giovedì 25 agosto 2016

La Cina vende meno acciaio, per il G20 è un rischio reale per il ferro

Il prossimo G20 si terrà nella città cinese di Hangzhou il prossimo mese. Secondo alcuni analisti sarà un punto di riferimento per le miniere di ferro che in queste settimane stanno vivendo momenti sotto pressione a causa dall’abbassamento della vendita proprio da parte della Cina. L’impatto sul mercato del minerale di ferro, un materiale chiave per la produzione di acciaio, ha segnalato un arresto inquinante di richiesta da parte delle fabbriche di acciaio nelle aree e province circostanti Pechino.

Produzione in eccesso e rallentamento economico internazionale, questi i punti chiave. A metà luglio tra Summit e Business Forum Europa-Cina, i leader europei hanno concordato con Pechino la creazione di un team di lavoro sull’acciaio, che sarà al contempo un sistema di controllo sui prodotti e un dialogo multilaterale sul tema della sovraccapacità produttiva. Il prezzo del ferro intanto, una grande fonte di profitti per le società minerarie globali come BHP Billiton (BHP) e Rio Tinto (RIO), è cresciuto del 40% dall’inizio dell’anno ed è uno dei migliori prodotti performanti. Ma gli analisti ora avvertono che un indebolimento della produzione di acciaio nel secondo semestre di quest’anno potrebbe fermare la sua crescita.

Intanto in autunno, è attesa la scure sui laminati a caldo. Ma in Gran Bretagna il gruppo indiano Tata si avvia a chiudere il più grosso impianto siderurgico del Regno Unito, a Port Talbot, in Galles (così come tutti i suoi impianti nel Paese). Il vertice G20 ha seguito la produzione di acciaio e la sua riduzione di 3,3 milioni di tonnellate, secondo una stima degli analisti di Morgan Stanley. L’attività di costruzione cinese a settembre e ottobre è un evento che può fungere da catalizzatore per un sell-off.

Una delle cause poi è che nelle scorse ore Bruxelles ha annunciato l’imposizione nei confronti di Pechino di misure anti-dumping definitive sulle importazioni di barre di acciaio rinforzanti provenienti proprio dalla Cina, un prodotto siderurgico ampiamente usato per il rinforzo del cemento nelle costruzioni. Si tratta, spiega la Commissione, di un tipo specifico di barre che corrisponde allo standard utilizzato nel Regno Unito e in Irlanda e che viene prodotto in diversi Stati membri Ue, oltre che al di fuori dell’Unione.

La Cina produce circa la metà dell’acciaio mondiale, ma ha lo scopo di ridurre la capacità entro la fine dell’anno dato che l’UE e i suoi paesi membri hanno accusato la Cina di sovrapproduzione di acciaio a basso costo. L’indagine anti-dumping su questo specifico prodotto siderurgico è stata avviata il 30 aprile 2015, in seguito ad una denuncia presentata da parte dell’industria europea. Misure provvisorie in risposta alla denuncia sono state imposte da Bruxelles il 29 gennaio 2016. Ora, quei provvedimenti temporanei diventano definitivi, producendo dazi nei confronti di Pechino che oscillano tra il 18,4% e il 22,5% e che rimarranno in vigore per cinque anni.

Quindi la domanda di acciaio dovrebbe scendere ulteriormente nel quarto trimestre, mentre l’economia si sta indebolendo. Inoltre, l’offerta dai più grandi produttori mostra pochi segni di rallentamento. Il prezzo per la consegna di minerale di ferro in Cina è stato scambiato a 61,50 $ la tonnellata il Mercoledì. Citigroup ha predetto che potrebbe scendere fino a 50 dollari entro la fine dell’anno e ad una media di 45 dollari a tonnellata nel 2017.

In conclusione la Cina punta quindi a diventare una economia evoluta rivedendo il proprio ruolo di fabbrica del mondo. Meno quantità, più qualità; meno carabattole, più produzioni ad alto valore aggiunto; meno lavoratori migranti, più giovani istruiti, tecnologizzati, cosmopoliti. Così, le ricchezze accumulate in trent’anni di boom sono spese per incentivare i giovani a fondare start-up, per creare parchi tecnologici, per finanziare la ricerca.

Tra il 2014 e il 2015, l’investimento delle imprese cinesi in ricerca&sviluppo è aumentato del 46 per cento, contro numeri a cifra singola per l’Europa e gli Stati Uniti. Le esenzioni fiscali e i ponti d’oro non sono più fatti alle industrie straniere tradizionali, bensì sempre più a quelle che trasferiscono tecnologia, know how: biotecnologie, settore farmaceutico, elettronica avanzata e prodotti finanziari.