L'Arabia saudita è il primo paese esportatore di petrolio al mondo, è un dato di fatto, il ministro dell'energia Ali al-Naimi ha fatto capire che il prezzo può scendere anche fino a 20$ al barile, all'Arabia Saudita non interessa. Questo di certo non aiuta ed infatti il crollo dell'Oro nero ha superato il 50% come avvenne nella crisi del 2008.
Le società corrono ai ripari, molte hanno abbassato le stime e con l'aiuto del rafforzamento del dollaro hanno salvato il salvabile, altre invece si sono gettate in acquisizioni aprendo i tesoretti, per esempio Royal Dutch Shell (RDSA) ha fatto un offerta per l'acquisizione dell'inglese BG, circa 55 miliardi di sterline, una delle più grandi acquisizioni energetiche degli ultimi 10 anni.
Non tutto però è negativo, con il costo del petrolio così basso ci sono settori che guadagnano punti, come quello dei consumi, paesi come Cina, Europa e Stati Uniti avranno famiglie con potere di acquisto molto più elevato e questo potrebbe stimolare la crescita dei consumi, uno dei punti chiave per una ripresa economica più sostenuta.
Storia diversa invece per quei paesi che vivono sull'esportazione del petrolio, Iraq, Iran per esempio, senza dimenticare la Russia che sta vivendo un grosso disagio economico a causa delle sanzioni internazionali oltre al brusco calo del prezzo del Brent. Ma ci sono anche paesi con economie estremamente forti su cui pesa il periodo, molti dipendenti di società che trattano le sabbie bituminose canadasi hanno perso il lavoro, città importanti come Calgary avranno di fronte un 2015 molto molto difficile.
In una intervista rilasciata il 21 Aprile, Il CEO di BP Plc, Bob Dudley avrebbe riferito:
Il più recente crollo globale dei prezzi del greggio somiglia molto al crollo del 1986. Una marea di approvvigionamenti di petrolio colpirono il mercato nel 1986 da aree come il versante nord dell'Alaska e il Messico, colpevoli della caduta dei prezzi del greggio tenendoli bassi per diversi anni. I prezzi del greggio scesero di oltre il 60%. Le imprese devono attrezzarsi a prezzi sempre più bassiInfatti, l'aumento delle scorte di greggio degli Stati Uniti e il rivoluzionario "shale" americano hanno quasi riempito i serbatoi di stoccaggio a Cushing, Oklahoma. E, anche se i più piccoli produttori indipendenti hanno tagliato il numero di impianti di perforazione utilizzati per l'esplorazione, non vi è alcun segno di una inversione di produzione statunitense.
Infatti il settore dei servizi petroliferi sente un'ondata della riduzione di costi, dato che le esplorazioni in territori come le acqua profonde, sono stati completamente tagliati, ovviamente ne fanno le spese società come Seadrill (SDRL). Fatta eccezione per Shell, che sta portando avanti in Alaska piani di trivellazione per l'Artico, la prossima grande frontiera del petrolio.
Diventano probabili consolidamenti tra esploratori più piccoli statunitensi che hanno pesanti prestiti per finanziare la loro parte nel boom dello shale e che ora si ritrovano a lottare per ripagare i rimborsi obbligazionari o sono a rischio di violare i prestiti bancari. Gli elevati livelli di indebitamento potrebbero avere un'influenza decisiva su quello che accadrà nel prossimo futuro. Il debito totale emesso dalle imprese del settore energetico rappresenta circa il 15 per cento dei principali indici di debito Investment Grade. I rendimenti delle obbligazioni emesse da gruppi energetici sono tra i più rischiosi, riflettendo le preoccupazioni degli investitori. Tutto questo potrebbe stimolare acquisizioni a raffica.
Per esempio il miliardario russo Mikhail Fridman ha lanciato un fondo di 10 miliardi di dollari, gestito dall'ex amministratore delegato di BP, Lord Browne, proprio per andare a caccia di acquisizioni. Tuttavia, la forte riduzione dei costi e l'entità del debito aziendale potrebbe limitare la produzione. Le previsioni di Standard & Poor di un recupero del Brent a circa 75 dollari al barile sono per il 2017, non prima. Aspettatevi grande volatilità del settore, e una nuova correzione per l'industria.