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venerdì 19 luglio 2019

L’America deve competere con le aziende cinesi, non vietarle

Ormai sono passati 18 mesi da quanto l’amministrazione Trump ha intrapreso la strada dei dazi doganali contro la Cina e ha iniziato la guerra a Huawei, il gigante delle telecomunicazioni cinese. Accuse, sanzioni e pressioni diplomatiche, sembra tutto un gioco per l’America. Ma tutto parte, come al solito, dalla cima. Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che blocca le aziende statunitensi dall'uso di attrezzature e servizi prodotti da società controllate dai "governi avversari". Trump non ha puntato il dito su Huawei o la Cina, ma credo che il messaggio fosse chiaro.
Con quella firma, Trump ha di fatto inserito Huawei e 68 delle sue società affiliate in un elenco di aziende a cui le società statunitensi potrebbero non vendere componenti senza l'approvazione del governo, presso il Dipartimento del Commercio. L’ordine esecutivo è una minaccia seria, ma essere presente in quella lista è un danno incalcolabile. Infatti, nel momento in cui il nome dell’azienda cinese appare, come un ricercato, nella lista nera, quattro enormi società tecnologiche americane, Broadcom, Intel, Qualcomm e Xilinx, hanno immediatamente smesso di fare affari con Huawei. Senza contare il ritiro strategico di Google che annunciato che non avrebbe più fornito il sistema operativo mobile Android agli smartphone Huawei.
Duro colpo per Huawei, Ren Zhengfei, in fondatore, qualche giorno dopo in una conferenza ha dichiarato che prevede un calo dei ricavi di $ 30 miliardi nei prossimi due anni a causa delle azioni degli Stati Uniti, in calo da $ 107 miliardi su base annua nel 2018.
A sentire il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, Huwaei con la sua 5G, sarebbe una potenziale minaccia per l’America, perché consentirebbe alla Cina non solo di accedere a dati preziosi ma anche di "controllare l'Internet del futuro" e "dividere le alleanze occidentali attraverso bit e byte".
Come ho già spiegato altre volte, in alcune dirette o articoli, l’America fa bene a concentrarsi su una sana competizione con le aziende cinesi. Da una sana competizione, esce sempre il prodotto migliore. La Cina ha lavorato sodo nel tentativo di costruire il cyberspazio a sua immagine, usando la regolamentazione interna, l'innovazione tecnologica, aziende di livello mondiale e diplomazia straniera. Il fatto è che l’America non ha ancora capito che questa crociata servirà solo ad aiutare un paese già in forte espansione. L'accento posto dall'amministrazione sul disaccoppiamento degli ecosistemi scientifici e tecnologici statunitensi e cinesi rischia di rallentare l'innovazione americana e di accelerare i piani cinesi di indipendenza tecnologica.
Piuttosto che tentare di costringere gli altri paesi ad abbandonare Huawei, gli Stati Uniti dovrebbero offrire loro alternative che possano competere sul prezzo e sull'efficienza. Washington dovrebbe lavorare con i governi alleati per migliorare la loro sicurezza informatica. E dovrebbe investire nella ricerca per padroneggiare nella futura tecnologia 5G.

