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mercoledì 19 luglio 2017

Petrolio, i motivi per cui crediamo un rally sopra i 55$ entro fine anno

I prezzi del petrolio greggio saliranno mediamente tra i 53 dollari al barile nel 2017 fino a 56 dollari al barile nel 2018. L’amministrazione statunitense per l’energia ha reso noto un report che mostra queste previsioni. La volatilità non sarà così male come nel 2016. I trader di commodities hanno alzato anche il livello di prezzo nei loro contratti futures. Secondo loro il prezzo potrebbe dunque spingersi da un minimo di 39 ad un massimo di 64 dollari al barile entro settembre 2017. Questo è un intervallo inferiore rispetto alla previsione del mese scorso.

Noi pensiamo che ci sia una grande probabilità che che il WTI torni sopra i 50 $. La previsione viene dopo che una serie di dati analizzati ha mostrato una certa speranza toro sul petrolio, scacciati dal mercato nel mese di giugno. Anche se ogni punto non è del tutto significativo, considerato che ci sono ancora punti chiave importante da risolvere.

I prezzi del petrolio hanno una oscillazione stagionale prevedibile. Si alzano in primavera, poiché i trader anticipano un’elevata domanda per le vacanze estive. Una volta che la domanda ha raggiunto il picco, i prezzi diminuiscono in autunno e in inverno. Allora perché i prezzi del petrolio sono così volatili? Ci sono vari motivi.

In primo luogo la produzione statunitense di petrolio di scisto e combustibili alternativi è aumentata. La produzione totale statunitense è salita a 9,4 milioni di barili al giorno nel 2015, il più alto da 9,6 milioni di barili nel 1970. Ad esempio, la settimana scorsa, nel rapporto mensile petrolifero dell’IEA, l’agenzia ha stimato che il tasso di conformità dell’OPEC è scivolato in basso causa l’aumento della produzione in Libia e Nigeria. L’aumento imprevisto della produzione probabilmente ritarderà il riequilibrio del mercato petrolifero, ha concluso l’IEA. L’IEA ha affermato che la domanda mondiale si espanderà quest’anno di 1,5 milioni di barili al giorno, ovvero un salto di 0,1 milioni di barili al giorno dalla stima dell’agenzia nel precedente mese.

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Un secondo motivo per cui i prezzi del petrolio stanno iniziando lentamente a salire è che il numero degli impianti americani, pur aumentando, si sta espandendo a un ritmo più lento. La settimana scorsa il conteggio dei pozzi è aumentato solo di 2, un numero piuttosto piccolo nel contesto dell’espansione di 14 mesi fa nella primavera del 2016. Nelle ultime tre settimane, il numero degli impianti petroliferi è aumentato solo di 7;

Nel precedente periodo di tre settimane il numero di impianti è salito di 25. I minori prezzi del petrolio stanno cominciando a spaventare le società di perforazione. Gli incrementi più piccoli stanno dando ai trader di petrolio la speranza che il boom di perforazione possa essere frenato, il che a sua volta contribuirebbe ad un mercato più ristretto.

Un terzo motivo è che gli Stati Uniti hanno pubblicato per due settimane consecutive un forte declino delle scorte. La IEA ha riportato inventari di 7,5 e 6,3 milioni di barili nelle rispettive due settimane, dopo diverse settimane di dati quasi piatti. E’ ancora presto per fare ipotesi, ma altre settimane di declino delle scorte fornirebbe di fatto l’idea di un lungo cammino verso un piano di prezzo superiore ai 48 dollari.

I prezzi del petrolio hanno raggiunto il loro record massimo di 145 dollari al barile nel 2008 e sono stati intorno ai 100 dollari al barile nel 2014. Allora l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico prevedeva che il prezzo del Brent avrebbe raggiunto il tetto dei 270 dollari entro il 2020. L’idea del petrolio a 200 dollari al barile sembra catastrofica per il modo di vivere americano. Ma la gente dell’Unione europea ha pagato l’equivalente di circa 250 dollari al barile per anni a causa delle tasse elevate. Ciò non ha impedito all’UE di essere il terzo consumatore di petrolio al mondo. Finché le persone hanno avuto il tempo di adattarsi, trovando nuovi modi per vivere con prezzi del petrolio più elevati.

