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venerdì 19 luglio 2019

L’America deve competere con le aziende cinesi, non vietarle

Ormai sono passati 18 mesi da quanto l’amministrazione Trump ha intrapreso la strada dei dazi doganali contro la Cina e ha iniziato la guerra a Huawei, il gigante delle telecomunicazioni cinese. Accuse, sanzioni e pressioni diplomatiche, sembra tutto un gioco per l’America. Ma tutto parte, come al solito, dalla cima. Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che blocca le aziende statunitensi dall'uso di attrezzature e servizi prodotti da società controllate dai "governi avversari". Trump non ha puntato il dito su Huawei o la Cina, ma credo che il messaggio fosse chiaro.
Con quella firma, Trump ha di fatto inserito Huawei e 68 delle sue società affiliate in un elenco di aziende a cui le società statunitensi potrebbero non vendere componenti senza l'approvazione del governo, presso il Dipartimento del Commercio. L’ordine esecutivo è una minaccia seria, ma essere presente in quella lista è un danno incalcolabile. Infatti, nel momento in cui il nome dell’azienda cinese appare, come un ricercato, nella lista nera, quattro enormi società tecnologiche americane, Broadcom, Intel, Qualcomm e Xilinx, hanno immediatamente smesso di fare affari con Huawei. Senza contare il ritiro strategico di Google che annunciato che non avrebbe più fornito il sistema operativo mobile Android agli smartphone Huawei.
Duro colpo per Huawei, Ren Zhengfei, in fondatore, qualche giorno dopo in una conferenza ha dichiarato che prevede un calo dei ricavi di $ 30 miliardi nei prossimi due anni a causa delle azioni degli Stati Uniti, in calo da $ 107 miliardi su base annua nel 2018.
A sentire il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, Huwaei con la sua 5G, sarebbe una potenziale minaccia per l’America, perché consentirebbe alla Cina non solo di accedere a dati preziosi ma anche di "controllare l'Internet del futuro" e "dividere le alleanze occidentali attraverso bit e byte".
Come ho già spiegato altre volte, in alcune dirette o articoli, l’America fa bene a concentrarsi su una sana competizione con le aziende cinesi. Da una sana competizione, esce sempre il prodotto migliore. La Cina ha lavorato sodo nel tentativo di costruire il cyberspazio a sua immagine, usando la regolamentazione interna, l'innovazione tecnologica, aziende di livello mondiale e diplomazia straniera. Il fatto è che l’America non ha ancora capito che questa crociata servirà solo ad aiutare un paese già in forte espansione. L'accento posto dall'amministrazione sul disaccoppiamento degli ecosistemi scientifici e tecnologici statunitensi e cinesi rischia di rallentare l'innovazione americana e di accelerare i piani cinesi di indipendenza tecnologica.
Piuttosto che tentare di costringere gli altri paesi ad abbandonare Huawei, gli Stati Uniti dovrebbero offrire loro alternative che possano competere sul prezzo e sull'efficienza. Washington dovrebbe lavorare con i governi alleati per migliorare la loro sicurezza informatica. E dovrebbe investire nella ricerca per padroneggiare nella futura tecnologia 5G.