5G

Certo da lato è vero, la 5G porterà nuove minacce. Il governo americano è convinto che la 5G di Huawei non è sicura, questa idea nasce dal fatto che l’azienda è cinese, o perché realmente c’è un problema con il futuro della rete? Il problema sta nel fornire il flusso dati, a differenza delle reti di terza o quarta generazione, il produttore distribuirà un flusso di aggiornamenti software più velocemente di quanto gli ispettori possano verificare le informazioni. L'architettura del sistema 5G richiede quindi agli utenti di fidarsi del fornitore. Non è facile. Ovviamente i funzionari di Huawei negano strenuamente di essere in qualche modo legati al governo cinese. Perché dovrebbe ammettere il contrario.
Sta di fatto però, che altri paesi non vogliono inimicarsi Trump, ma allo stesso modo vedono un beneficio economico enorme nel mantenere vivi i contatti con la Cina. Francia, Germania e Regno Unito sembrano aver concluso che possono mitigare i rischi dell'utilizzo dei prodotti Huawei utilizzando diversi fornitori accanto alle apparecchiature Huawei, mantenendo la società cinese fuori dalle reti più sensibili, monitorando continuamente le reti e la progettazione ridondante e resiliente in modo che se l'attrezzatura Huawei viene compromessa, l'intero sistema non va in crash. È molto probabile che altri paesi utilizzeranno questo sistema come copertura, anche se l'amministrazione Trump ha minacciato di limitare la condivisione delle informazioni se Parigi, Berlino e Londra procederanno. L’America ha sempre bisogno di un nemico.
Concludendo, gli Stati Uniti sono giustamente preoccupati per le ambizioni tecnologiche della Cina. Ma per contrastarli con successo, Washington ha bisogno di adottare la tecnologia delle telecomunicazioni Huawei, i politici in Africa, Europa e America Latina si stanno già muovendo in tal senso. Per molti paesi, i vantaggi di un 5G veloce ed economico superano il rischio per la sicurezza rappresentato da Huawei. Se Washington vuole cambiare corsia, dovrebbe fornire ad amici e alleati un'alternativa finanziariamente sostenibile, magari usando la US International Development Finance Corporation per fornire prestiti per finanziare le apparecchiature Ericsson o Nokia. Partendo dal presupposto che le reti dominate dai fornitori cinesi sono vulnerabili agli attacchi informatici.
Inoltre dovrebbe investire ed incoraggiare le aziende ad iniziare la ricerca sulle tecnologie 6G che probabilmente supereranno il 5G tra 15 anni.
L'amministrazione Trump ha scelto di contrastare la crescente influenza digitale della Cina. Questo disaccoppiamento potrebbe rallentare i progressi della Cina a breve termine, ma alla fine probabilmente rafforzerà la mano di Pechino. Tra qualche anno, Washington potrebbe guardare indietro e rendersi conto che le sue politiche non hanno soppresso lo sviluppo tecnologico cinese, ma l'hanno accelerato.



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mercoledì 19 marzo 2014

Il domino comincia a cadere in Cina

Dimenticate per un attimo che siamo in periodo di tapring. Dimenticate la situazione in Ucraina di cui abbiamo già ampiamente discusso. Il più grande rischio per l'economia mondiale e i mercati finanziari in questo momento è la situazione della Cina. Ciò che sta accadendo in Cina in questo periodo mi ricorda molto la situazione della Corea del Sud nel 1990, prima del crollo di quella economia nel 1998.

Proprio come la Cina ora, la Corea del Sud era immatura, il sistema finanziario crollò perchè lo Stato rifornì di denaro a buon mercato le grandi imprese politicamente favorite. Alimentato da una dieta costante di denaro a buon mercato, queste aziende hanno continuato ad aggiungere ad aumentare la propria redditività e remunerazione del capitale. Semplicemente concentrate sulla produzione e ampliando le loro dimensioni. Hanno impiegato più persone rendendo tutti più felici. Ma nel frattempo stavano prendendo in prestito sempre più denaro, finché alla fine tutto crollò sotto il peso del debito, quando la liquidità fu prosciugata.

Niente stimoli artificiali e basta con il pessimismo. È stato questo il messaggio del premier cinese Li Keqiang in chiusura del suo intervento alla sessione annuale del Congresso nazionale del popolo (il parlamento cinese). Che tradotto può suonare più o meno così: per raggiungere l'obiettivo di crescita stabilito per il 2014 - il 7,5% - la Cina deve puntare sulla «flessibilità» (parola di Li) del proprio sistema economico e non su una pioggia di denaro pubblico che finirebbe inevitabilmente per incancrenire problemi già abbastanza gravi.

Stime PIL Cina nel 2014

Prima della Corea, la stessa cosa accadde in Giappone, un gigante con un debito insostenibile che ha portato il miracolo economico in ginocchio per 20 anni. Ma le bolle del debito coreano e giapponese non sono nulla in confronto a quello che potrebbe accadere oggi in Cina. Considerate che negli ultimi cinque anni, i cinesi hanno creato 16 miliardi di dollari di credito che ora circola nell'economia, finanziamentoi a città fantasma e progetti di infrastrutture inutili.