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Inoltre il 2020 è solo a tre anni di distanza. Guardate come i prezzi volatili sono stati negli ultimi 10 anni. Nel marzo 2006, un barile di Brent Crude era venduto per circa 60$ ed è salito a 145$ nel 2008. Ha raggiunto il livello di circa 100$ nel 2014. E’ poi crollato a un livello più basso degli ultimi 13 anni a gennaio, quindi è raddoppiato ai livelli attuali. Se i produttori di petrolio scisto interrompono le trivellazioni e l’Iran non produce ciò che dice, i prezzi potrebbero tornare ai livelli storici di 70-100$ al barile. OPEC sta contando su di questo.

Un quarto motivo per cui c’è spazio per i prezzi più alti è il fatto che il mercato non sarà blindato da una maggiore produzione di Libia e Nigeria. Una delle ragioni per cui il prezzo del petrolio è diminuito nel corso dell’ultimo mese è stato ovviamente perchè la Libia è tornata. Ora è completamente scontata dal mercato. Inoltre i livelli di produzione più elevati dell’OPEC sono stati piuttosto banali.

Il sentiment più positivo sul mercato è visibile nelle recenti mosse fatte dagli investitori. I fondi hedge e altri gestori di denaro, dopo aver costruito un livello straordinario di posizioni short in giugno, hanno cominciato a liquidarle poche settimane fa. I dati più recenti mostrano che gli investitori hanno individuato un posizionamento più positivo in ciascuna delle due ultime settimane, un periodo che corrispondeva all’aumento dei prezzi del petrolio. I trader stanno cominciando a vedere con ottimismo alcuni sviluppi di mercato, anche se il tono generale è chiaramente ancora ribassista.

mercoledì 11 gennaio 2017

Investire nel 2017, quali sono i segnali macro da seguire

Il 2017 ormai è iniziato e molti economisti e analisti avranno detto la loro su cosa si attendono per quest’anno, diamo anche una nostra visione come Domino Solutions per capire cosa ci potremmo attendere in alcuni settori importanti.

Partiamo ovviamente da quello che potrebbe accadere a livello geopolitico. Le aspettative dello scorso anno avevano previsto che il 2016 sarebbe terminato con un mercato toro globale soprattutto nel settore azionario mentre i rendimenti dei titoli rimanevano relativamente bassi, di seguito vi presenteremo le questioni più importanti che possono preoccupare gli investitori dai i primi giorni delle negoziazioni andando avanti nell’anno che si svolgerà.

Insediamento di Donald Trump
Donald Trump potrà essere una delusione ?
Gli investitori all’inizio di dicembre 2016 erano fiduciosi che la combinazione delle normative di Donald Trump nell’ambito economico avrebbero aiutato le aziende americane a produrre margini di profitto più alti. In questo modo c’è stato una grande rotazione col denaro che è passato dagli investimenti in obbligazioni verso i titoli azionari.

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Lo Standard & Poor’s 500, il Dow Jones Industrial Average e il Nasdaq Composite hanno tutti avuto un rialzo intorno all’8% e il 10% a partire dall’8 di novembre 2016. Il rendimento sui titoli del Tesoro a 10 anni nel frattempo è salito dell’1,32% nel mese di luglio al 2,5% del mese di novembre, una crescita rapida che proprio sottolinea ciò che dicevamo e cioè il passaggio di consegna di denaro dalle obbligazioni verso le azioni.

E’ troppo presto comunque per dire che il mercato azionario in questo momento è in una fase di trend rialzista, diciamo che aspettiamo ancora alcune conferme tra cui l’insediamento dello stesso Trump che avverrà il prossimo 20 gennaio. Noi crediamo che Wall Street possa raggiungere nuovi massimi e i titoli azionari di bassa e media capitalizzazione possano salire ancora di molto.

La Brexit in Europa
In che modo l’Europa e il Regno Unito potranno gestire la brexit ?
Questo potrebbe essere un punto fondamentale soprattutto per la sterlina e gli indicatori di rischio politico e potranno fornire forti opportunità commerciali nel 2017, il Regno Unito ha rinunciato definitivamente ad un accesso al mercato unico per avere il pieno controllo dei propri confini, questo ha portato gli investitori ad abbassare il valore delle attività dello stesso Regno Unito vedendo la sterlina al ribasso e mettendo in dubbio Londra come uno dei più grandi centri di finanziatori mondiali.