5G

Certo da lato è vero, la 5G porterà nuove minacce. Il governo americano è convinto che la 5G di Huawei non è sicura, questa idea nasce dal fatto che l’azienda è cinese, o perché realmente c’è un problema con il futuro della rete? Il problema sta nel fornire il flusso dati, a differenza delle reti di terza o quarta generazione, il produttore distribuirà un flusso di aggiornamenti software più velocemente di quanto gli ispettori possano verificare le informazioni. L'architettura del sistema 5G richiede quindi agli utenti di fidarsi del fornitore. Non è facile. Ovviamente i funzionari di Huawei negano strenuamente di essere in qualche modo legati al governo cinese. Perché dovrebbe ammettere il contrario.
Sta di fatto però, che altri paesi non vogliono inimicarsi Trump, ma allo stesso modo vedono un beneficio economico enorme nel mantenere vivi i contatti con la Cina. Francia, Germania e Regno Unito sembrano aver concluso che possono mitigare i rischi dell'utilizzo dei prodotti Huawei utilizzando diversi fornitori accanto alle apparecchiature Huawei, mantenendo la società cinese fuori dalle reti più sensibili, monitorando continuamente le reti e la progettazione ridondante e resiliente in modo che se l'attrezzatura Huawei viene compromessa, l'intero sistema non va in crash. È molto probabile che altri paesi utilizzeranno questo sistema come copertura, anche se l'amministrazione Trump ha minacciato di limitare la condivisione delle informazioni se Parigi, Berlino e Londra procederanno. L’America ha sempre bisogno di un nemico.
Concludendo, gli Stati Uniti sono giustamente preoccupati per le ambizioni tecnologiche della Cina. Ma per contrastarli con successo, Washington ha bisogno di adottare la tecnologia delle telecomunicazioni Huawei, i politici in Africa, Europa e America Latina si stanno già muovendo in tal senso. Per molti paesi, i vantaggi di un 5G veloce ed economico superano il rischio per la sicurezza rappresentato da Huawei. Se Washington vuole cambiare corsia, dovrebbe fornire ad amici e alleati un'alternativa finanziariamente sostenibile, magari usando la US International Development Finance Corporation per fornire prestiti per finanziare le apparecchiature Ericsson o Nokia. Partendo dal presupposto che le reti dominate dai fornitori cinesi sono vulnerabili agli attacchi informatici.
Inoltre dovrebbe investire ed incoraggiare le aziende ad iniziare la ricerca sulle tecnologie 6G che probabilmente supereranno il 5G tra 15 anni.
L'amministrazione Trump ha scelto di contrastare la crescente influenza digitale della Cina. Questo disaccoppiamento potrebbe rallentare i progressi della Cina a breve termine, ma alla fine probabilmente rafforzerà la mano di Pechino. Tra qualche anno, Washington potrebbe guardare indietro e rendersi conto che le sue politiche non hanno soppresso lo sviluppo tecnologico cinese, ma l'hanno accelerato.



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mercoledì 19 marzo 2014

Il domino comincia a cadere in Cina

Dimenticate per un attimo che siamo in periodo di tapring. Dimenticate la situazione in Ucraina di cui abbiamo già ampiamente discusso. Il più grande rischio per l'economia mondiale e i mercati finanziari in questo momento è la situazione della Cina. Ciò che sta accadendo in Cina in questo periodo mi ricorda molto la situazione della Corea del Sud nel 1990, prima del crollo di quella economia nel 1998.

Proprio come la Cina ora, la Corea del Sud era immatura, il sistema finanziario crollò perchè lo Stato rifornì di denaro a buon mercato le grandi imprese politicamente favorite. Alimentato da una dieta costante di denaro a buon mercato, queste aziende hanno continuato ad aggiungere ad aumentare la propria redditività e remunerazione del capitale. Semplicemente concentrate sulla produzione e ampliando le loro dimensioni. Hanno impiegato più persone rendendo tutti più felici. Ma nel frattempo stavano prendendo in prestito sempre più denaro, finché alla fine tutto crollò sotto il peso del debito, quando la liquidità fu prosciugata.

Niente stimoli artificiali e basta con il pessimismo. È stato questo il messaggio del premier cinese Li Keqiang in chiusura del suo intervento alla sessione annuale del Congresso nazionale del popolo (il parlamento cinese). Che tradotto può suonare più o meno così: per raggiungere l'obiettivo di crescita stabilito per il 2014 - il 7,5% - la Cina deve puntare sulla «flessibilità» (parola di Li) del proprio sistema economico e non su una pioggia di denaro pubblico che finirebbe inevitabilmente per incancrenire problemi già abbastanza gravi.

Stime PIL Cina nel 2014

Prima della Corea, la stessa cosa accadde in Giappone, un gigante con un debito insostenibile che ha portato il miracolo economico in ginocchio per 20 anni. Ma le bolle del debito coreano e giapponese non sono nulla in confronto a quello che potrebbe accadere oggi in Cina. Considerate che negli ultimi cinque anni, i cinesi hanno creato 16 miliardi di dollari di credito che ora circola nell'economia, finanziamentoi a città fantasma e progetti di infrastrutture inutili.

Una volta data la spintarella al mercato immobiliare, tutti i cinesi hanno cominciato a investire tutti i risparmi, gonfiando ulteriormente la bolla, perché un sistema finanziario bloccato impedisce loro di piazzare denaro in altri settori. Ora, Pechino vuole evitare di fare lo stesso errore e, già che c'è, vuole mettere mano ai problemi che si trascinano da allora. È questo il senso delle riforme lanciate fin dal novembre 2013 durante il Terzo Plenum del Partito comunista cinese e ribadite dal premier di Pechino.

