Si parla ormai da mesi delle prossime elezioni in Francia con la destra in vantaggio, secondo i sondaggi, che spingono per una uscita dall’Euro e un ritorno alla loro moneta, il Franco. Rumors su alcuni media asseriscono che la stessa Germania stia già stampando Marchi in attesa della caduta dell’Europa e in Italia? Non è un segreto che ci siano forze politiche che spingono per una uscita forzata dall’Europa con la ripresa della Lira. Un passo indietro o un passo in avanti?
Nelle ultime settimane, la retorica sembra aver politicizzato la valutazione delle monete. Questo è particolarmente vero in Europa, che ha conosciuto una divergenza notevole tra la performance del mercato obbligazionario e quello dell’euro. Quest’anno di elezioni nei Paesi Bassi, Francia e Germania, potrebbe inaugurare una grande vittoria dei partiti populisti, l’abbandono dell’euro avrebbe diverse implicazioni per gli investitori. Prima di tutto l’evidente tasso di cambio e gli spread delle obbligazioni dei paesi periferici, tra cui l’Italia. Durante la crisi del debito europeo 2010-2012, il rapporto tra il declino dell’euro e l’allargando degli spread delle obbligazioni è stato sempre molto vicino. Questo è stato il risultato di deflussi di capitali da parte di investitori stranieri che sono usciti dalle obbligazioni europee per paura del “rischio ridenominazione”, così come la conversione della valuta euro in valuta locale (come la lira italiana o la dracma greca).
La Lega Nord, il terzo più grande partito, è il più critico verso l’euro. Il leader del partito, Matteo Salvini, lo definisce la moneta come uno dei più grandi crimini economici e sociali mai commessi contro l’umanità. Il partito ha promesso di tirare l’Italia fuori dall’euro, se eletto, ma ha solo circa il 13 per cento del sostegno degli elettori. Poco per un cambiamento a differenze di Marine Le Pen (Francia) che pare in vantaggio e potrebbe innescare, non facilmente ma possibile, una Frexit nel giro di qualche anno.
Coloro che vogliono rimanere nell’euro suggeriscono che un’uscita innescherebbe un aumento dei tassi di interesse e un aumento sconsiderato dell’inflazione, fuga di capitali, una crisi bancaria ed eventualmente un default sul debito pubblico in Italia. La banca centrale mette in guardia gli italiani che lasciare l’euro eroderebbe il valore dei loro risparmi. Tuttavia, dopo ripetute crisi bancarie e anni di previsioni economiche eccessivamente ottimistiche, la Banca d’Italia pare non più credibile.
Ma facciamo un esempio pratico, forse troppo semplicistico ma serve a capire bene cosa accadrebbe con un cambio reale, chi ha credito e chi invece ha un debito. Sappiamo che dall’1 gennaio del 1999 il tasso di cambio tra Lira ed Euro fu fissato in 1.936,27 lire per un euro. Questo significa che se avessimo avuto una liquidità pari a 10 milioni di lire in banca, al cambio sarebbero diventati 5164 euro. Ipotizziamo d’aver tenuto quei soldi fermi in banca a costo zero, senza bolli, costi di gestione e immune all’inflazione. Domani l’Italia passa di nuovo alla lira dopo 18 anni e abbandona l’euro, cosa accadrebbe ai nostri 5164 Euro?
Secondo un rapporto di Mediobanca, l’uscita dell’Italia dell’Euro porterebbe ad un’immediata svalutazione della moneta nazionale, che potrebbe perdere oltre il 30% del suo reale valore di acquisto. E’ un calcolo a cui siamo arrivati anche noi, anzi, per essere sinceri noi abbiamo calcolato una svalutazione intorno al 40%, ma vogliamo essere ottimisti e prendiamo per buono il calcolo di Mediobanca. Una svalutazione del 30% significa che il cambio non sarebbe più di 1936.27, ma bensì di circa 1355 lire per un euro.