La debolezza dell’euro nei confronti della sterlina sugli sviluppi della Brexit ci ha suggerito che potrebbe esserci una riduzione proprio della politica monetaria inglese. Una previsione stravagante fatta da Saxo Bank vede l’euro scendere di 73 pips sulla base del fatto che l’Unione europea sarà costretta ad agire velocemente a causa delle forti forze migratorie verso l’Europa dal Regno Unito. C’è anche la questione di ciò che significa Brexit per il futuro dell’euro, con la Francia, l’Olanda, l’Italia e la Germania che nel 2017 saranno in piena elezione e se i movimenti anti euro prenderanno il sopravvento, come è successo in Gran Bretagna anche la Germania potrà rivalutare il proprio salvataggio di Deutsche Bank.

Il Petrolio verso i 70 $
Il petrolio finalmente raggiungerà un equilibrio di prezzo ?
La fornitura di petrolio dei più grandi produttori al mondo sarà, dal primo giorno di negoziazione del mese di gennaio, tagliato come avevano definito i membri dell’Opec come Arabia Saudita e Russia. A Ottobre alla fine avevano deciso di ridurre la produzione a seguito di un accordo globale per tagliare le forniture per la prima volta dopo la crisi finanziaria che ha colpito il petrolio anni fa.

Sicuramente ci sarà ancora più interesse e il ritorno da parte degli Stati Uniti verso gli scisti bituminosi e i recuperi di approvvigionamenti dalla Libia e Nigeria, nazioni che fino adesso erano conflittuali con il contratto sul petrolio, potranno far abbassare gli approvvigionamenti.

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L’esito di questa incognita determinerà quanto è se l’offerta e la domanda di petrolio entreranno in equilibrio nel 2017 e se i prezzi rimarranno al di sopra dei 50 dollari al barile, fino ad allora crediamo che i mercati entreranno in una modalità attendere e vedere.

Se i membri dell’Opec e i paesi cooperanti come la Russia avranno successo, si potrà finalmente parlare di uno svuotamento dei serbatoi in eccesso da parecchi mesi e questo potrà porre fine alla sovrabbondanza di approvvigionamenti della materia prima. Secondo il Bloomberg commodity index, un paniere di 22 contratti a termine, la sovrabbondanza è aumentata del 12% nel 2016 il suo primo aumento a partire dal 2010. Oltre al petrolio però ci sono anche i metalli industriali come lo zinco e rame che hanno hanno aumentato i loro prezzi nelle speranze che la crescita globale possa essere più forte e sostenibile nel futuro.

Le banche sono finalmente fuori dal tunnel
Gli indici azionari bancari in Giappone, Europa e Stati Uniti hanno registrato movimenti a doppia cifra nella metà del 2016, questo cambio segna un nuovo inizio per il settore che è stato afflitto dalle preoccupazioni sull’erosione della redditività dai bassi tassi di interesse, alla rigorosa regolamentazione e ha multe per cattivi comportamenti.

Secondo noi una delle cause più importanti sull’ottimismo e la prospettiva dell’innalzamento dei tassi di interesse, questo aiuterà la crescita economica ad essere più forte, grazie anche alla politica negli switch monetari e le misure fiscali per il prossimo. Un aumento del rendimento dei titoli a lungo termine aiuteranno le banche e i loro margini di profitto, grazie all’aumento dei valori sui prestiti e mutui, quindi noi restiamo ampiamente rialzisti sulle banche e sul settore.

In Europa al contrario le cose potrebbero complicarsi, le banche stanno soffrendo parecchio e un aumento dei tassi pare assai lontano. I salvataggi non aiuteranno gli istituti ad uscire dalle cattive gestioni manageriali degli ultimi anni.

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La crescita negli Stati Uniti continuerà

La crescita reale negli Stati Uniti è salita di un bel 2% così come il tasso di inflazione, mentre il tasso di disoccupazione è passato dal 12% del 2008 al 4,9% del 2016, questi dati suggeriscono che un livello più alto dei tassi di interesse potrà aiutare le grandi imprese ad avere dei margini lordi più alti se uniamo a questo il fatto che Donald Trump potrebbe attuare delle modifiche alle tassazione delle multinazionali, soprattutto all’estero potrebbe riportare gli Stati Uniti ad essere di nuovo una superpotenza come è successo nei dodici cicli precedenti iniziati nel 1945 dopo la seconda guerra mondiale.