La superficie pro capite in Cina è ora di 30 metri quadrati (circa 320mq) a persona. In Giappone era allo stesso livello nel 1988. E l'economia scoppiò l'anno successivo. La cosa più sorprendente sono i 16.000 miliardi dollari di credito, il doppio degli 8000 miliardi dollari in credito che la Cina ha creato negli ultimi 5000 anni.

Spezziamo una lancia a favore del Dragone, il governo ha riconosciuto d'avere un problema. Si rende conto che non può più tenere la diga, si sta rompendo. Nelle ultime due settimane, Chaori Solar e Haixin Steel sono state autorizzate al default, cioè non sono stati messi in liquidità. Questa è la prima volta nella storia moderna della Cina che il paese ha avuto un default, figuriamoci due. Non possono più mantenere il gioco e le tessere del domino stanno cominciando a cadere.

Naturalmente il governo cinese sostiene di poter controllare l'impatto di queste insolvenze societarie. Ma come abbiamo visto durante la crisi dei sub-prime negli Stati Uniti Stati, la complessa rete di interconnessioni del sistema finanziario significa che stanno giocando col fuoco. Mi aspetto molti più inadempienze in Cina nelle prossime settimane e mesi. Mi aspetto che alcune importanti istituzioni finanziarie cinesi presentino bilanci pericolosi. E il governo cinese potrebbe completamente il controllo della situazione.

Le mie raccomandazioni in prospettiva

1. Se avete qualche esposizione in titoli cinesi, o Yuan cinese, vi consiglio caldamente di analizzare bene la situazione prima di continuare a mantenere l'esposizione.

2. Se si dispone di investimenti in produttori di minerale di ferro o di rame è meglio considerare una uscita, la domanda cinese potrebbe calare e questo indicherebbe una caduta dei prezzi con conseguenti problemi per queste società.

Ma non è tutto negativo, se il governo cinese riesce a mantenere un pugno di ferro di fronte all'inflazione e al problema immobiliare, il paese nel lungo periodo non soffrirà. Le lezioni dai mercati come la Corea del Sud e Indonesia, nel periodo successivo alla crisi economica asiatica del 1997-1999, sono chiare. Se la Cina liberalizza i mercati finanziari a fronte di una crisi e chiude banche insolventi, emergerà in una posizione molto più forte una volta terminata la crisi.

In quel caso ci saranno un sacco di soldi per fare acquisti di azioni cinesi di buona qualità durante la crisi. Ma, per ora, è il momento di prepararsi ad una crisi che pare quasi inevitabile. La scommessa più grande per la Cina attuale è quindi proprio quella di contenere il calo della crescita dovuto alla dismissione del vecchio modello 'fabbrica del mondo' per il tempo necessario a compiere la grande trasformazione.

venerdì 26 luglio 2013

La bolla cinese, il calo del PIL coperto dalle uscite della FED



Lo S&P500 la scorsa settimana ha toccato nuovi massimi grazie anche alle dichiarizioni del presidente della Fed, Ben Bernake, il quale ha lasciato intendere che il ridimensionamento dei bond non è una cosa certa al 100%. Questo ha fatto si che lo sguardo degli investitori si allontanasse dai deludenti macro cinesi, fino a poco tempo fa ritenuto il motore economico del mondo, ma che ora ha bisogno di una messa a punto per evitare uno stallo.

La scorsa settimana infatti è stato reso noto il PIL cinese, il risultato è stato al di sotto delle stime, 7,5% contro il 7,7% e addirittura ben al di sotto del 9% della media degli ultimi 15 anni. Gli investitori sembrano non aver preso visione di queste informazioni, è come se fossero passate inosservate ma sono molto importanti, basti pensare che appena 3 mesi fa la Cina aveva mostrato un calo del PIL al 7.7% e lo S&P500 scese del 2.3%, in un solo giorno.



Ma allora perchè questa volta l'America non ha dato ascolto al calo cinese ? A differenza di 3 mesi fa, gli investitori sono convinti che i responsabili politici cinesi pomperanno liquidità per stimolare di nuovo una crescita, il mercato a questo punto sembra aver accettato come "normale" il calo dell'economia asiatica. Infatti, la Banca Popolare Cinese prevede una crescita moderata intorno al 7.5% per quest'anno, ma non siamo sicuri possano mantenere questo andamento per molto.