Torniamo per un attimo ai nostri 5164 Euro detenuti in banca, ora li convertiamo in lire col nuovo tasso svalutato, 5164 per 1355 (nuovo tasso di cambio), risultato, 7 milioni di lire circa. Il nostro potere di acquisto è appena sceso del 30%. Milioni di italiani si precipiterebbero in banca ad assaltare sportelli e ATM per cercare di spostare denaro all’estero prima che si svaluti o per prelevarlo in contante, come nell’estate 2015 in Grecia. Dobbiamo sottolineare però che avremmo 7 milioni di lire in un paese in cui non c’è più l’euro, di conseguenza, tutto sarebbe normale se il tasso fosse applicato a qualsiasi cosa, il costo del latte, il salumiere, le paghe e i debiti.
Per chi ha un mutuo o un prestito?
Se ho contratto un mutuo con la banca di 100.000 euro, questa pretenderà la restituzione dell’intero capitale, come stipulato in euro, oltre agli interessi. Se nel frattempo la lira si sarà svalutata del 30%, significa che la tua esposizione si sarà appesantita di una tale percentuale e difficilmente potrà essere sostenuta, necessitando di una rinegoziazione. Lo stesso dicasi per il debito pubblico, che contratto quasi tutto in euro, passerebbe in un attimo a quasi il 175% del pil per il solo effetto-cambio, perché è come se le esposizioni della nostra Pubblica Amministrazione fossero ormai in una valuta straniera rincarata. Servirebbe anche qui una rinegoziazione. Banche e famiglie italiane, detentrici di quasi i due terzi del nostro debito pubblico, accuserebbero il colpo, con le prime in possesso di 400 miliardi tra BoT e BTp a transitare per una crisi dalla potenza quadratica rispetto a quella vissuta in questi anni.
Conseguentemente a questa svalutazione si alzerebbero vertiginosamente i costi sul restante debito pubblico non ri-denominato. Si passerebbe così ad avere la bellezza di 672 miliardi di euro di debito privato. Cifre che potrebbero portare l’Italia ad una crisi economica senza precedenti, che potrebbe affossare il paese e la sua economia per molti anni. La nota positiva è che la moneta sarebbe molto più debole, ma l’economia del paese ne potrebbe giovare, grazie anche al minor peso del debito che sarebbe così ri-denominato su una moneta con valore inferiore.
Ma l’economia del paese ne gioverebbe?
L’economia francese e italiana nonché i mercati obbligazionari combinati sono 20 volte più grandi (4 miliardi di euro) rispetto l’economia greca. Pertanto, qualsiasi cambiamento significativo nel panorama politico italiano e francese in termini di un governo di maggioranza populista metterebbe pressione sui mercati e sull’economia del paese. Non sappiamo però quali potrebbero essere le conseguenze per l’Euro, dal momento che l’uscita di un paese dall’asse potrebbe portare alla fine della moneta unica e a ridisegnare le politiche monetarie nazionali.
L’adozione di una moneta più debole di quella precedente e svalutata nell’ordine almeno del 30% potrebbe favorire la domanda interna, innescando una spirale positiva a livello di consumi, produzione e competitività dell’intero Paese. Le esportazioni, proprio in virtù del cambio di valuta, tornerebbero in tempi piuttosto brevi a salire considerato che prima dell’ingresso effettivo in Europa le piccole e medie aziende sulle quali si fonda il cuore dell’economia nazionale vantavano un volume di affari con l’estero invidiabile. La conseguenza sarebbe un aumento dell’occupazione e l’aumento dei tassi non sarebbe particolarmente decisivo, dato che sarebbe indice di un aumento dei consumi e quindi di occupazione.
Il problema nasce dal possibile e minacciato abbandono del nostro debito da parte dei mercati esteri, questo lascerebbe il paese in una situazione precaria, per molti anni. Chi professa l’abbandono della moneta unica come una benedizione a nostro avviso non ha idea di quali dolori l’Italia dovrà sopportare per rialzarsi in piedi. D’altro canto, restare inchiodati all’euro forse è paggio. L’Italia, è una questione di tempo, non potrà ripagare il suo debito pubblico. Oggi paghiamo 70 miliardi di interessi sul debito. Nei prossimi mesi sono destinati a crescere ed unite a questo una svalutazione immediata del cambio come detto.
Il punto non è se lasceremo l’euro, ma quando questo avverrà e soprattutto, l’Italia sarà capace di risollevarsi? Ai posteri, ardua sentenza.