ha contribuito a innescare un balzo dei prezzi del petrolio che ha paralizzato l’economia.
Oppure come la rivoluzione iraniana del 1979 ha portato a una recessione negli Stati Uniti.
Allo stesso modo, l’economia americana è scivolata in una recessione dopo che l’Iraq ha invaso il Kuwait nel 1990 e di nuovo dopo il rovesciamento americano del dittatore iracheno Saddam Hussein nel 2003.
E ancora.
Ricorderai come nel 2008 la grande recessione è stata causata da un’epica bolla immobiliare.
Tuttavia non ti sarà sfuggito anche il fatto che il prezzo del petrolio era alle stelle, sopra i 140 dollari al barile, nell’estate del 2008.
Significa quindi che prezzi elevati del petrolio conducono spesso ad una recessione.
Ma la domanda è: quando il prezzo del petrolio può considerarsi “elevato”?
Se elevato è 140, il suo massimo del 2008, allora in questo momento con la quotazione a 66 dollari possiamo stare tranquilli.
Se così fosse, ognuno di noi potrebbe facilmente considerarsi un analista.
Se il massimo è a 140 e ora quota 66 perché mi dovrei preoccupare?
La realtà dei fatti è ben diversa e la risposta è sempre: dipende.
Molte cose sono cambiate rispetto al passato.
Il massimo di 140 dollari a barile del 2008 fu raggiunto in un contesto diverso rispetto ad oggi.
Ad esempio, rispetto ad allora, gli USA sono molto più indipendenti dall’energia grazie all’aumento di produzione soprattutto nel Texas occidentale.
Significa che assorbono molto più facilmente eventuali shock di prezzo dell’oro nero.
Inoltre c’è un altro fattore da considerare.
I prezzi elevati del petrolio non comportano una recessione immediata dell’economia.
Come ti dicevo, lo puoi considerare come un indicatore di tensione che, se prolungato, può riflettersi sull’andamento economico globale.
Quindi torniamo a noi.
In questo momento siamo in un contesto di volatilità dovuta semplicemente a tensioni geo-politiche?
Oppure questa si aggiunge ad un prezzo già elevato che potrebbe riversarsi nel tempo sui prezzi dei beni che acquisti facendoli aumentare?
Se così fosse siamo quindi in prossimità di una recessione?
La risposta è ancora una volta: dipende.
Dipende perché le variabili da tenere in considerazione sono infinite e gli strumenti in mano alle banche centrali per controllare eventuali tendenze inflazionistiche non sono gli stessi del passato.
Tieni comunque presente che una recessione prima di esplodere viene anticipata da numerosi segnali – tra questi certamente anche il prezzo del greggio – che devi essere in grado di leggere se vuoi riposizionare il portafoglio prima di venire travolto dall’onda.
Nel mio libro ti racconto come avevo previsto la recessione del 2008 ben prima della sua esplosione nell’estate dello stesso anno.
Ti rimando al libro per saperne di più.
In “Battere il benchmark” scoprirai come il mio sistema analizza i mercati tenendo conto di tutte queste variabili.
Tuttavia le variabili hanno impatti diversi a seconda del settore che stai analizzando.
E all’interno di ogni settore le singole aziende non ne risentono tutte allo stesso modo.
Quindi ti serve un sistema per selezionare soprattutto in periodi di alta volatilità o recessione, le aziende che ne risentono meno o si difendono meglio o addirittura ne sono avvantaggiate.
Quindi occhio, perché cadere nella trappola dell’emotività di breve periodo è facilissimo se non hai una mappa che ti guida alla meta.
Continua a seguirmi sui consueti canali e ti terrò aggiornato.



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mercoledì 21 dicembre 2016

Investire in materie prime: shale realmente in ripresa?

Lo shale oil è una particolare tipologia di petrolio derivante dai frammenti di rocce di scisto bituminoso presenti nel sottosuolo e prodotto mediante complessi processi chimici che convertono la materia organica all’interno della roccia in petrolio e gas sintetico. Esso viene poi usato come combustibile (principalmente come olio per riscaldamento e carburante marino) e in misura minore nella produzione di varie sostanze chimiche.

Gli Stati Uniti nell’ultimo decennio hanno puntato molto sullo shale oil (e in parallelo sullo shale gas) per raggiungere l’indipendenza energetica, tanto da investire 200 miliardi di dollari dal 2003 in poi in equipaggiamenti e macchinari di estrazione. Proprio nel momento più fiorente per questa moderna attività, però, si è verificata la ben nota crisi di sovrapproduzione petrolifera, con il crollo del suo prezzo sino ai minimi di 28,50$ al barile di inizio 2016 che ha portato alla bancarotta di un terzo degli operatori di questo nuovo settore, sin troppo esposti finanziariamente e incapaci dunque di adempiere alle loro obbligazioni a seguito delle gravi perdite di liquidità subite (non sostenute in alcun modo dalle varie linee di credito che hanno deciso di sospendere ogni forma di prestito).

Dopo più di un anno di tagli della produzione di shale oil, le aziende produttrici sembrerebbero finalmente essere in grado di invertire la tendenza: è stata infatti annunciata la produzione complessiva di 2,000 barili al giorno in più a partire dal Gennaio 2017, per un totale di 4542 milioni di barili quotidiani.

Shale gas America, fracking, estrazione petrolio

Il 30 Novembre 2016 è stata una data fondamentale in quanto si è raggiunto uno storico accordo tra i paesi membri dell’OPEC, i quali ridurranno la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno. Inoltre gli stessi i paesi non-OPEC realizzeranno imponenti tagli alla produzione, guidati dall’importante collaborazione in tal senso garantita dai russi, così da esserci la possibilità concreta che il mercato del greggio giunga ad una condizione di deficit per la prima metà dell’anno nuovo.

Questa serie di spinte rialziste al prezzo del petrolio non può far altro che giovare agli interessi dei produttori di shale oil, i quali a loro volta nel frattempo hanno migliorato notevolmente le tecniche di estrazione, abbassandone i costi del 40% (in alcune aree anche più del 50%) tanto da ridurre il punto di pareggio tra costi e ricavi al punto tale che un prezzo di 50$ al barile è divenuto più che sufficiente per trarre profitto dall’attività (il chè era impensabile solo un anno fa).

Occorre precisare che nel mese di Dicembre si sono verificati nuovi cali della produzione in alcune aree estrattive, a testimonianza di una ripresa ancora incerta. Al contrario il giacimento del Permiano, collocato tra la parte occidentale del Texas e il New Mexico, continua a mostrare segnali più che positivi, quali l’aumento del numero di piattaforme attive e il conseguente miglioramento della produttività stimato in 27.000 barili al giorno in più rispetto a Novembre.

Il maggiore produttore di questo bacino, con il suo 13% rispetto al totale di petrolio estratto, è Occidental Petroleum (OXY).

OXY, Occidental petrolium, analisi tecnica medio periodo

Per il 2017, dunque, diventa interessante seguire le vicende legate alle grandi aziende produttrici di shale oil, considerando seriamente l’ipotesi di investire in esse, pur ricordando come sia necessario porre grande attenzione alle reali intenzioni dei paesi OPEC (non sempre quanto affermato è stato poi realizzato) e soprattutto come questa ripresa della produttività statunitense potrebbe bloccare l’attuale spinta rialzista al prezzo per il petrolio.