L'obiettivo del 7.5% secondo noi è ottimistico. I leader cinesi stanno spingendo il paese ad un radicale cambiamento economico, una trasformazione epocale, sono finiti i tempi di boom delle esportazioni e della spesa in infrastrutture. La Cina vuole vedere un aumento dei consumi interni e una riduzione della dipendenza dei prestiti delle proprie aziende, questo potrebbe indicare una crescita ben al di sotto delle loro stime.

Questi dati dovrebbero preoccupare gli investitori americani, infatti la grande crescita dello S&P500 di quest'anno è stata guidata da un aumento del crescente rapporto prezzo/utili e non dall'aumento degli utili in se, ne sono testimonianze le ultime trimestrali di colossi come Coca Cola e MacDonald. C'è un limite però a quanto gli investitori pagheranno per queste azioni, il che significa che lo S&P500 potrebbe vedere un calo per la fine dell'anno, almeno fino a quando la Cina continuerà a deludere. Il gigante asiatico infatti, rappresenta il 5% dei guadagni dello S&P500. Potrebbe non sembrare poi così tanto, ma lo è, ve lo assicuro, soprattutto se si pensa che la Cina è il primo importatore al mondo di materie prime e ha investito in infrastrutture americane quasi il 2%. Alcuni titoli hanno investito molto nel consumismo cinese, Mead Johnson Nutrition (MJN) e Wal-Mart Stores (WMT), per fare qualche esempio. Potrebbe essere solo l'inizio, Secondo Scott Minerd, Guggenheim Partners Global Chief Investment Officer, i settori dei materiali industriali, tecnologia e informazioni potrebbero farne le spese in un eventuale calo cinese.
Entro la fine dell'anno, vedremo lo stesso effetto in settori ora vediamo in salute. Le azioni in quei settori che ottengono una grande parte delle vendite provenienti dalla Cina comprendono Dow Chemical (DOW), Altera (ALTR), Expeditors Internazionale (EXPD) e General Electric (GE).
In alcuni casi, gli investitori hanno punito severamente le società focalizzate in Cina, un esempio potrebbe essere Las Vegas Sands (LVS). I suoi casinò di Macau rappresentano circa il 60% dei ricavi, rispetto a circa il 30% della MGM Resorts International (MGM). Durante i primi tre mesi dell'anno LVS ha guadagnato il 22%, mentre MGM è salito del 13%. Nel secondo trimestre tuttavia, LVS ha perso il 6% mentre MGM ha guadagnato il 12%.

Eppure i giocatori continuano a entrare nei casinò e a spendere. I ricavi lordi hanno toccato il record di 10.8 miliardi di dollari nel secondo trimestre e le vendite sono cresciute del 15%. Nessuno si aspetta che continui a salire così velocemente, però c'è spazio per continuare a crescere, diciamo intorno l'11% per la fine dell'anno, anche se la Cina dovesse continuare a rallentare.

Questo è dovuto in parte al fatto che Macau è all'inizio rispetto alla mecca del gioco come Las vegas. Solo l'1.3% delle persone in Asia ha visitato un casinò, l'1.3%. E' pazzesco quanto sia vergine questo settore. Nel frattempo Las Vegas Sands il 24 Luglio ha postato i propri risultati, ha totalizzato un fatturato di 3,24 miliardi dollari. I 22 analisti interpellati da S&P Capital IQ stimavano un fatturato di 3,30 miliardi. Ha registrato vendite intorno al 26% superiori a quello dell'anno precedente nello stesso trimestre.

Le informazioni e i dati sono ritenuti accurati, ma non ci sono garanzie. Domino Solutions non è un consulente d'investimento e non offre consigli specifici di investimento. Le informazioni qui contenute sono solo a scopo informativo

domenica 14 ottobre 2012

Le esportazioni della Cina sorprendono gli analisti


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Le esportazioni cinesi sono cresciute del 9,9% ad un livello record di 186,4 miliardi di dollari nel mese di Settembre, il dato è stato riferito dalla dogana generale della Cina Sabato 13 Ottobre 2012.

La crescita rispetto ad Agosto è stata del 2,7%, ben al di sopra della media del 5% stimato da 13 economisti del Dow Jone Newswire.

Le importazioni sono salite del 2,4% a 158,7 miliardi di dollari, dati sempre mostrati dal governo cinese. C’è stato un miglioramento del 2,6% rispetto al mese di Agosto su una previsione media del 2% secondo le stime del Wall Street Journal.