La vittoria elettorale di Donald Trump ha intensificato il ribasso delle attività economiche che hanno stimolato un fuggi generale dei fondi azionari e obbligazionari nei mercati emergenti a un ritmo che non si vedeva dal 2013. Il pesos messicano e lira turca sono piombati ai minimi storici con il post elettorale di Trump che ha stimolato un dollaro più forte e rendimenti obbligazionari più elevati, solo la Russia sembra sfuggire a questa tendenza in parte grazie alla “connessione” tra Donald Trump è Vladimir Putin.

Col capitale che scorre fuori dalla Cina nonostante gli sforzi per arginarla, i mercati emergenti si aspettano ulteriori aumenti dei tassi negli Stati Uniti nel 2017, gli investitori dei mercati emergenti si stanno concentrando sulla differenziazione e la gestione del rischio.

venerdì 15 luglio 2016

L'Arabia Saudita fa i conti con i bassi prezzi del petrolio e l'austerità

L'Arabia Saudita è in una fase di rallentamento dell'economia e i tagli del Governo hanno colpito la spesa dei consumatori nel paese. Solitamente dopo settimane di digiuno i ricchi sauditi spendono in feste e viaggi per celebrare l'Eid, che segna la fine del mese sacro del Ramadan. Le famiglie si riuniscono in scintillanti centri commerciali da Riyadh a Jeddah, cogliendo le occasioni e mangiando nei ristoranti. Quest'anno però, le celebrazioni si sono svolte in un clima decisamente più frugale, offuscato dalla fragile fiducia dei consumatori e da una economia balbuziente in cui l'Arabia Saudita annaspa dal crollo dei prezzi del petrolio e dall'impatto delle misure di austerità del governo. Un anonimo dipendente del governo ha dichiarato che "La prima preoccupazione economica è il bilancio statale, tra cui le minori entrate e i tagli alle spese. Tutto il resto è una conseguenza, come le vendite al dettaglio che sono crollate". Inoltre ha aggiunto che pochi dei suoi amici sono in viaggio verso l'Europa, scegliendo invece vacanze più economiche più vicino al regno. Secondo l'economista Jason Tuvey: "L'austerità sta colpendo duro, in particolare sul settore delle costruzioni e sulla fiducia dei consumatori". Vari economisti ritengono che la crescita della spesa dei consumatori sta rallentando molto bruscamente e che sarà a circa il 2/3% fino al 2018, un tonfo dal 6/7% degli ultimi 10 anni. Capital Economics afferma crescita Arabia spesa dei consumatori sta rallentando bruscamente, e prevede che si sistemerà a circa 2-3 per cento fino al 2018 - una marcata caduta dal 6-7 per cento negli ultimi dieci anni. Si tratta di una tendenza che aggiungerà altre problematiche alle aziende già alle prese con radicali restrizioni del governo. Le pubblicazioni dei dati delle aziende private, ad esclusione delle industrie petrolifere denotano un espansione dello 0,2% su base annua, il ritmo della crescita più lento dal 1990. I settori peggiori sono stati commercio, alberghi e ristoranti in contrazione dello 0,8% nei primi tre mesi. La crescita dovrebbe recuperare un pò nel 2017 e nel 2018, ma sarà davvero contenuta, in quanto l'austerità fiscale dovrà continuare per un certo periodo, per mettere le finanze pubbliche su solide basi sostenibili. L’Arabia saudita, ha chiuso il 2015 con un deficit di 87 miliardi di dollari a causa del calo dei prezzi del petrolio.



