In questo momento alcuni dati provenienti dagli Stati Uniti sono positivi, grazie anche al prezzo del petrolio. Questo ha portato ad un calo della produzione e ad un aumento della richiesta, favorita anche dal prezzo del gas. Il calo lo si può anche vedere dal numero degli impianti di perforazione, che sono diminuiti ai livelli più bassi degli ultimi 5 anni, confermando che le aziende per riuscire a sopravvivere stanno effettuando drastici tagli al bilancio. Un altro aspetto positivo è che il drammatico crollo azionario cinese non è avvenuto e la sua economia continua crescere. Questo quadro ci dice che la tendenza sembra quella di un graduale miglioramento. Purtroppo però, nonostante questi miglioramenti, il quadro generale non è roseo. Le scorte di petrolio negli USA sono in aumento rispetto al mese di luglio, ma il dato peggiore è che le scorte totali di prodotti petroliferi e petrolio greggio sono in aumento rispetto allo scorso anno. Inoltre l'Opec ha comunicato che la sua produzione è aumentata, superando di circa 1,57 milioni di barili al giorno il suo target e a febbraio Teheran prensenterà i nuovi contratti per le compagnie petrolifere, con l'obiettivo di risollevare le estrazioni dagli attuali 2,9 mln b/g a quota 3,6 mln b/g.
In questo quadro di dati della produzione petrolifera e della relativa richiesta, non dobbiamo dimenticare le rinnovate tensioni geopolitiche in Medio Oriente dopo l'intervento russo in Siria. Il cui obbiettivo è quello di sostenere il governo di Assad creando un asse sciita i Siria, alleato di lunga data dell'Iran, con l'ex Unione sovietica come sostenitrice. Infatti, proprio l’Iran e l’Iraq potrebbero giocare un ruolo fondamentale nello scacchiere di Putin il quale, se riuscisse nell’intento di lasciare Assad al proprio posto, ponendo fine alla guerra civile, creerebbe un asse in Medio Oriente molto potente. La sopravvivenza del governo del Primo Ministro iracheno Al-Abadi dipende molto dall’Iran, il quale sta combattendo le milizie islamiche nell‘Anbar e in altre province dell'Ovest dell’Iraq. Non è un caso che l’Iraq abbia ignorato la richiesta del 5 settembre degli ufficiali militari di porre un blocco sui voli militari russi che portavano armi al regime di Assad. Inoltre, vi è un accordo in essere di collaborazione tra l’intelligence di Russia, Siria, Iraq e Iran per condividere informazioni sullo Stato Islamico. La Siria si trova molto vicina allo stretto di Hormuz, che è un braccio di mare lungo 60 km e largo 30 che divide la penisola Araba dalle coste dell’Iran. Nello stretto, transitano ogni giorno petroliere di tutto il mondo che trasportano un quinto della produzione mondiale di petrolio. Ora, pensate se Assad rimanesse al suo posto e appoggiasse la crociata petrolifera di Putin, con l’influenza americana sempre più debole nella zona e sull’Arabia Saudita, ormai lasciata sola da Washington e con l’Iran e l’Iraq pronti a schierarsi al fianco di Putin per abbassare la produzione del greggio e quindi rialzare i prezzi del petrolio cosa potrebbe succedere. Un’idea potrebbe essere quella che l’Arabia Saudita si troverebbe in una situazione poco amichevole in cui si ritroverebbe da sola a combattere contro una concorrenza a cui non può far fronte e dovrebbe di conseguenza abbassare il tetto della produzione, scatenando un effetto domino sui Paesi dell’Opec. Ovviamente Putin bombarderà anche l’Isis, dato che nei territori dello Stato Islamico si trovano importanti asset petroliferi che la Russia sarebbe molto contenta di avere sotto controllo.
Molte persone del settore petrolifero, hanno lasciato che gli analisti non comprendessero quanto profonda sia rivoluzione dello shale. Il calo dei prezzi non lo hanno ne bloccato ne eliminato definitivamente, lo hanno semplicemente ridimensionato e sta semplicemente prendendo fiato. I progetti che erano economicamente irrealizzabili sono stati momentaneamente accantonati. La maggior parte degli ingegnieri sa dove sono i depositi, a quale profondità e di quali dimensioni siano, rimane solo da capire quali potrebbero essere i costi. La produzione degli Stati Uniti è diminuita ed il prezzo è salito di poco, ma sappiamo che potrebbe invertire velocemente. Le aziende hanno semplicemente accantonato momentaneamente la loro forza lavoro e in caso di rally del prezzo del petrolio non impiegherebbero molto a riattivare il tutto, 3 dei maggiori campi petroliferi si trovano in America, i diritti minerari sono stati noleggiati e le infrastrutture in questi campi giganteschi sono stati e continuano ad essere costruite. Il processo di trivellazione e quindi di produzione del petrolio ora può riprendere nell'arco di qualche mese non più di anni. Inoltre dobbiamo considerare che il costo di produzione è in continua discesa con gli ingegneri constantemente al lavoro per ridurli, grazie a tecniche di fratturazione più efficienti, prodotti in acciaio e chimici meno costosi che migliorano i costi. In questi campi il costo totale di produzione è pari o inferiore ai $ 40 al barile.
Ci sono quindi motivi, per essere sia ribassista che rialzista sul prezzo del petrolio. I fondamentali non sono bullish. La geopolitica è molto rialzista. Mentre i fondamentali non sono in equilibrio, credo che il prezzo sarà più o meno equilibrato per alcuni anni a venire. L'abdicazione della politica estera degli Stati Uniti e lo stato generale di sconvolgimento nella geopolitica del Medio Oriente dovrebbero portare i prezzi del petrolio ad essere decisamente volatili. Tuttavia, i prezzi dovrebbero operare in un ampio range compreso tra i $ 40 e i $ 70 al barile a seconda di quale gruppo, tori e orsi, regnerà. In questi ambienti molto volatili, i titoli costruiti per resistere alla volatilità sono quelli delle grosse aziende petrolifere, quali:
Exxon (XOM)
e:
Chevron (CVX)
Queste due aziende tra l'altro danno anche un ottimo dividendo.