Il surplus commerciale di Settembre ha ampliato di 27,67 miliardi di dollari dai 26,7 del mese di Agosto, superando una previsione media di 22,4 miliardi di dollari.



Gli economisti hanno cercato per mesi segni che l’economia cinese fosse in crisi o pronta ad una bolla, bisogna riconoscere che gli ultimi dati mostravano una rallentamento preoccupante, ma Settembre ha mostrano chiaramente che la salute del drago asiatico è ottima e che l’economia globale potrebbe essere pronta ad accelerare il passo.

Per i primi tre mesi dell’anno, la Cina ha mostrato un surplus commerciale di 148,3 miliardi di dollari, aiutato dalla crescita delle esportazioni dell’elettronica e delle scarpe.

I dati sul commercio cinese sono incoraggianti, migliori anche di quelli della Corea Del Sud e di Taiwan. Gli analisti hanno riferito che la positiva sorpresa della Cina potrebbe indicare una tendenza positiva nella complessità dei dati del quarto trimestre.

Non è tutt’Oro quello che luccia.

Prima di cantar vittoria però dobbiamo fare i conti con dati macro del terzo trimestre che potrebbero minare leggermente la crescita cinese per la fine del 2012.

La Cina nei prossimi giorni ha anche in programma la presentazione dei dati sulla produzione industriale del terzo trimestre e del prodotto interno lordo (PIL), dato che uscirà Giovedì. che potrebbero dare segnali di salute della seconda economia più forte del mondo. Le stime indicano che ci potrebbe essere un rallentamento del PIL intorno al 7,4% dal 7,6% del secondo trimestre.

Il Fondo monetario Internazionale ha tagliato le sue previsioni di crescita per la Cina al 7,8% dall’8% stimato in precedenza per il 2012, ciò mette in guardia i paesi asiatici emergenti i quali potrebbero trovarsi ad affrontare rischi che potrebbero aggravare la situazione in Europa e negli Stati Uniti, i quali sono i due principali acquirenti della Cina. l’FMI ha anche tagliato le previsioni di crescita per l’India, la terza più grande economia.

Le preoccupazioni per un rallentamento della crescita cinese hanno colpito alcune aziende negli Stati Uniti. La Nike (NKE) per esempio è scesa Venerdì dello 0,51% registrando un calo di ordini cinesi. La più grande società di scarpe da ginnastica de mondo ha visto per la prima volta dal 2008 un calo delle vendite nel paese asiatico.

Burberry Group, la casa di moda inglese, venerdì è scesa dello 0,97% dato il rallentamento degli ordini dei suoi capi proprio dalla Cina.

Le informazioni e i dati sono ritenuti accurati, ma non ci sono garanzie. Domino Solutions non è un consulente d'investimento e non offre consigli specifici di investimento. Le informazioni qui contenute sono solo a scopo informativo

mercoledì 15 dicembre 2010

Australia, perchè hai bisogno di averla in portafoglio

Se stai pensando di diversificare il tuo portfolio, magari in titoli, fondi, ETF o qualsiasi altro tipo di investimento...non ti dimenticare dell'Australia. I vantaggi di questo paese dell'area Oceania sono molteplici, qui di fianco ne mostriamo solo alcuni tra i più importanti:

- E' ricco di materie prime.
- Uno studio delle Nazioni Unite nel 2010 la mette al secondo posto, dietro solo alla Norvegia, in termini di migliore paesi in cui vivere. I fattori misurati sono la ricchezza, sicurezza, uguaglianza e serenità del popolo.
- Nel corso degli ultimi anni, gli australiani sono riusciti a ridefinire la loro immagine di un paradiso per golfisti e barboni da spiaggia in un paese dai primi posti come crescita globale.

Durante gli ultimi anni di crisi molte nazioni hanno dovuto subire grosse battute di arresto, ma l'Australia è riuscita ad evitare il recente tracollo finanziario. Il paese è stato in gran parte in grado di schivare la crisi grazie alle sue forti relazioni commerciali con i paesi del mercato asiatico e i paesi emergenti.

Non è una sorpresa quindi vedere che la Cina è il principale partner delle esportazioni, pari a 46,4 miliardi dollari nel 2009. La sua quota sul totale delle esportazioni australiane è quadruplicato fino ad arrivare al 25 %.

