Anche se non tutti gli investitori professionali e gli analisti ritengono che le valutazioni del mercato azionario siano in un territorio da bolla, la maggior parte probabilmente sarebbe d’accordo sul fatto che le molte imprese statunitensi siano in ipercomprato. Il rapporto P/E dello S&P500 è ad un livello storico alquanto elevato, così alto lo è stato durante il mercato del toro sfociato con la bolla tecnologica degli anni 90 e quella immobiliare della metà della stessa decade. Secondo il nostro punto di vista, uno storno dei mercato è molto probabile, ma forse vivremo cadute di settori prima di vedere una vera e propria recessione, come quella dell’Healthcare 2 anni fa o il petrolio l’anno scorso.
Analogie con la deflazione giapponese e demografia in decrescita
La bolla speculativa giapponese fu una bolla speculativa formatasi a partire dal 1986 e scoppiata nel 1991, riguardante il mercato azionario e il settore immobiliare giapponese. La formazione della bolla fu possibile a causa di vari fattori: per primo la liberalizzazione delle norme finanziarie sommata al rapido aumento dei prezzi dei beni immobiliari, alla relativa capacità produttiva del Giappone di riuscire a stare al passo con la domanda di beni e servizi (domanda aggregata) e al conseguente aumento di liquidità delle imprese.
Ciò permise a queste ultime di investire in attività speculative nel mercato azionario e nel settore degli immobili. Inoltre alcune incomprensioni tra il Ministero delle Finanze e la Banca del Giappone sulle decisioni da prendere in seguito al deprezzamento del dollaro (accordi del Plaza e del Louvre) favorirono lo sviluppo della bolla. Una volta che questa scoppiò, il Giappone andò incontro a un lungo periodo di deflazione noto come “decennio perduto”, che segnò la fine del boom economico del secondo dopoguerra.
In retrospettiva, il “decennio perduto” del Giappone sconvolse gran parte del mondo occidentale, dove la crescita della popolazione è rallentata. In Europa le percentuali sono in fase negativa e nel suo complesso la lieve crescita demografica è stata dello 0,25% nel 2016. Gli Stati Uniti hanno aumentato la propria cittadinanza dello 0,81% l’anno scorso, dato elevato rispetto gli standard dei paesi sviluppati ma ancora inferiore ai tassi di crescita passati. Storicamente, gli Stati Uniti hanno innalzato la crescita della popolazione attraverso l’immigrazione, ma la situazione in generale appare in pericolo.
Il consumismo che precedette la Grande Recessione potrebbe non tornare negli anni a venire. Nonostante i profitti aziendali record, l’inflazione rimane bassa e la crescita salariale sta mostrando segni di vita. Le entrate sono state un fattore importante per l’esplosione economica del ventesimo secolo, per cui la debole crescita produttiva dell’America negli ultimi decenni è allarmante. In questo contesto, non c’è molta ragione per cui la Fed possa improvvisamente stringere la politica monetaria.
Tassi di interesse
Recentemente Buffett ha dichiarato che vede il Dow Jones verso 1 milione di punti nei prossimi 100. Il Dow ha rotto i 23.000. Sarebbe difficile discutere contro un investitore come Warren Buffett, il terzo uomo più ricco del mondo. Come ha sottolineato Bob Lang di RealMoney, la dichiarazione di Buffett non è così scandalosa – in base ad un semplice calcolo, il Dow dovrebbe avere un tasso di rendimento annuo del 4,7%. Al ritmo attuale, l’indice americano si avvicinerebbe ai 2 milioni di punti.
Per molti investitori, tutto torna. I treasuries decennali in passato davano il 6,5%, oggi gli stessi strumenti governativi solo il 2,3%. Quando l’inflazione è parte integrante di tutti gli studi macroeconomici, i tassi di interesse reali sono ancora molto vicini allo zero. Sebbene il P/E dello S&P500 si trovi ora sopra 25, lo yield delle imprese è intorno al 4%, il che rende decisamente più attraenti le azioni rispetto alle obbligazioni. Anche con l’attuale Shiller P/E del 31, che regola la ciclicità, i titoli continuano a produrre quasi il 50% in più rispetto ai treasuries statunitensi.
Poiché i titoli di Stato statunitensi sono un investimento privo di rischio, non ha alcun senso tenere un bene con un rendimento minore. All’altezza della bolla tecnologica del 2000, però, la resa dei treasuries eclissò la portata dei redditi dello S&P500 con un ampio margine. Con le obbligazioni che generano più del 6% e i titoli poco più del 3%, una persona razionale avrebbe facilmente visto che il mercato stava scendendo. Si è parlato molto dei ritardi sull’innalzamento dei tassi di interesse e la valutazione dei titoli azionari. Se la Fed dovesse aumentare notevolmente i tassi, allora il mercato sarebbe troppo caro. Questo può ancora accadere, ma c’è ragione di credere che i tassi di interesse storicamente bassi potrebbero rimanere tali per lungo tempo.
Capitalizzazioni alle stelle
Gran parte del guadagno recente del mercato azionario può essere tracciato in una manciata di aziende tecnologiche, il capitale di rischio privato ha spinto le valutazioni di alcune imprese così in alto da essere giudicate “incomprabili”. Facebook (FB) e Alphabet (GOOGL) potrebbero aumentare il flusso di cassa, ma non vediamo come giustificare un P/E a 35 per due società che valgono 500 e 700 miliardi rispettivamente.
Allo stesso modo, un certo numero di Blue Chip, come Coca-Cola (KO), hanno yield interessanti e sempre in crescita, ma come possiamo prendere in considerazione un’azienda del genere, sapendo che il suo P/E sfiora i 40 punti. Una società con una capitalizzazione di 200 miliardi di dollari e che sta attraversando un periodo di cambiamenti e difficoltà?
Lasciando da parte queste eccezioni, non sembra che la maggior parte dei titoli siano in un territorio “bolla”. Alcuni osservatori notano che i guadagni delle società hanno superato la crescita del PIL, ma questo può avere più a che fare con il fatto che la cultura aziendale americana è strutturata per dare la priorità agli azionisti. Molte società americane hanno utilizzato la politica monetaria allentata dalla Fed per premiare gli azionisti anziché investire in beni patrimoniali.
Conclusione
Molti paesi, di fronte a situazione difficili dei mercati finanziari, hanno cercato di salvare la situazione con politiche di denaro facili beneficiando gli azionisti e rendendo i titoli relativamente più attraenti. Molte società hanno anche approfittato dei bassi tassi di interesse, premiando gli azionisti con dividendi e buyback piuttosto che fare investimenti strutturali. La bassa inflazione finora ha ostacolato il piano della Fed di aumentare i tassi di interesse, il che significa che le dichiarazioni di Buffett di cui abbiamo parlato all’inizio, hanno un senso logico.
Naturalmente i mercati non sono immuni da fattori esogeni, il famigerato “cigno nero” potrebbe capitare in qualsiasi momento e rovinare il party. Ma poiché un simile evento è imprevedibile per natura, non ci appare preoccupante per questo. La possibilità che le azioni siano effettivamente economiche oggi è un potente incentivo per continuare a comprare azioni di società di qualità. Ovviamente, nulla è meglio che acquistare società sottocosto dopo un’attenta analisi e parliamo di lungo periodo.