Una volta data la spintarella al mercato immobiliare, tutti i cinesi hanno cominciato a investire tutti i risparmi, gonfiando ulteriormente la bolla, perché un sistema finanziario bloccato impedisce loro di piazzare denaro in altri settori. Ora, Pechino vuole evitare di fare lo stesso errore e, già che c'è, vuole mettere mano ai problemi che si trascinano da allora. È questo il senso delle riforme lanciate fin dal novembre 2013 durante il Terzo Plenum del Partito comunista cinese e ribadite dal premier di Pechino.

La superficie pro capite in Cina è ora di 30 metri quadrati (circa 320mq) a persona. In Giappone era allo stesso livello nel 1988. E l'economia scoppiò l'anno successivo. La cosa più sorprendente sono i 16.000 miliardi dollari di credito, il doppio degli 8000 miliardi dollari in credito che la Cina ha creato negli ultimi 5000 anni.

Spezziamo una lancia a favore del Dragone, il governo ha riconosciuto d'avere un problema. Si rende conto che non può più tenere la diga, si sta rompendo. Nelle ultime due settimane, Chaori Solar e Haixin Steel sono state autorizzate al default, cioè non sono stati messi in liquidità. Questa è la prima volta nella storia moderna della Cina che il paese ha avuto un default, figuriamoci due. Non possono più mantenere il gioco e le tessere del domino stanno cominciando a cadere.

Naturalmente il governo cinese sostiene di poter controllare l'impatto di queste insolvenze societarie. Ma come abbiamo visto durante la crisi dei sub-prime negli Stati Uniti Stati, la complessa rete di interconnessioni del sistema finanziario significa che stanno giocando col fuoco. Mi aspetto molti più inadempienze in Cina nelle prossime settimane e mesi. Mi aspetto che alcune importanti istituzioni finanziarie cinesi presentino bilanci pericolosi. E il governo cinese potrebbe completamente il controllo della situazione.

Le mie raccomandazioni in prospettiva

1. Se avete qualche esposizione in titoli cinesi, o Yuan cinese, vi consiglio caldamente di analizzare bene la situazione prima di continuare a mantenere l'esposizione.

2. Se si dispone di investimenti in produttori di minerale di ferro o di rame è meglio considerare una uscita, la domanda cinese potrebbe calare e questo indicherebbe una caduta dei prezzi con conseguenti problemi per queste società.

Ma non è tutto negativo, se il governo cinese riesce a mantenere un pugno di ferro di fronte all'inflazione e al problema immobiliare, il paese nel lungo periodo non soffrirà. Le lezioni dai mercati come la Corea del Sud e Indonesia, nel periodo successivo alla crisi economica asiatica del 1997-1999, sono chiare. Se la Cina liberalizza i mercati finanziari a fronte di una crisi e chiude banche insolventi, emergerà in una posizione molto più forte una volta terminata la crisi.

In quel caso ci saranno un sacco di soldi per fare acquisti di azioni cinesi di buona qualità durante la crisi. Ma, per ora, è il momento di prepararsi ad una crisi che pare quasi inevitabile. La scommessa più grande per la Cina attuale è quindi proprio quella di contenere il calo della crescita dovuto alla dismissione del vecchio modello 'fabbrica del mondo' per il tempo necessario a compiere la grande trasformazione.

venerdì 26 luglio 2013

La bolla cinese, il calo del PIL coperto dalle uscite della FED



Lo S&P500 la scorsa settimana ha toccato nuovi massimi grazie anche alle dichiarizioni del presidente della Fed, Ben Bernake, il quale ha lasciato intendere che il ridimensionamento dei bond non è una cosa certa al 100%. Questo ha fatto si che lo sguardo degli investitori si allontanasse dai deludenti macro cinesi, fino a poco tempo fa ritenuto il motore economico del mondo, ma che ora ha bisogno di una messa a punto per evitare uno stallo.

La scorsa settimana infatti è stato reso noto il PIL cinese, il risultato è stato al di sotto delle stime, 7,5% contro il 7,7% e addirittura ben al di sotto del 9% della media degli ultimi 15 anni. Gli investitori sembrano non aver preso visione di queste informazioni, è come se fossero passate inosservate ma sono molto importanti, basti pensare che appena 3 mesi fa la Cina aveva mostrato un calo del PIL al 7.7% e lo S&P500 scese del 2.3%, in un solo giorno.