Il Giappone con i suoi 37,1 miliardi dollari, la Corea del Sud con 16,5 miliardi dollari e India con 16,2 miliardi dollari prendono rispettivamente il secondo, il terzo e il quarto posto. Per contro l'asse commerciale Australia-Stati Uniti è appena di 9,5 miliardi dollari all'anno.

Per rafforzare ulteriormente le relazioni commerciali con l'Asia, l'Australia ha firmato un accordo di libero scambio (FTA) con l'asssociazione delle 10 nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN) e sta anche negoziando accordi di libero scambio con Cina, Giappone e Corea. Inoltre l'Australia sta conducendo studi di fattibilità per accordi commerciali con l'India.

Non c'è dubbio che la domanda proveniente dall'Asia subirà una impennata nelle infrastrutture energetiche dell'Australia. Chevron Corp (CVX) e ConocoPhillips (COP) sono tra le compagnie energetiche che stanno investendo circa 200 miliardi di dollari in progetti di gas naturale sul suolo australiano.

Western Australia sarà una grande beneficiaria. La disoccupazione nella regione è scesa al 4,5%, grazie in parte a quanto Chevron Corp (CVX) definisce una "mega" iniziativa di gas naturale. I progetti Wheatstone e Gorgon sono direttamente legati alla massiccia domanda di espansione cinese e al continuo fabbisogno energetico.  Chevron Corp (CVX) aumenterà la sua spesa in conto capitale del 20% nel 2011 a 26 miliardi di dollari, con circa 4,4 miliardi accantonati per i suoi progetti nel Western Australia.

Dall'altra parte del paese, nel Queensland, Royal Dutch Shell (RDS.A) inizierà un progetto da 15 miliardi di dollari di gas naturale, che creerà 5.000 posti di lavoro. Soffermiamoci un attimo su questo dato, i macroeconomici parlano chiaro, la disoccupazione in Australia sta calando, grazie a questi progetti ma non solo. Come mostrato dal grafico qui sotto, il dato della disoccupazione è sceso dal 5,8% del 2004 al 5,2% di oggi.



Questo ha portato ad un aumento del mercato azionario australiano, così come il dollaro australiano, che ha raggiunto la parità con il dollaro statunitense il mese scorso. La Reserve Bank of Australia ha reagito mantenendo il tasso di interesse di riferimento costante al 4,75%, citando la necessità di combattere l'attesa inflazione.

Ma l'Australia non è solo materie prime ed energia. I legami economici tra Australia e Asia si sono allargati dal settore delle risorse ad altri. Quello finanziario per dirne uno, il quale comprende già il 40% del mercato azionario e l'iShares MSCI Italy Index (EWA) assegna quasi il 45% delle sue attività a società finanziarie.

L'Australia rappresenta un investimento rischioso ma dalle grandi prospettiva grazie all'onda economica cinese e asiatica. Finché l'onda rimane forte le aziende australiane correrà con essa.

domenica 5 dicembre 2010

I metalli preziosi pronti al Break Out sulla domanda cinese e le tensioni coreane

Oro

L'oro è più alto in tutte le valute anche questa mattina e si avvia a un guadagno settimanale in dollari per la seconda settimana di fila (e anche di alcune tra le principali valute), in quanto le importazioni della Cina sono salite e il rischio geopolitico nella penisola coreana rimane elevato, aggiungiamoci l'incertezza sull'euro e il gioco è fatto, la domanda sale perchè ci stiamo avviando sempre più ad un riparo sicuro da parte dei governi.

L'oro è attualmente scambiato a $ 1,390.30/oz, € 1,054.78 e £ 890.30/oz.



L'oro ha consolidato questi livelli e sembra esserci un forte sostegno a $ 1.320/oz. La resistenza è di $ 1.400/oz e il nominale è di $ 1,424.60/oz.  E' importante ricordare che l'oro rimane oltre il 30% sotto l'inflazione regolata di $ 2.300/oz nel 1980.

Mentre i mercati azionari e obbligazionari hanno reagito positivamente alla decisione della BCE di intervenire nel mercato obbligazionario, la preoccupazione è più che mai che questa sia l'ennesima panacea a breve termine che si limiterà a ritardare la resa dei conti. E 'difficile capire come l'attuale crisi finanziaria globale possa essere risolta senza la ristrutturazione del debito di massa, svalutazioni e cancellazioni di debiti. L'alternativa sono le svalutazioni competitive e l'avvilimento che porterebbero probabilmente alla stagflazione e ad una remota possibilità ma crescente forma di iperinflazione.