Il dolore economico operato dall'austerità arriva in quanto il principe Mohammed bin Salman, il potente principe deputato alla corona, ha lanciato un ambizioso programma di riforma da $ 72bn, denominato "Saudi 2030 Vision" che cerca di portare l'economia fuori dalla sua dipendenza dal petrolio, riducendo il ruolo dello Stato e rafforzando le imprese private. Il programma prevede un aumento degli investimenti nel settore minerario: uranio principalmente, di cui l’Arabia Saudita detiene il 6% delle riserve mondiali, ma anche oro, zinco e fosfati. In cantiere ci sono poi interventi per potenziare la produzione e la vendita di armi, iniziative per incentivare l’occupazione delle donne e agevolazioni nell’assegnazione dei visti di lavoro per arabi e musulmani stranieri. Il punto centrale del piano, è la trasformazione del gigante petrolifero di Stato Saudi Aramco (capitale di oltre 2mila miliardi di dollari) in una holding, la vendita di circa il 5% delle sue azioni e la costituzione di un fondo sovrano da 2mila miliardi di dollari. È da questo passaggio che prenderà avvio il nuovo corso economico saudita che, a detta del vice principe e ministro della Difesa Mohammed bin Salman, permetterà al Paese di "vivere senza petrolio entro il 2020". Sulla carta, i numeri potrebbero dare ragione a Mohammed bin Salman, il quale ha sottolineato che la sola vendita dell’1% di Aramco permetterebbe a Riad di lanciare la più grande IPO (Offerta pubblica iniziale al mondo) della storia, superiore a quelle che hanno anticipato le quotazioni in borsa di Facebook (FB) e Alibaba (BABA). Il Fondo Monetario Internazionale ha definito il piano saudita “uno sforzo ambizioso di vasta portata”, mettendo però in evidenza gli ostacoli a cui andrà incontro l’Arabia Saudita nel breve e soprattutto nel medio-lungo periodo. Le entrate del Paese continuano infatti a dipendere per oltre il 70% dalle esportazioni petrolifere. Oggi il valore a barile è meno della metà rispetto ai 115 dollari del giugno del 2014 e le stime dicono che i prezzi non riprenderanno a salire se Riad e Teheran non troveranno un compromesso per dare una direzione univoca alle politiche produttive degli Stati membri dell’OPEC. Ci sono almeno due fattori che possono rassicurare l’Arabia Saudita: le riserve economiche enormi accumulate in questi anni grazie alla vendita dell’oro nero; la forza del petrolio, che nonostante gli annunci fatti a New York in occasione della firma dell’accordo sul clima, almeno per i prossimi anni manterrà il monopolio del mercato dei carburanti respingendo la crescita delle rinnovabili.

Riyadh ha reagito al calo dei prezzi del petrolio tagliando la spesa pubblica del 30% nel primo trimestre. Il paese sta bruciando le riserve in valuta estera e aumentando di miliardi di dollari il debito a livello internazionale per finanziare il deficit di bilancio. HSBC in una recente nota ha comunicato che a dispetto del rallentamento della domanda interna e dei tagli alla spesa pubblica, si aspetta che i saldi dei conti esterni e di bilancio del paese rimangano in profondo deficit, che il debito aumenti portando ad un ulteriore calo delle riserve. I commercianti sono stati colpiti in modo particolarmente duro dalla recessione, con una debolezza della fiducia dei consumatori che ha fatto crollare i loro guadagni del 45% su base annua nel primo trimestre. Anche le banche hanno accusato il colpo, registrando un calo del 3,4% dei depositi a Maggio, il declino più ampio da 22 anni. La banca centrale ha permesso agli istituti di credito di ampliare i loro rapporti prestiti-depositi per il 90 per cento per far fronte alla carenza di liquidità causata dai bassi prezzi del petrolio. Ma stanno ancora lottando per sostenere le imprese. Secondo gli analisti della Alistithmar Capital, una società di intermediazione con sede a Riyadh, la pressione sul sistema bancario è alto e le capacità di riserva delle banche per i prestiti si sta stringendo. Tutto questo si fa sentire anche nella vicina Dubai, il centro finanziario regionale e una delle mete preferite per i sauditi che vogliono fare acquisti o in vacanza. Quest'anno, l'ondata annuale di turisti sauditi diretti ai centri commerciali dell'emirato per festeggiare Eid non si è concretizzato, lasciando stanze vuote durante quello che doveva essere uno dei periodi più affollati per la città. Secondo Russell Sharp, direttore operativo di Citymax Hotels, "I sauditi non sono stati numerosi quest'anno" I ricavi per le camere disponibili sono in calo di circa un quinto in tutta la città.

Mentre gli attacchi terroristici della scorsa settimana coordinati a moschee saudite hanno contribuito al calo del turismo in uscita, le incerte prospettive economiche sta creando agli albergatori preoccupazione per un ulteriore calo di questa estate.