Altra giornata di passione sui mercati, le notizie economiche che giungono dal Giappone e dagli Stati Uniti, unite al fatto che Deutsche Bank sembra non aver trovato un accordo con il Dipartimento di Giustizia americano, fanno temere ad una ennesima settimana negativa. Aggiungiamo che nel fine settimana il Fondo Monetario Internazionale ha definito i mercati “indifesi” contro una probabile recessione che secondo gli analisti è probabile al 31%.
Se gli Stati Uniti sono riusciti a varare interventi di emergenza durante la crisi del 2008, che hanno consentito di salvare istituzioni sistemiche che in caso contrario avrebbero fatto crollare l’economia mondiale, è stato anche grazie alla discrezionalità con la quale si sono potuti varare i primi interventi. E invece oggi le democrazie si sono evolute in una strada di controlli e contrappesi per circostanze nelle quali invece sarebbe giusto fornire discrezionalità per gli interventi di emergenza. Occorre dunque fornire più discrezionalità e potere negli arsenali della finanza.
Anche se la crescita viene definita “morbida”, questo può essere visto come positivo per le azioni, data la risposta tipica delle valute ma non certo però la crescita negativa delle aziende che si apprestano a chiudere il 6 trimestre negativo di fila. Una recessione in questo momento in cui le aziende sono molto esposte sarebbe particolarmente problematico per molti settori: le stime degli utili per il prossimo anno sono aggressive nel momento in cui le banche centrali stanno lottando mantenere una crescita mediocre, anche col beneficio di un sempre più kit di strumenti.
Giusto per non farci mancare nulla, oltre al problema Deutsche Bank possiamo aggiungere “di nuovo”, la Grecia. L’Euro-gruppo sbloccherà la nuova tranche da 2,8 miliardi di euro, ma per Atene la situazione resta drammatica: il Fondo monetario internazionale, che appoggia la ristrutturazione del passivo, uscirà dal piano di salvataggio. La Germania non farà alcuna nuova concessione in vista delle elezioni dell’autunno 2017. Benzina sul fuoco in una Europa ormai sempre più in bilico.
Di tutti gli indicatori che abbiamo seguito, quello che ci colpisce fortemente è il prodotto interno lordo reale (PIL). Il Pil nel secondo trimestre ha segnato un +1,4%, rispetto al +1,1% della lettura intermedia del mese scorso e il +1,2% di quella preliminare. L’economia, però, cresce meno del 2% da tre trimestri consecutivi. L’attuale ritmo di espansione è il più debole dal 1949. Nel 2015 la crescita era stata del 2,6%, l’anno migliore dal 2006, sopra la media del 2,1% all’anno registrata dal 2010, il primo anno intero dopo la recessione. Per fare un paragone, la crescita media negli anni Novanta era stata del 3,4% all’anno.
Storicamente, quando le letture del CFNAI (L’indice Cfnai, misura l’andamento dell’attività economica nel distretto della Fed di Chicago) sono state costantemente negative, il multiplo sullo S&P500 è stato piatto anno su anno, secondo i dati di Bloomberg. È vero che nessun indicatore economico è in grado di darci conferme sulla complessità delle attuali economie. Detto questo, nonostante l’importanza delle sequenze recessive, pochi oggi sembrano preoccupati. La volatilità rimane bassa e multipli alti. Tuttavia, il CFNAI sta suggerendo che dovremmo essere tutti un po più preoccupati in prospettiva.