Il livello di ignoranza per quanto riguarda i fondamentali di guida del mercato dell'oro resta molto alto. I cosiddetti esperti continuano a dire che l'oro e l'argento sono rischiosi, sopravvalutato e ipotizzano una bolla speculativa. Questo nonostante l'oro stia rimanendo ben al di sotto della inflazione regolata del 1980 e l'argento a meno di $ 30/oz ben il 33% inferiore al prezzo nominale di $ 50/oz di 30 anni fa.

Il movimento del prezzo futuro di tutte le classi di attività è "inconoscibile" - soprattutto nel breve periodo. Dato il livello di incertezza finanziaria, economica e politica visto oggi, questo è un caso particolare. Pertanto, una reale diversificazione e una attività di qualità attraverso scelte a lungo termine rimangono l'unico modo per proteggere, preservare e far crescere la propria ricchezza.



Argento

L'argento è quasi l'1% in più in termini di dollari e questa settimana è aumentato in tutte le principali valute. La maggior parte degli analisti avevano sbagliato sull'argento negli ultimi anni e molti rimangono ribassista nonostante i fondamentali siano molto forti.

L'argento è attualmente in commercio a $ 28.76/oz, € 21.69/oz e £ 18.37/oz.

Platino

Platino è attualmente scambiato a $ 1,718.00/oz, il palladio a $ 762.00/oz e il rodio a $ 2.200/oz.

Notizie della settimana sui metalli preziosi

(Bloomberg) - Undici tra 16 traders, investitori e analisti interpellati da Bloomberg (compresi GoldCore), o il 69%, ha detto che il metallo salirà la prossima settimana vista la preoccupazione per la crisi del debito in Europa e le tensioni militari nella penisola coreana spinta ad una protezione della ricchezza.

(Bloomberg) - Le importazioni di oro da parte dell'India, il più grande acquirente del mondo, probabilmente saliranno da 20 a 25 tonnellate nel mese di Novembre, Prithviraj Kothari, presidente della Bombay Bullion Association, ha detto al telefono, citando dati provvisori. Gli acquisti di un anno prima erano di 30,7 tonnellate. Le importazioni sono diminuite in Novembre dopo che gli acquisti nel mese di Ottobre sono quasi raddoppiati a 70 tonnellate. Le importazioni di Ottobre dello scorso anno sono state di 36,2 tonnellate.

(Bloomberg) - La Cina aumenterà l'investimento in oro, Zhang Bingnan, vice presidente presso la China Gold Association, ha detto a Shanghai. L'interesse potrebbe essere aumentato attraverso lo sviluppo di trading del mercato dell'oro e investimenti nei settori di fabbricazione e minerario.

(Bloomberg) - La Cina dovrebbe considerare di aumentare le sue riserve d'oro come una strategia a lungo termine per spianare la strada all'internazionalizzazione dello yuan, ha scritto il consigliere della banca centrale Xia Bin al China Business News. Il paese deve rivedere la sua gestione estera.

(Financial Times) - Le importazioni di oro in Cina hanno registrato un'impennata quest'anno.
L'aumento, che arriva mentre gli investitori cinesi cercano assicurazioni contro la crescente inflazione e rivalutazione monetaria, mette Pechino sulla buona strada per superare l'India come il più grande consumatore mondiale di oro.

Pechino ha incoraggiato il consumo al dettaglio, con un annuncio in Agosto per promuovere e regolamentare il mercato locale dell'oro, compreso l'ampliamento del numero di banche autorizzate a importare il metallo prezioso. Xiangrong Shen, presidente del Shanghai Gold Exchange, che ha rivelato i numeri delle importazioni, ha detto che le incertezze circa le economie cinese e globale, e le aspettative inflazionistiche, hanno fatto dell'oro uno strumento di copertura molto popolare.

L'aumento della domanda cinese potrebbe ulteriormente gonfiare i prezzi dell'oro. L'ondata di importazioni di oro in Cina fa ben sperare per alcuni dei principali gestori al mondo degli hedge fund, tra cui David Einhorn di Greenlight Capital e John Paulson della Paulson & Co, che hanno investito pesantemente in lingotti, e alcuni minatori come Barrick Gold di Canada, Newmont Mining e AngloGold Ashanti del Sud Africa.