Ma allora perchè questa volta l'America non ha dato ascolto al calo cinese ? A differenza di 3 mesi fa, gli investitori sono convinti che i responsabili politici cinesi pomperanno liquidità per stimolare di nuovo una crescita, il mercato a questo punto sembra aver accettato come "normale" il calo dell'economia asiatica. Infatti, la Banca Popolare Cinese prevede una crescita moderata intorno al 7.5% per quest'anno, ma non siamo sicuri possano mantenere questo andamento per molto.

L'obiettivo del 7.5% secondo noi è ottimistico. I leader cinesi stanno spingendo il paese ad un radicale cambiamento economico, una trasformazione epocale, sono finiti i tempi di boom delle esportazioni e della spesa in infrastrutture. La Cina vuole vedere un aumento dei consumi interni e una riduzione della dipendenza dei prestiti delle proprie aziende, questo potrebbe indicare una crescita ben al di sotto delle loro stime.

Questi dati dovrebbero preoccupare gli investitori americani, infatti la grande crescita dello S&P500 di quest'anno è stata guidata da un aumento del crescente rapporto prezzo/utili e non dall'aumento degli utili in se, ne sono testimonianze le ultime trimestrali di colossi come Coca Cola e MacDonald. C'è un limite però a quanto gli investitori pagheranno per queste azioni, il che significa che lo S&P500 potrebbe vedere un calo per la fine dell'anno, almeno fino a quando la Cina continuerà a deludere. Il gigante asiatico infatti, rappresenta il 5% dei guadagni dello S&P500. Potrebbe non sembrare poi così tanto, ma lo è, ve lo assicuro, soprattutto se si pensa che la Cina è il primo importatore al mondo di materie prime e ha investito in infrastrutture americane quasi il 2%. Alcuni titoli hanno investito molto nel consumismo cinese, Mead Johnson Nutrition (MJN) e Wal-Mart Stores (WMT), per fare qualche esempio. Potrebbe essere solo l'inizio, Secondo Scott Minerd, Guggenheim Partners Global Chief Investment Officer, i settori dei materiali industriali, tecnologia e informazioni potrebbero farne le spese in un eventuale calo cinese.
Entro la fine dell'anno, vedremo lo stesso effetto in settori ora vediamo in salute. Le azioni in quei settori che ottengono una grande parte delle vendite provenienti dalla Cina comprendono Dow Chemical (DOW), Altera (ALTR), Expeditors Internazionale (EXPD) e General Electric (GE).
In alcuni casi, gli investitori hanno punito severamente le società focalizzate in Cina, un esempio potrebbe essere Las Vegas Sands (LVS). I suoi casinò di Macau rappresentano circa il 60% dei ricavi, rispetto a circa il 30% della MGM Resorts International (MGM). Durante i primi tre mesi dell'anno LVS ha guadagnato il 22%, mentre MGM è salito del 13%. Nel secondo trimestre tuttavia, LVS ha perso il 6% mentre MGM ha guadagnato il 12%.

Eppure i giocatori continuano a entrare nei casinò e a spendere. I ricavi lordi hanno toccato il record di 10.8 miliardi di dollari nel secondo trimestre e le vendite sono cresciute del 15%. Nessuno si aspetta che continui a salire così velocemente, però c'è spazio per continuare a crescere, diciamo intorno l'11% per la fine dell'anno, anche se la Cina dovesse continuare a rallentare.

Questo è dovuto in parte al fatto che Macau è all'inizio rispetto alla mecca del gioco come Las vegas. Solo l'1.3% delle persone in Asia ha visitato un casinò, l'1.3%. E' pazzesco quanto sia vergine questo settore. Nel frattempo Las Vegas Sands il 24 Luglio ha postato i propri risultati, ha totalizzato un fatturato di 3,24 miliardi dollari. I 22 analisti interpellati da S&P Capital IQ stimavano un fatturato di 3,30 miliardi. Ha registrato vendite intorno al 26% superiori a quello dell'anno precedente nello stesso trimestre.

Le informazioni e i dati sono ritenuti accurati, ma non ci sono garanzie. Domino Solutions non è un consulente d'investimento e non offre consigli specifici di investimento. Le informazioni qui contenute sono solo a scopo informativo